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Scissione di Google, Mike Wade (IMD): ‘Mozione del Parlamento Ue fuorviante e politica’

Google

“La scelta del Parlamento Ue contro Google è fuorviante e motivata da ragioni politiche“. E’ quanto sostiene Mike Wade, professore di Innovation and Strategic Information Management alla Business School svizzera IMD.

Wade interviene in merito alla risoluzione del Parlamento Ue, adottata a larga maggioranza il 27 novembre, che prevede la divisione in due del motore di ricerca.

Un provvedimento che sollecita la Commissione Ue ad adottare provvedimenti, agitando una minaccia ‘simbolica’, quella appunto dello spacchettamento di Google.

Il tutto sulla scia delle posizioni molto forti assunte negli ultimi tempi da Germania e Francia che chiedono alla Ue di intervenire sullo strapotere della web company che non ha ancora, tra l’altro, risposto all’ultima sollecitazione dell’Antitrust che ha chiesto nuovi rimedi nell’ambito dell’indagine di sospetto abuso di posizione dominante e non ha voluto fornire al governo tedesco, che ne aveva fatto richiesta, il proprio algoritmo.

Sulla decisione del Parlamento Ue si è aperto un forte dibattito: è giusto o meno intervenire sui motori di ricerca chiedendo la divisione in due delle loro attività, da una parte quelle search e dall’altro quelle commerciali?

Il professor Wade non condivide la risoluzione e spiega in un articolo le sue ragioni.

Per Wade il tentativo del Parlamento Ue è ‘fuorviante’ e forse ‘motivato politicamente’.

Google, continua il Professore, ha un successo così ampio perché “offre un buon prodotto gratuitamente”.

“La stragrande maggioranza degli utenti – precisa Wade – sceglie di usare il motore di ricerca di Google perché pensa che offra risultati utili”.

“Non sono costretti in modo monopolistico“, osserva Wade, ma preferiscono Google, rispetto ai competitor come Bing o Yahoo!, semplicemente perché ‘non sono buoni’ così come il motore di ricerca di Mountain View che in Europa ha una quota di mercato secondo le stime del 90%.

Per i deputati del Parlamento Ue, “l’indicizzazione, la valutazione, la presentazione e la classificazione effettuate dai motori di ricerca devono essere imparziali e trasparenti”.

Ma per Wade il tentativo “di fermare Google dal manipolare i risultati di ricerca a proprio vantaggio”’ è “completamente fuorviante”.

Google utilizza un algoritmo per prevedere i risultati più rilevanti.

Ovviamente, continua Wade, si tratta di un’interpretazione parziale da parte di Google.

Tuttavia, indica, la stragrande maggioranza degli utenti sono d’accordo  sui risultati che offre la ricerca effettuata su Google.

In ogni caso, si domanda il Professore, cosa dovrebbe offrire una ricerca neutrale?

Risultati casuali?

E’ difficile capire come questo potrebbe essere utile a tutti gli utenti di internet.

Sul versante della pubblicità, aggiunge Wade, “gli advertiser sono liberi di usare servizi concorrenti, anche se Google ha una quota enorme nell’advertising“. Ma “i prezzi di Google non sono irragionevoli”.

La sua maggiore fonte di ricavi, AdWords, ricorda Wade, si basa su una serie di aste. Google non stabilisce prezzi fissi.

In merito poi alla seconda fonte di entrate del gruppo – AdSense -, il Professore precisa che “la società restituisce un sano 70% di tutte le revenue ai clienti”.

Da una prospettiva business, sottolinea ancora Wade, “Google è in difficoltà sul lungo termine a causa di una grossa dipendenza dai click ai siti web degli inserzionisti”.

Nessun click significa nessun ricavo e le persone sempre più spesso evitano di cliccare sugli annunci.

“Google sa che per sopravvivere ha bisogno di innovare“, ribadisce Wade del parere che “i Governi dovrebbero incoraggiare le compagnie come Google a innovare e non provare a soffocarle”.

Secondo Wade, “Apple è un più pericoloso potenziale monopolista” e spiega che il sistema operativo di Google, Android, è aperto diversamente da iOS dell’azienda di Cupertino.

“L’ecosistema di Apple è in gran parte chiuso e strettamente controllato“, precisa Wade.

“Tutto sommato – conclude Wade – l’azione contro Google non sembra provenire dalla popolazione europea ma dal legislatore che desidera proteggere interessi locali e far punti colpendo un bersaglio facile”.

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