Agcom sta ancora aspettando da Tim il piano completo della separazione societaria della rete, conditio sine qua non per esprimere un primo parere entro il 6 marzo, data imminente fissata per il prossimo Cda dell’azienda, quando l’amministratore delegato Amos Genish presenterà il piano industriale 2018-2020. In quella data Genish vorrebbe inoltre presentare al board il piano della separazione della rete, che prevede la creazione di una Netco controllata al 100% dall’azienda (vedi Scorporo TIM. Ecco gli ostacoli che ci separano da una vera separazione della rete di Tlc).
Agcom passa la palla a Tim
I tempi sono stretti, dal momento che per ora sullo scorporo Agcom ha avuto con Tim “un colloquio che non è una proposta, ma spero lo diventi”, ha detto ieri il presidente dell’Autorità Angelo Marcello Cardani, a margine del convegno “20 anni di Agcom” sottolineando che una “documentazione, nel senso letterale del termine, non è arrivata”.
“Non possiamo dare giudizi politici non è il nostro mestiere, siamo tecnici e diamo valutazioni tecniche che devono essere complete – ha spiegato – Noi possiamo dare un giudizio con esame e tempi tecnici che comprendono anche una valutazione pubblica” che richiede di solito “uno o due mesi” di tempo. Insomma, ci vorrà del tempo.
Tempistica e ruoli
Per il 6 marzo, data in cui si terrà il Cda di Tim ed entro la quale l’ad Amos Genish contava di avere l’ok da parte delle istituzioni “non ci è stata richiesta una bollinatura, quella è la cosa finale. Se ci danno un progetto più consistente possiamo anche farcela, dipende da loro”, ha detto Cardani, che ha aggiunto: “Non ho intenzione di fare il guastafeste, Calenda ha usato espressioni positive” ma “Calenda fa un mestiere diverso, quindi dà giustizi politici che possono prescindere dal giudizio tecnico. E se lo può permettere perché sa che c’è chi dà un giudizio tecnico”. Cardani si è infine detto convinto che Tim “voglia un incoraggiamento” ma lo si può dare “su qualcosa di più concreto”. Insomma, dopo l’annuncio l’Autorità resta in attesa del piano messo nero su bianco. Soltanto allora potrà valutarne tutti gli aspetti dal punto di vista eminentemente tecnico.
Bassanini (Open Fiber) ‘Passo avanti’
Prudenza sull’annuncio di Tim da parte di Franco Bassanini, presidente di Open Fiber, secondo cui il piano di separazione della rete Tim è una mossa importante, ma che per dare al Paese un‘infrastruttura di qualità siano necessari altri passi. “Continuiamo col nostro piano industriale… quel che fa il nostro principale competitor ci riguarda fino a certo punto”, ha detto Franco Bassanini al convegno per i 20 anni di AgCom. “Naturalmente tutte le forme di sinergia e collaborazione sono utili a dotare il paese di una infrastruttura performante, da questo dipenderà la crescita futura del paese – ha aggiunto – Sono d‘accordo che (l‘annuncio di Tim sulla rete) è un passo avanti, naturalmente bisognerà farne tanti altri”. In passato Bassanini si è detto favorevole a un‘integrazione tra la rete Tim (asset che l’azienda valuta intorno ai 15 miliardi) e quella di Open Fiber, l’operatore wholesale only controllato da Enel e Cdp che punta sulla fibra in Ftth (Fiber to the home).
M5S: ‘Ok scorporo, ma obiettivo sia rete pubblica’
Intanto, sul fronte politico, il Movimento 5 Stelle accoglie con favore l’annuncio di Amos Genish: “Il progetto di Tim legato allo scorporo della rete è una buona notizia, anche se aspettiamo di conoscere bene i dettagli dell’operazione“. Lo affermano i parlamentari del Movimento 5 Stelle della commissione Trasporti e Telecomunicazioni, aggiungendo in una nota che “il passaggio dello scorporo è positivo se l’obiettivo seguente è quello della separazione della rete. Restiamo in attesa, fiduciosi si punti a una rete interamente pubblica come prevede il programma del Movimento 5 Stelle”.
Polemica Calenda-Fassina
Sullo sfondo, la polemica social fra il ministro Carlo Calenda e l’ex vice ministro dell’Economia Stefano Fassina, esponente di Liberi e Uguali: “Il ministro Calenda – ha scritto Fassina su Facebook – dovrebbe essere un po’ più cauto sulla proposta di Tim di separazione legale delle sue reti di trasmissioni. La rilevanza per la sicurezza nazionale e per la nostra democrazia delle reti Tim e in particolare di Telecom Sparkle non può essere garantita semplicemente dal trasferimento degli asset a una società ad hoc comunque controllata da Tim.” “È necessaria invece – aggiunge Fassina – la nazionalizzazione della rete attraverso la società delle reti di Cdp. Soltanto così si può tutelare il nostro interesse nazionale“.
Calenda ha subito risposto all’attacco via Twitter: “Sono 30 anni che chiediamo la societarizzazione della rete anche per ragioni di trasparenza e sicurezza. Ora questo primo passo è a portata di mano“. Chiudendo con una battuta verso Fassina: “È una cosa importante – ha scritto – poi quando vincerai le elezioni rinazionalizzerai tutto, pure i panettoni”.
Sindacati
Nel frattempo i sindacati hanno chiesto un incontro con Amos Genish, per capire in che modo sarà definito il perimetro del progetto di scorporo della rete e come si inserisca nel piano di esuberi (fino a 7.500) e di 2mila nuove assunzioni annunciato in precedenza dall’amministratore delegato in vista della presentazione del piano industriale. I dipendenti di Tim sono circa 50mila, di cui circa 20mila lavorano a vario titolo sulla rete. Resta da capire quanta parte del personale sarebbe coinvolta dalla creazione della nuova Netco.
Analisti
Un’analisi di due giorni fa della Reuters evidenzia come Tim guadagni tra le altre cose facendo pagare ai concorrenti l’accesso alla sua rete in rame e in fibra. “Nonostante la sfida rappresentata dal rivale Open Fiber, il valore (della rete Tim ndr) non sembra completamente riflesso nel prezzo del titolo Tim”. Mettere l’asset della rete in una società separata aggiungerebbe trasparenza e potrebbe accrescere il valore da tempo sotto stimato del titolo, soprattutto se si arrivasse alla quotazione di una quota minoritaria della nuova Netco, secondo un report dello scorso novembre di Bloomberg.
In altre parole, secondo gli analisti, in base ai valori attuali di Tim, mettere sul mercato una quota del 25% della nuova entità della rete, mantenendone la maggioranza, consentirebbe a Tim di incassare 1,7 miliardi di euro senza rinunciare al vantaggio competitivo del controllo del network.