Nel pomeriggio di ieri martedì 27 aprile 2021, la Società Italiana Autori Editori (Siae) ha presentato alla stampa ed ai media – via web – l’edizione 2020 del suo storico “Osservatorio dello Spettacolo”, ovvero il rapporto annuale che “fotografa” le dinamiche di mercato dei settori dello spettacolo, dal consumo di cinema in sala agli spettacoli dal vivo, dai concerti ai circhi.
I dati resi noti ieri sono deprimenti: spettacoli diminuiti del 69 %, ricavi del settore del 77 %, ingressi del 72 %.
Impressiona osservare come, nel suo complesso, la spesa del pubblico abbia registrato un – 76 %, un dato oggettivamente inquietante, che scende dai 5 miliardi di euro del 2019 a poco più di 1 miliardo del 2020.
Diversi sono i fattori che hanno portato a questi preoccupanti risultati: le politiche di chiusura definite dai tanti Dpcm; la quantità ridotta di ingressi dovuti anche alle misure di distanziamento; il rallentamento delle nuove produzioni in tutte le filiere; e, naturalmente, le reazioni dei singoli, “lato domanda” e “lato offerta” (come direbbe un economista). Senza considerare le conseguenze devastanti, nel tessuto psico-sociale del Paese, del “lockdown”.
Disaggregando i dati disponibili per il 2020, emerge come il settore più colpito sia stato quello dei concerti, dove si registrano le peggiori performance in termini di ingressi, che sono calati dell’83 % e di spesa al botteghino, scesa dell’89 %, anche per la totale assenza dei grandi concerti “live” estivi.
Per quanto riguarda i cinematografi, gli ingressi si son ridotti del 71 %, le presenze del 82 %, la spesa al botteghino del 72%.
Valori statistici simili per il teatro, con un calo del 65 % nel numero degli spettacoli, del 70 % degli ingressi, del 78 % degli incassi al botteghino.
Particolarmente colpita la lirica, con un tracollo della spesa al botteghino del 85 % e del numero di ingressi del 81 %.
Il comparto che ha sofferto relativamente meno degli altri è stato quello delle attrazioni dello spettacolo viaggiante, che ha invece potuto contare sulle parziali riaperture estive, nonostante le proposte siano diminuite 42 % e la spesa del pubblico del 64 %.
Anche lo sport rientra nel perimetro delle analisi “spettacolistiche” della Siae, ed anche in questo settore si conferma il crollo dei consumi: gli ingressi si sono ridotti del 77 % mentre la spesa al botteghino è diminuita dell’84 %.
Blandini (Dg Siae): “un piano industriale per la cultura”
Il Direttore Generale della Siae Gaetano Blandini ha sostenuto che “lo spettacolo dal vivo ritornerà e non c’è motivo che non ritorni. È irrealistico però pensare che la pandemia sia destinata a non lasciare traccia: bisogna prestare attenzione ai cambiamenti in atto e cercare di cogliere tutte le opportunità offerte da questa nuova situazione per garantire la sostenibilità economica del settore”. Ed ha concluso: “se c’è un momento in cui si può elaborare un piano industriale per la cultura è questo”.
Proprio da questa affermazione di Blandini (invocare un “piano industriale” per la cultura), vogliamo partire per ricordare che l’esigenza di una riflessione autocritica e di una prospettiva rigeneratrice sono elementi indispensabili per il futuro del settore dello spettacolo in Italia: se è vero che lo Stato è intervenuto – e sta intervenendo e continuerà ad intervenire – in modo deciso è robusto, sempre in logica assistenziale ed emergenziale (d’altronde la pandemia è evento straordinario), sembra essere finora mancata una analisi approfondita dello stato di salute del settore “pre” pandemia, e quindi ex post.
L’occasione del “Recovery Plan” è la ri-conferma di quel che si lamenta: non è stata coinvolta la comunità professionale del sistema culturale italiano per una riflessione strategica, e non sono state sviluppate analisi di scenario. Deficit di tecnicalità e deficit di condivisione.
Sono stati disegnati interventi, piuttosto frammentari, maturati nelle (quasi) segrete stanze del Collegio Romano e di Palazzo Chigi, che non lasciano intravvedere la volontà di un cambio di indirizzo, di una correzione di rotta. Anche quando la direzione può essere ritenuta quella giusta (per esempio, rafforzare il ruolo di Cinecittà nell’economia del sistema audiovisivo nazionale), non ci si è dotati della necessaria strumentazione tecnica: ancora una volta un processo decisionale fallace, rispetto alla sana prospettiva dell’“evidence-based policy making” (si veda “Key4biz” del 26 aprile 2021, “Recovery Plan, i 300 milioni per il rilancio di Cinecittà Luce a pieno titolo nel Pnrr”).
Non esiste ancora un “sistema informativo” adeguato per le politiche culturali nazionali
Come abbiamo sostenuto molte volte anche su queste colonne, le conseguenze terribili della pandemia potevano essere affrontate con una analisi approfondita delle caratteristiche dell’intervento della “mano pubblica” nel sistema culturale.
Non è avvenuto.
Il Ministero della Cultura non ha promosso alcuno studio in materia, e, per capire qualcosa della situazione attuale, ci si deve accontentare della fotografia della Siae (per quanto riguarda lo spettacolo dal vivo) e di quella della Fondazione Symbola (sulle cui metodologie di quantificazione del perimetro dell’economia culturale nazionale si nutrono perplessità, confermate dalla decima edizione del rapporto “Io sono Cultura”, presentato quest’anno in tono minore a Milano il 15 aprile scorso), e delle pochissime elaborazioni dell’Istat (che purtroppo non assegna al settore culturale alcuna priorità). Tutte queste fonti, per quanto certamente utili, sono prive di una indispensabile lettura critica.
Si ricordi anche che presso lo stesso Ministero della Cultura esiste (esisterebbe) una struttura preposta a ciò, ovvero un omonimo “Osservatorio dello Spettacolo”, che fu elemento caratterizzante la lontana legge del 1985 di riforma organica del settore dello spettacolo, voluta dal compianto Ministro socialista Lelio Lagorio. Questo Osservatorio era destinato, nelle intenzioni del legislatore, a fungere da strumento di analisi, contingente e strategica, dell’intervento dello Stato nel settore, anche per consentire, di anno in anno, una rimodulazione dell’azione della “mano pubblica”. Nel corso dei decenni, l’Osservatorio ministeriale è stato depotenziato e definanziato, ed ora si limita ad elaborare una modesta “Relazione al Parlamento”, atto ormai quasi rituale, un documento che viene trasmesso a Camera e Senato, e non è mai stato oggetto di pubblico dibattito (l’ultima relazione – relativa all’anno 2019 – è stata pubblicata sul sito web della Direzione Generale dello Spettacolo del Mic, retta da Antonio Parente, il 17 settembre 2020, ma non ne ha scritto nessuno!). E nutriamo dubbi che molti parlamentari anche soltanto la sfoglino…
In sostanza, il Governo e la comunità dei professionisti della cultura (tra artisti e tecnici e imprenditori) in Italia non dispongono attualmente delle informazioni minime necessarie per comprendere il proprio stato di salute.
Incredibile, ma vero. In sostanza, nessuna valutazione di impatto (se non per quanto riguarda il settore cinematografico ed audiovisivo, grazie ad una norma innovativa introdotta dalla nuova legge voluta da Franceschini, la n. 220 del 2016).
Quindi, qualsiasi intervento dello Stato finisce per ricalcare le antiche vie: si ri-produce l’esistente, e, in caso di emergenza (pandemia), si è cercato e si cerca di re-intervenire secondo le solite prassi.
Una piccola novità in verità c’è stata, e l’ha rivendicata anche ieri il Ministro Dario Franceschini: per la prima volta, lo Stato, per reagire all’“uragano della pandemia”, ha introdotto alcuni meccanismi di sostegno – i cosiddetti “ristori” – per quell’area di lavoratori che potremmo definire “sommersa”, ovvero lavoratori saltuari, occasionali, precari, i cosiddetti “intermittenti”, tipici in particolare del settore teatrale, che non erano mai stati oggetto di ricognizione conoscitiva. “I numeri, nella loro crudezza, danno davvero il segno dell’uragano che si è abbattuto sul mondo dello spettacolo”, ma la pandemia ha finalmente stimolato – allorquando la mano pubblica si è domandata ove intervenire emergenzialmente – “un censimento più preciso della situazione dei lavoratori dello spettacolo”, ha sostenuto il Ministro. Purtroppo, questi dati non sono stati resi ancora di pubblico dominio, e quindi si attende che il Ministero li renda noti, affinché si possa superare uno dei tanti deficit del “sistema informativo” della cultura italiana.
Paola Dubini (Bocconi / Siae): si affermano “modelli ibridi” e “strategia multicanale”
Per cercare di superare la tradizionale mera “fotografia” (statica) dei dati dell’Osservatorio dello Spettacolo, la Siae quest’anno ha deciso di chiedere la collaborazione dell’Università “Bocconi” di Milano, e specificamente del suo centro di ricerca specializzato Ask (acronimo che sta per Art, Science, Khowledge): nella presentazione di ieri la professoressa Paola Dubini – che è al contempo Direttrice del Centro Ask e Consigliere di Gestione Siae – ha offerto una qualche linea di interpretazione (dinamica) dei dati, senza dubbio interessante.
Le 230 pagine (centinaia di tabelle, seppur con un layout grafico arcaico) dell’“Annuario dello Spettacolo 2020” della Siae sono state infatti ieri accompagnate da una ventina di pagine del report del Centro Ask, intitolato “Riprese e cambiamenti nei settori dello spettacolo”.
Lo studio Ask ha analizzato in maggiore dettaglio i dati forniti dalla Siae, con l’obiettivo di riflettere su quattro temi: come si stavano muovendo i settori prima della pandemia, quanto è stata veloce la ripartenza dopo le riaperture, che cosa è successo nei diversi territori, il ruolo del digitale. Particolarmente ricca la parte del report dedicata alla analisi dei diversi andamenti del calo dei consumi su base regionale.
“Modelli ibridi” è il concetto essenziale coniato da Dubini: secondo la Bocconi, la crisi pandemica ha evidenziato che l’atteggiamento del pubblico e degli operatori si va orientando verso lo sviluppo di modelli ibridi che presuppongono – accanto ad un’offerta culturale in presenza – un’offerta digitale su un numero crescente di piattaforme e con formati in parte in esplorazione. C’è quindi da aspettarsi dunque uno sviluppo strutturale di una strategia multicanale da parte degli operatori e l’emergere di nuovi formati, di nuovi autori e prodotti di punta, accanto al consolidamento di generi che utilizzano combinazioni di forme espressive, piattaforme e metodi di pagamento in modi articolati ed originali per soddisfare bisogni di grandi segmenti di pubblico.
Ask segnala per esempio il caso emblematico del concerto “Heroes”, tenutosi a Verona nel settembre 2020, a favore dei lavoratori impossibilitati a lavorare durante l’emergenza (che avrebbe potuto essere seguito da soltanto 3.500 persone a causa del distanziamento), che ha staccato oltre 35mila biglietti per una visione “streaming” che ha fatturato 350.000 euro… Da ricordare anche il caso de “La Traviata”, che ha registrato la vendita di 30mila biglietti venduti simbolicamente ad 1 euro per la diretta Facebook del San Carlo di Napoli (con 6mila commenti e 17mila interazioni)… Si tratta di “rondini” in volo occasionale, o di segnali anticipatori di possibili “primavere”?!
Non sono state sviluppate in Italia ricerche particolarmente approfondite sulle reazioni della popolazione al “lockdown” culturale: tra i rari studi, si possono citare quello di Ipsos per il Gruppo Intesa Sanpaolo “I consumi culturali degli italiani ai tempi del Covid-19: vecchie e nuove abitudini”; l’indagine promossa dall’associazione di attivisti Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali intitolata “Cultura, lavoro e Covid. Un anno dopo”; il sondaggio “Movie Confidence. Del Cinema ti puoi fidare”, promosso dal Gruppo editoriale Hearst… Iniziative estemporanee, con campioni di piccole dimensioni e comunque non particolarmente rappresentativi.
Nessuna iniziativa in materia è stata intrapresa dal Ministero della Cultura, purtroppo.
Cosa accadrà nelle prossime settimane e mesi, al sistema culturale nazionale, con le riaperture?!
Non è stata avviata, nelle settimane scorse, nessuna analisi predittiva.
Quella di Ask appare comunque complessivamente una analisi prospettica dettata da un “vision” positiva, che temiamo pecchi di ottimismo, e sarà opportuno attendere la fotografia di fine 2021 per capire se la realtà sarà così foriera di liete novelle.
Si attendono le informazioni novelle acquisite dal Ministero. La stessa Dubini ha auspicato che i dati del “censimento” richiamato dal Ministro vengano presto messi a disposizione della comunità dei ricercatori.
Sull’argomento – il lavoro nel settore dello spettacolo – segnaliamo la relazione approvata il 21 aprile 2021 dalle Commissioni riunite VII (Cultura, scienza e istruzione) e XI (Lavoro pubblico e privato) della Camera dei Deputati, “Indagine conoscitiva in materia di lavoro e previdenza nel settore dello spettacolo”, sulla quale certamente torneremo. L’indagine ha cercato di fare un po’ di luce, ma il lavoro da sviluppare è ancora tanto.
L’esplosione delle attività digitali durante la pandemia
La professoressa Dubini ha rimarcato come ci sia stata una sorta di “esplosione” delle attività digitali: “abbiamo visto le piattaforme esistenti crescere moltissimo, a doppia cifra. Penso ad audiolibri, podcast, musica in streaming, gaming e sport. La cosa interessante è che accanto al rafforzamento degli operatori già esistenti, si stanno sviluppando piattaforme ed operatori ibridi. Anche gli operatori dello spettacolo hanno fatto i conti con una programmazione che doveva andare sul digitale, sperimentando e creando nuovi formati. Abbiamo avuto eventi di sostituzione completa dal vivo al digitale, come ad esempio concerti trasmessi in digitale”. Ed ha richiamato il già citato concetto di “modalità ibrida”.
Sostiene Bocconi che, prima della pandemia, gli operatori del settore si erano orientati progressivamente verso una strategia finalizzata all’aumento dell’“occupancy” a spettacolo e l’innalzamento dei prezzi medi a spettatore e di quelli per servizi aggiuntivi in modo da sostenere gli incassi medi. L’offerta culturale ha registrato invece una progressiva concentrazione in termini di numero di operatori e di presenza territoriale, mentre l’evoluzione dei gusti del pubblico e le diverse scelte degli operatori a livello locale hanno portato ad una ridefinizione del peso relativo dei diversi comparti nei settori dello spettacolo dal vivo.
Lo studio della Bocconi non è comunque esente da preoccupazioni. Lo sviluppo della crisi collegata alla pandemia ha determinato il crollo improvviso dell’offerta e del consumo di spettacolo ed intrattenimento, mostrando un’accelerazione dei fenomeni di concentrazione geografica nelle poche settimane di attività. In una prospettiva di graduale riapertura anche delle attività dal vivo, questa è una tendenza che va contrastata, perché il depauperamento del tessuto culturale a livello locale riduce drasticamente la qualità del capitale sociale, da un lato, e l’attrattività di un territorio, dall’altro.
Il ruolo della dimensione digitale della cultura è ormai evidente: secondo le stime Ask, la pandemia ha spostato – nell’arco di un anno – il peso del digitale fino all’80 % della remunerazione di artisti e editori, rendendo però la posizione per ora insostenibile per molti autori, dati i meccanismi di remunerazione e di incentivo delle piattaforme streaming, che contribuiscono a polarizzare ulteriormente la visibilità e la remunerazione. In sostanza, pochi (pochissimi) autori beneficiano dello sviluppo e della dimensione digitale, e la gran parte ne soffre, confermandosi quel processo di “depauperizzazione” del tessuto creativo del sistema culturale, che andiamo studiando da anni e che abbiamo denunciato più volte anche su queste colonne. Processo preoccupante che è stato recentemente oggetto anche della denuncia della “collecting” Artisti7607 (vedi “Key4biz” del 15 aprile 2021, “Netflix, artisti al Governo: “Limitare strapotere Ott. Niente equo compenso con lo streaming”).
Il Ministro Franceschini: “estendere in modo permanente il perimetro del Fus”
Il Ministro ha dichiarato che la lezione delle conseguenze della pandemia ha stimolato la sensibilità dello Stato verso settori che prima non erano stati adeguatamente ricompresi nel “perimetro” dell’intervento pubblico: “stiamo intervenendo in settori che andranno inseriti permanentemente negli interventi di sostegno da parte dello Stato e che prima non erano ricompresi. In particolare, tutto ciò che è contemporaneo, che rappresenta il presente, va aiutato e sviluppato: ci sono migliaia di giovani con talenti straordinari ma che non trovano canali di crescita, perché non sono dentro ai percorsi commerciali. Bisogna creare nuovi canali di opportunità che aiutino i giovani talenti italiani”. Inoltre, “andrà dato il giusto peso anche al digitale, che non sostituisce ma integra il palcoscenico che non a caso si chiama ‘spettacolo dal vivo’… nessuno pensa di sostituirlo con il digitale, né durante questa emergenza né dopo; ma di integrarlo, questo sì e abbiamo visto proprio durante il lockdown quanta offerta culturale si sia trasferita online: sarà sicuramente un settore in crescita”. Franceschini ieri ha anche citato en passant la ancora misteriosa piattaforma ItsArt (“Italy is Art”), il cui lancio però viene rimandato da Chili e Cassa Depositi e Prestiti di mese in mese…
Insomma, si annuncia una estensione del perimetro del mitico (e sempre controverso) “Fus” ovvero del “Fondo Unico dello Spettacolo” (di cui alla succitata legge del 1985), rispetto al quale però non è mai stata condotta una analisi storica approfondita su efficienza ed efficacia.
Mogol (Presidente Siae): “esigenza di visione sistemica e idea di sviluppo condivisa”
La presentazione dei dati e dello studio sono stati anche un’occasione per un allarme relativo giustappunto alla linfa vitale del settore: i diritti d’autore. Anche le casse della Siae soffrono di questo orribile anno 2020. Anche quelle, naturalmente, delle altre “collecting”, sebbene, per esempio, una società come Soundreef, forte di autori molto “social” (parte significativa dei rapper italici), ne soffre un po’ meno.
Il Presidente della Siae Giulio Repetti (in arte Mogol) – ha ricordato come “molti artisti hanno potuto sopravvivere grazie al diritto d’autore. Ci auguriamo che il Governo approvi in tempi rapidi il provvedimento attuativo della direttiva sul copyright…”. Il Ministro Franceschini ha risposto: “stiamo già lavorando, dopo che il Parlamento ha approvato la legge delega, alla direttiva copyright e la vogliamo portare all’approvazione entro i termini previsti, naturalmente ascoltando tutti”. Mogol ha sostenuto che “in questo momento, è necessaria una visione sistemica e un’idea di sviluppo condivisa, per attivare una vera ripartenza con un’attenzione particolare ai lavoratori creativi e alle loro specifiche esigenze”.
Concetti che vogliamo fare nostri, insieme a quel “piano industriale per la cultura” invocato da Blandini: c’è senza dubbio una esigenza di “visione sistemica”, come sostiene Mogol, e quindi di una “idea di sviluppo condivisa”. Conoscenza e condivisione, insomma. Tecnicalità e partecipazione.
Si spera che questi auspici vengano colti dal Ministero della Cultura, che voglia finalmente aprire il “policy making” alla comunità professionale del sistema culturale, ben oltre quei “tavoli” che pure sono stati promossi nei mesi scorsi (purtroppo senza modalità tecniche adeguate di consultazione attiva dei vari settori coinvolti), dotandosi della cassetta degli attrezzi (cognitivi) adeguata alla sfida in essere.
Se non fosse una formula ormai abusata, verrebbe da proporre dei veri e propri “Stati Generali della Cultura”, come occasione non rituale ma profonda di analisi critica delle politiche culturali nazionali…
Clicca qui, per leggere l’“Annuario dello Spettacolo 2020” della Società Italiana Autori Editori (Siae), presentato il 27 aprile 2021
Clicca qui, per leggere il report del Centro Ask Bocconi per Siae “Riprese e cambiamenti nei settori dello spettacolo”, presentato il 27 aprile 2021
Clicca qui, per leggere per le slide del report “Riprese e cambiamenti nei settori dello spettacolo, a cura di Paola Dubini (Ask / Siae), presentato il 27 aprile 2021