Se i bambini che frequentano le scuole elementari potessero fare tutti il tempo pieno il beneficio sarebbe doppio, sia per loro stessi, perché apprenderebbero più competenze, sia per le loro madri e per tutta l’economia perché aumenterebbe l’occupazione femminile. Questo è quello che risulta da una recentissima ricerca di Banca d’Italia, che sottolinea come le conseguenze positive sul mercato del lavoro sono durature, si estendono anche al momento in cui gli studenti terminano le scuole medie.
Il tempo pieno a scuola e l’occupazione femminile
Si tratta di un dato importante in un Paese che vanta un record poco invidiabile, quello della più bassa percentuale di donne tra 15 e 64 anni al lavoro, solo il 52,6%, ancora meno che in Grecia, dove è del 53,5%. La media europea è molto più alta, 65,9%, e ancora più lontani sono i livelli dell’occupazione femminile nei Paesi Bassi, 78,8%, o in Svezia, 76,8%. Il gap rispetto al resto d’Europa rimane ugualmente ampio e siamo sempre ultimi anche se a essere considerati sono solo i dati sulle donne tra i 25 e i 49 anni, ovvero in quell’età in cui solitamente allevano un bambino.
Ciò accade per molte ragioni storiche, culturali ed economiche e tra queste vi è anche la carenza di un welfare familiare paragonabile almeno a quello dei Paesi dell’Europa occidentale. Non si tratta solo di sussidi in denaro o detrazioni, ma anche di servizi. Tra questi la presenza del tempo pieno a scuola, che consentirebbe a entrambi i genitori, e non uno solo, di avere più ore da dedicare al lavoro.
Meno donne occupate della Grecia
Nonostante possa risultare ovvio a livello intuitivo, i ricercatori di Banca d’Italia hanno voluto provare in modo scientifico l’effetto positivo del solo allungamento dell’orario scolastico per i bambini che frequentano la scuola elementare a parità di tutti gli altri fattori. Hanno quindi considerato ed eliminato con tecniche econometriche tutti i fattori che potrebbero “inquinare” o addirittura invertire il rapporto causa-effetto che volevano indagare. Tra questi, per esempio, vi è il fatto che le madri che già lavorano tendono a inviare i figli in scuole a tempo pieno oppure il fatto che i presidi, quando la domanda di posti in tali scuole è superiore all’offerta, favoriscano chi ha entrambi i genitori che sono già occupati.
Depurando la ricerca da tali elementi, hanno osservato, comunque, che il tasso di occupazione delle madri dei bambini con il tempo pieno è effettivamente più alto di quello delle madri di chi frequenta a tempo parziale. Il gap è dell’1% se lo studente è in seconda elementare, diventa poi dell’1,4% quando è in quinta e del 2,2% quando arriva in terza media.
Perché è importante che le madri lavorino quando i figli sono ancora piccoli
Il fatto che il vantaggio persista e anzi aumenti nel tempo è particolarmente significativo. Gli economisti sostengono che è causato dall’isteresi del mondo del lavoro, è quel fenomeno per cui l’ampiezza del tasso di occupazione o di disoccupazione tende ad alimentare se stesso. Se è già elevato e superiore alla media tenderà a rimanere alto nel tempo anche se le condizioni economiche cambiano perché, per esempio, un disoccupato non sviluppa le competenze necessarie per entrare nel mercato e più trascorre il tempo più le probabilità di impiego diminuiscono.
Concretamente le madri dei bambini che vanno a scuola solo la mattina tendono maggiormente ad avere periodi di inattività, in cui le loro skill si deteriorano. Questo fa sì che più gli anni passano meno è probabile che trovino un lavoro, anche se, una volta che i figli siano cresciuti, lo cercano attivamente. Ecco perché il gap rispetto al tasso di occupazione delle madri dei bambini che frequentano scuole con il tempo pieno aumenta nel tempo.
L’effetto sulla partecipazione alla forza lavoro
Come si vede dagli istogrammi della nostra infografica interattiva l’effetto positivo del tempo pieno non è solo sull’occupazione femminile in senso stretto, ovvero quante madri lavorano, ma anche sulla partecipazione di queste al mondo del lavoro. Si intende, cioè, la percentuale di quelle che o sono occupate o stanno attivamente cercando un impiego. Ebbene, nel caso delle donne con figli in seconda elementare che vanno a scuola tutti i pomeriggi questo indicatore è del 2% maggiore rispetto a quello che si riscontra tra le madri dei bambini che frequentano il tempo parziale. Il gap qui rimane piuttosto stabile, è del 2,2% quando questi sono in quinta elementare e del 2,1% quando sono in terza media.
Anche questi numeri spiegano il dato precedente, ovvero perché il vantaggio occupazionale delle donne con figli con il tempo pieno cresce con gli anni: queste non tendono solo a lavorare di più, ma anche ad attivarsi di più nel cercare un posto, così da ottenerne uno alla fine, magari anche solo part time.
L’effetto del tempo pieno sui padri? Non pervenuto
I ricercatori di Banca d’Italia hanno voluto verificare anche l’impatto del tempo pieno sulle dinamiche occupazionali dei padri. Non ci sono grandi sorprese, l’effetto è sostanzialmente nullo.
È un dato che non meraviglia nessuno, già precedenti studi avevano appurato quanto almeno in Italia solo il lavoro femminile sia direttamente dipendente da misure di welfare familiare o dalle modalità di organizzazione dell’istruzione dei figli. È il retaggio del modo in cui è sempre stata strutturata la società e la famiglia, in cui le scelte economiche degli uomini sono sempre state indipendenti dalla presenza di figli perché vi sono sempre state le donne a fare da ammortizzatore.
Ciò significa che in assenza di aiuti esterni sono esse a rinunciare al lavoro per badare alla prole. Oltre che iniquo, però, questo è un modello inefficiente sia da un punto di vista economico che demografico. Come si è visto a livello europeo, una maggiore occupazione femminile non è solo vantaggioso per l’andamento del Pil, degli investimenti, dei consumi, ma è collegata anche a un più alto tasso di fertilità, altro indicatore in cui siamo fanalino di coda nel Vecchio Continente.
I dati si riferiscono al 2015-2022
Fonte: Banca d’Italia