Tempo d’autunno e tempo di castagne il cui utilizzo risale ai tempi dei greci. Il castagno era infatti conosciuto ed apprezzato per le sue numerose potenzialità: abbondante produzione di frutti nutrienti, legname, corteccia, foglie e fiori curativi. Insomma, delle castagne non si butta via niente, proprio come il maiale.
I greci che poi ne selezionarono le varietà di castagne per poi consumarle nei modi più diversi: dal pane nero alle sfarinate alle minestre.
In tempi successivi arriviamo all’Impero Romano dove Marziale scriveva che nessuna città poteva gareggiare con Napoli nell’arrostire questo frutto.
Secondo Plinio, invece, con la farina di castagne si preparava un pane particolare di cui si cibavano le donne durante le feste in onore di Cerere, periodo in cui era loro vietato mangiare cereali. I modi di cuocerle erano diversi: la fiamma diretta, sotto la cenere, nel latte, o al tegame con spezie, erbe aromatiche, aceto e miele.
La coltivazione venne molto ampliata nel medioevo per opera gli ordini monastici che rimboschirono le aree pedemontane e sempre nel medioevo si affermò il mestiere di “castagnatores”, svolto da contadini specializzati nella raccolta e lavorazione di questi prodotti del bosco. Le castagne divennero così l’alimento principale delle genti di montagna ed identificate come un cibo plebeo da evitare nei menu di corte. Fu probabilmente per questi motivi se nel XllI sec. iniziò a diffondersi il termine “marrone” per indicare le qualità eccellenti, più grosse e preziose, meglio adatte ad un consumo elitario.
Nel Settecento illuminista il marrone riscosse grande favore presso le classi alte, e donare ad una signora grosse castagne confezionate in dolcetti glassati (marrons glaces ) poteva alludere a significati maliziosi.
Alle castagne va riconosciuta anche un altra primogenitura: sono fra i primi cibi venduti nelle strade e quando si parla di street food non possiamo certo dimenticare come nelle piccole e grandi città italiane, negli incroci più trafficati, puntuali con l’autunno compaiono i venditori ambulanti.
Di certo la farina di castagne si presta a molti usi, dal pane, a elemento per l’impasto dei dolci (il castagnaccio) fino alla polenta di castagne che ha preceduto di secoli, o forse di millenni, quella di granturco. La polenta di castagne è utilizzabile in svariati modi, riciclabile con qualche semplice accorgimento più di una volta, e soprattutto adatta a soddisfare, anche in quantità ridotte, gli affamati provocando un senso di sazietà, che si raggiunge presto. Si tratta di una sazietà breve e ingannevole come testimonia un bellissimo e poco frequentato adagio dell’Italia centrale (“la polenta: presto tira e presto allenta”). Un altro modo di dire che ha per protagonista le castagne è “togliere le castagne dal fuoco”. Il tutto risale infatti ad una favola di La Fontaine, intitolata Le singe e le chat (“La scimmia e il gatto”).
Una scimmia, Bertrand, e un gatto, Raton, stanno davanti al fuoco e guardano una bella manciata di castagne che arrostiscono sulle braci. ‘Ah – dice Bertrand – se io avessi una zampetta adatta come la tua! Non resisterebbero a lungo, quelle castagne!’ Raton non se lo fa dire due volte: con la sua zampetta, delicatamente, rovista un po’ nella cenere, poi ritira “le dita” per non scottarsi, poi dà un’altra zampata. In questo modo, a poco a poco, fa cadere dalle braci ben tre castagne, che Bertrand sgranocchia ed, è evidente, scrocca. Sopraggiunge una domestica e l’operazione deve interrompersi e il povero Raton, dopo aver tolto le castagne dal fuoco a beneficio di Bertrand, rimane a bocca asciutta.
In certe zone della Toscana (Garfagnana) le castagne si raccolgono e la farina viene utilizzata per il pane, i dolci ma anche per la birra mentre nel livornese il castagnaccio è chiamato toppone (per via della capacità di saziare descritta sopra).
A Firenze il castagnaccio si mangia da:
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