Secondo l’Onu, l’ottomiliardesimo abitante del pianeta—una bambina di nome Vinice Mabansag—è nata in un ospedale di Manila, nelle Filippine, all’01:29 del mattino del 15 novembre di quest’anno. Madre e figlia stanno bene.
Vinice dovrebbe compiere sessant’anni nel 2082, all’incirca lo stesso anno in cui la popolazione del globo inizierà a calare, sempre secondo l’Onu. Altri studiosi anticipano di una ventina d’anni l’inizio del calo demografico, ma è una previsione difficile che ormai dipende, più che dai nascituri, dai morituri: cioè più dall’allungamento generalizzato dell’attesa di vita dei ‘già nati’ che dal volume di nuovi arrivi.
La crescita della popolazione crolla in fretta. Nel 1950 il tasso di ‘fecondità’ mondiale era di cinque nascite per ogni donna in età di gravidanza. Nel 2021 il dato era più che dimezzato, arrivando a 2,3 nascite per donna. Si stima ora che due terzi della popolazione terrestre viva in nazioni dove la fecondità è inferiore a 2,1—il livello che garantisce il ‘rimpiazzo’ della popolazione esistente. In Italia, secondo l’Istat, il tasso è fermo a 1,24 figli/donna. Infatti, la popolazione nazionale scende.
Il cambiamento impatterà ogni aspetto della società. Il collasso mondiale della natalità implica un forte aumento dell’età media della popolazione. Scricchiolano i sistemi pensionistici e si inizia già a correre ai ripari. Gli inglesi hanno recentemente spostato l’età pensionabile dai tradizionali 65 anni ai 66—mettendo di colpo 700 mila pensionandi in condizione di dover attendere, temporaneamente immiseriti, un anno per ottenere il reddito pensionistico che invece si aspettavano di trovare lasciando il posto per ‘raggiunti limiti d’età’. Malgrado l’impatto politico molto negativo, il Governo britannico mira a innalzare ulteriormente l’età pensionistica, a 68 anni per ora…
Anche il mondo del lavoro resterà scombussolato dalla trasformazione demografica. Gli esperti prevedono un forte ricorso all’automazione nei settori che per il momento offrono ancora lavoro ai giovani, un fenomeno già presente in Giappone, in assoluto il paese al mondo con la manodopera più anziana. Tuttavia, allungare eventualmente la vita lavorativa a settant’anni e oltre implica anche venire incontro agli acciacchi e alle condizioni mediche—come il diabete o i problemi cardiaci—che già accorciano molte carriere. Tenere i lavoratori anziani in salute e produttivi sarà costoso, e qualcuno—lo Stato, gli assicuratori o i parenti, probabilmente un po’ tutti—dovrà pagarne i conti.
Il Prof. James Banks, un economista dell’Università di Manchester che studia l’impatto della trasformazione demografica sui sistemi produttivi, commenta: “Il futuro per le persone che oggi hanno dai 30 ai 50 anni potrebbe benissimo comportare di dover provvedere tanto per i loro nonni quanto per i propri nipotini…”