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Sciopero doppiatori, prime serie Tv solo con audio originale. E a Meloni interessa più la cyber che la Rai?

Che l’Italia sia uno strano Paese è ormai un dato acquisito da chiunque abbia un po’ di coscienza morale ed intelligenza civile, una nazione che brilla – nel bene e nel male – per infinite contraddizioni: concentriamo l’attenzione sul sistema audiovisivo: secondo i Presidenti delle due maggiori lobby del settore, Anica ed Apa, la situazione è eccellente e, anzi, si chiede al Governo di intensificare il suo impegno assistenzialistico; d’altro canto, invece, i sindacati – in primis la Cgil – e le associazioni professionali di molte categorie di lavoratori sono in agitazione, ed in particolare i doppiatori hanno deciso martedì scorso 7 marzo di prolungare di una settimana ancora il proprio sciopero.

Quale delle due “versioni” dei fatti è quella (più) corretta?! 

Procediamo con ordine, segnalando che la voce delle lobby imprenditoriali (o “datoriali”, secondo lo slang dei sindacati) ottiene spazi notevoli sui media “mainstream”, mentre sindacati ed associazioni non riescono a stimolare buone ricadute mediatiche delle loro iniziative.

Un esempio sintomatico?! Il maggiore quotidiano italiano, ovvero il “Corriere della Sera”, ha pubblicato ieri l’altro mercoledì 8 una lunga lettera aperta al direttore firmata dal Presidente dell’Anica (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive Digitali) Francesco Rutelli, intitolata “Cinema, investimenti e norme da consolidare per un settore strategico”, nel quale plaude all’intendimento che il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha manifestato durante un incontro (a porte chiuse) con l’associazione di “voler accrescere di un 10 % le risorse, alla luce dei maggiori costi emergenti”. Ciò significa che la dotazione complessiva del sostegno statale al cinema e all’audiovisivo passerà dai 750 milioni di euro l’anno (budget ereditato dall’ex Ministro Dario Franceschini) a 825 milioni nel corso del 2023?! E come verranno allocate queste risorse… secondo i criteri ormai “storici”, che continuano – tra l’altro – a privilegiare un “tax credit” la cui reale efficacia strutturale non è ancora stata analizzata da nessuno?!

Il suo omologo in Apa (Associazione Produttori Audiovisivi) Giancarlo Leone, è stato intervistato dal mensile del settore mediale italiano, “Prima Comunicazione”, diretto da Alessandra Ravetta, che gli ha dedicato ampio spazio nell’edizione di marzo della rivista, in edicola da lunedì scorso 6 marzo (va notato che “Prima” è da sempre molto simpatizzante, nei confronti di Apa). Il Presidente dell’Apa propone “nuove regole di ingaggio non penalizzanti per i produttori”, e giustamente chiede un riequilibrio dei rapporti dei produttori con le piattaforme, da Netflix a Prime Video, da Disney+ a Paramount+. Leone non rivela a quanto ammonti realmente il capitale proprio che i produttori investono, e questo dato non emerge con chiarezza dalle ricerche che pure la sua associazione promuove.

Sistema audiovisivo italiano: per Anica ed Apa, tutto a gonfie vele?! Basta che il Governo allarghi i cordoni della borsa

Chi redige queste noterelle studia l’economia (e la politica) del settore audiovisivo italiano e resta convinto che esso sia sovra-sovvenzionato, ovvero che, semmai lo Stato staccasse la spina del flusso dei propri contributi, si assisterebbe ad un crash totale, perché il sostegno pubblico non è stato caratterizzato da interventi strutturali che abbiano rafforzato la capacità di autofinanziamento da parte dei produttori. Sarà banale e finanche volgare la battuta (pure attribuita ad un produttore del calibro di Aurelio De Laurentiis) secondo la quale gli “imprenditori” dell’audiovisivo italiano sarebbero prevalentemente dei “prenditori” (sovvenzioni pubbliche), ma temiamo contenga elementi di verità.

Peraltro, la mano dello Stato non sta ostacolando fenomeni incontrovertibilmente negativi, tra i quali possiamo evidenziare: la quota del cinema italiano nel “box office” continua ad essere bassa; al di là del “made in Italy”, la fruizione di cinema in sala è la più bassa rispetto ai “Big 5” del Vecchio Continente (FranciaGermaniaSpagna, ed includendovi ancora il Regno Unito al di là della Brexit) si assiste ad una inflazione produttiva di lungometraggi cinematografici la gran parte dei quali non esce in sala e non viene trasmessa dai broadcaster né offerta dalle piattaforme…

Torneremo presto su questi temi… controversi. Anche se siamo veramente in pochi a notare la “nudità” del “Principe”, di cui tutti o quasi decantano l’eleganza delle vesti…

Eppure Anica ed Apa intonano ancora una volta il solito motivetto “Tutto va bene Madama la Marchesa” (parafrasando Carosone). 

Non sappiamo se “la casa” stia andando a fuoco, ma certamente emergono molti segnali di allarme, e riteniamo che lo stato di agitazione promosso dai doppiatori (includendo in questa figura professionale le correlate figure degli attori doppiatori, dei dialoghisti adattatori, degli assistenti del doppiaggio, eccetera) dovrebbe essere preso in seria considerazione.

Ed invece: curiosamente nessuna parola ha speso in argomento (lo sciopero dei doppiatori) il titolare del Collegio Romano, e la Sottosegretaria alla Cultura, la leghista Lucia Borgonzoni, si è limitata a segnalare che poco può fare – se non a livello di “moral suasion” – nell’economia di un contratto collettivo nazionale di lavoro che vede due protagonisti, i datori di lavoro ed i sindacati (vedi “Key4biz” del 2 marzo 2023, “Amazon, ‘no data’ sui budget di Prime e Studios in Italia”). Come se il Governo non potesse intervenire: il che non corrisponde a verità.

E si ricordi che se i doppiatori hanno deciso, martedì scorso, di mantenere le braccia incrociate ed i microfoni spenti per sostenere la loro battaglia per il rinnovo contrattuale, alcuni ritengono che si debba lottare per arrivare ad un “ccnl” unitario di tutti i settori del sistema audiovisivo. 

Obiettivo assai ambizioso quello di arrivare ad un contratto collettivo nazionale unico, eppure si tratta di un traguardo che i lavoratori del comparto, dalle troupe agli stuntman, dai doppiatori ai fonici, dai tecnici o operatori, si sono dati in occasione di una (pubblica) assemblea unitaria, che si è tenuta lo scorso 4 marzo al Cinema Nuovo Aquila di Roma. 

Da segnalare che questa iniziativa non ha registrato una significativa ricaduta mediatica: insomma, la voce degli imprenditori giunge netta e chiara, quella dei lavoratori resta labile e fioca. Dipenderà forse dalla debolezza dell’ufficio stampa della Cgil o delle associazioni professionali?!

Per ora, tuttavia, vanno intanto avanti i doppiatori. Nell’assemblea che si è riunita martedì, al termine dello sciopero convocato fino al 7 marzo, le organizzazioni di settore di CgilCisl e Uil, sostenute anche da AnadAidac e Aipad (che rappresentano rispettivamente gli attori doppiatori, i dialoghisti adattatori cinetelevisivi, e gli assistenti del doppiaggio) ed anche dalla “collecting” Nuovo Imaie (incomprensibilmente la Società Italiana degli Autori e Editori – Siae tace…), hanno deciso di proseguire la mobilitazione. 

Ancora una settimana di sciopero, quindi, che sarà sostenuto anche con l’aiuto delle associazioni dei professionisti del doppiaggio, che hanno deciso di costituire un fondo per sostenere i lavoratori più deboli dal punto di vista economico. 

Intanto cresce la polemica tra le organizzazioni sindacali e l’Anica, l’associazione delle industrie cinematografiche audiovisive e digitali. Se i sindacati lamentano, ad esempio, che il contratto dei doppiatori è fermo a 15 anni fa e quello delle troupe addirittura a 19 anni fa, e che tutti gli altri rinnovi sono al palo, la controparte datoriale sostiene esattamente l’opposto e definisce “imprecise” le notizie sull’andamento dei rinnovi. Secondo Viale Regina Margherita, “dal gennaio 2022, si sono tenuti ben 15 incontri fra le parti sociali sul contratto collettivo nazionale delle troupe e 15 incontri sul contratto doppiaggio. Numerose riunioni hanno portato alla sottoscrizione del contratto per i lavoratori generici, con il forte apprezzamento della relativa associazione Agi. A luglio 2022, è stato completato il negoziato per la sottoscrizione del contratto per i lavoratori stuntman, che le organizzazioni datoriali hanno già deliberato di voler sottoscrivere”.

La Cgil controbatte, nella persona della Segretaria Nazionale della Slc Cgil Sabina Di Marco: “è imbarazzante vedere scritto dall’Anica che è stato sottoscritto il contratto dei generici, considerato che la categoria lamenta il fatto che sia stata inserita, in modo unilaterale dall’associazione datoriale, una clausola non pattuita. Ed è imbarazzante sentir dire che sia stato sottoscritto il contratto degli stuntman la cui piattaforma, ma non è mai stata discussa. In più, abbiamo presentato ad ottobre 2022 una piattaforma per gli attori e le attrici del cineaudiovisivo e non ci hanno mai risposto”.

Ed è di ieri la notizia che Nuovo Imaie ha deciso di intervenire tempestivamente con un fondo ad hoc per sostenere la protesta dei doppiatori: lunedì prossimo 13 marzo – hanno annunciato Andrea Miccichè eDaniele Giuliani (rispettivamente presidente di Nuovo Imaie e Anad) – verrà pubblicato un bando specifico, che verrà co-gestito da Nuovo Imaie ed Anad. È stato precisato che il sostegno verrà concesso indipendentemente dall’essere iscritti o meno all’Anad. Nei prossimi giorni anche le altre associazioni dovrebbero rendere note le condizioni per accedere ad altri fondi di sostegno.

Intanto, si cominciano a vedere anche le prime conseguenze, dal punto di vista del telespettatore: per esempio, le ultime puntate della famosa serie “The Last of Us” (dall’episodio n° 7) verranno proposte da SkyNowTv in versione originale… Nel box testuale di descrizione della settimana puntata, si legge “versione italiana al momento non disponibile causa sciopero doppiatori”…

Giorgia Meloni preferisce occuparsi prima dei “servizi segreti” che del “servizio pubblico radiotelevisivo”? La tesi di Michele Mezza: prima il Dis, poi la Rai…

Su tutt’altro fronte, riteniamo sia importante rilanciare anche su queste colonne una riflessione critica che ha proposto ieri giovedì 9 marzo il mediologo Michele Mezza (che pure è contributore storico di questo quotidiano online “Key4biz”) sulle colonne del “Terzo Giornale” (spazio informativo e politico della Fondazione per la Critica Sociale), in un articolo intitolato “Perché il governo mira alla sicurezza digitale prima che alla Rai”. 

Mezza segnala come verosimilmente, nella “agenda di governo” il tema della “sicurezza nazionale” – qui intesa come “servizi di intelligence” – abbia assunto per l’Esecutivo guidato da Giorgia Meloni una importanza prioritaria: “forse poche decisioni quale quella che il governo ha preso, sostituendo il capo dell’Agenzia nazionale per la cybersecurity, Baldoni, danno il senso di come stiano cambiando le relazioni sociali, economiche, internazionali. Per la prima volta, un esecutivo invece di affannarsi a mettere mano agli organigrammi della Rai (che comunque saranno profondamente rimaneggiati dai cucinieri di Palazzo Chigi) si avventa su un apparentemente minore ganglio della macchina statale, come sembra essere l’agenzia per la sicurezza informatica istituita dal governo Draghi”.

In sintesi, oggi “i servizi” contano più del “servizio pubblico radiotelevisivo” (o “mediale”, che dir si voglia): “si tratta di un apparato che riveste ormai una rilevanza strategica: al crocevia fra la politica estera, con gli ormai quotidiani assalti che si verificano dall’inizio della guerra in Ucraina, da parte di hacker prevalentemente di matrice russa, l’economia interna, con la riorganizzazione di interi comparti industriali, e soprattutto le scelte di alleanze e di integrazioni con i grandi centri tecnologici internazionali. Una vera plancia di comando, che il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Alfredo Mantovano, non poteva non voler controllare direttamente nella sua bulimica espansione di potere che, su mandato della premier Meloni, sta conducendo”. 

Nell’agenda del Governo, contano di più Dis (Aise + Aise + Acn) che Rai?

Mezza ricorda come il responsabile uscente dell’Agenzia, Roberto Baldoni, nominato dal Premier Mario Draghi nell’agosto 2021, uno dei massimi esperti della materia (dal 2002 professore di informatica alla “Sapienza” di Roma, fondatore e direttore dal 2011 al 2017 del primo centro di ricerca in Italia sulla cyber-intelligence e la sicurezza), nonché già dirigente della sezione informatica dei servizi di informazione nazionale, stesse allestendo ancora il delicatissimo sistema di competenze e abilità che prevedeva la legge: ad oggi, siamo solo a un terzo della tecno-struttura dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (Acn), che a regime prevede almeno 650 componenti (attualmente sono circa 150 i dipendenti), gran parte dei quali esperti informatici di altissimo profilo. E verosimilmente uno dei motivi per cui il Paese appare scoperto di fronte agli attacchi hacker, è proprio il perdurante deficit di “massa critica” per affrontare seriamente le sfide in atto, e quelle che verranno, dal fronte della cybersicurezza.

L’autorevole “Wired” ha sentenziato che si tratterebbe di “un passo indietro per una rottura con il Governo”.

Secondo Barbara Fiammeri, ieri sul confindustriale “Il Sole 24 Ore”, la rimozione (= dimissione) di Baldoni sarebbe stata causata anche dalla gaffe rinvenuta nel Piano Nazionale di Sicurezza, nel quale sarebbe rimasta in più parti la “firma” della multinazionale Accenture, nonché da una qual certa (eccessiva) disponibilità dell’Acn nei confronti di altre multinazionali, come Google e Microsoft… 

Con buona pace della “sovranità” (digitale) del nostro Paese. 

Il Partito Democratico, nelle persone dei senatori Lorenzo Basso ed Antonio Nicita, ha annunciato un’interrogazione parlamentare per chiarire le vere cause delle dimissioni di Baldoni.

Parrebbe che la Premier Giorgia Meloni abbia chiesto (ed ottenuto) la testa di Baldoni, prospettando una sostituzione con persona di sua fiducia, che si dimostri in grado di meglio affrontare la perdurante vulnerabilità del nostro sistema di sicurezza. Il nuovo direttore generale dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale è Bruno Frattasi, ex Prefetto di Roma.

Sulla questione dei “servizi”, siamo intervenuti, qualche giorno fa, sulle colonne di “Articolo21” (diretto da Stefano Corradino), il laboratorio informativo dell’omonima associazione (presieduta da Paolo Borrometi), segnalando come fosse fragile ed evanescente la “Relazione” annuale al Parlamento presentata dai vertici dei servizi segreti italici: vedi “Articolo21” del 1° marzo 2023, “Relazione annuale sull’Intelligence italiana (Dis + Aisi + Aise) per il 2022: evanescente ed autoreferenziale”.

Da molti anni, andiamo studiando (e teorizzando) quanto sia intimo il nesso tra “servizi” e “media”, ma crediamo che la riflessione critica in materia sia stata ancora poco affrontata da Governo e Parlamento…

Giorgia Meloni incontra Carlo Fuortes, che resta in sella in Rai fino all’approvazione del bilancio 2022…

Comunque, la Premier Giorgia Meloni un “segnale” verso Viale Mazzini l’ha finalmente inviato, sebbene dai contenuti oscuri… 

Da segnalare infatti, su questi temi, che lunedì scorso 6 febbraio, il Presidente del Consiglio Giorgia Meloniha ricevuto a Palazzo Chigi l’Amministratore Delegato della Rai, Carlo Fuortes. Nel corso del colloquio, è stata esaminata la situazione economico-finanziaria della Rai, in vista del bilancio consuntivo 2022, che verrà chiuso entro il mese di aprile 2023. È stato annunciato che Meloni e Fuortes torneranno ad incontrarsi dopo l’approvazione del bilancio 2022. Va osservato che però, in passato, Viale Mazzini non ha mai approvato il bilancio di esercizio nel mese di aprile, ma sempre verso luglio: che la Premier abbia imposto a Fuortes una approvazione “accelerata”, per mettere mano alla… successione?!

Non un cenno, però, alla sostanza, ovvero al “contratto di servizio” in ritardata gestazione. Non un cenno al “piano industriale”. Su entrambi permane una cappa di mistero.

Ed il sindacato dei giornalisti Rai ha denunciato: “ci chiediamo a quale titolo – ha sostenuto l’Usigrai – la Presidente del Consiglio abbia convocato l’Ad della Rai per parlare di bilancio. L’azionista di riferimento dell’azienda è il Ministero dell’Economia. La Rai è soggetta all’attività di indirizzo, vigilanza e controllo del Parlamento attraverso la Commissione parlamentare di Vigilanza che, a distanza di oltre 5 mesi dalle elezioni, non si è ancora insediata. È gravissimo che in questa situazione di vacatio la Presidente del Consiglio ponga sotto il suo diretto controllo l’attività dell’azienda di servizio pubblico radiotelevisivo. L’incontro è ben più che irrituale: è un fatto di una gravità senza precedenti che sancisce il commissariamento della Rai e la mette sotto il controllo del governo”. E conclude: “quello che è accaduto oggi trasforma la Rai in tv di Stato: una modifica sostanziale della natura di servizio pubblico, come sancito dal contratto di servizio e dalle sentenze della Corte Costituzionale che dal lontano 1974 ha sempre ribadito la necessaria autonomia della Rai, da governi e partiti”.

Si ricordi anche che la scorsa settimana Viale Mazzini aveva smentito ufficialmente le voci su un possibile passaggio di Fuortes alla guida del “Teatro del Maggio Musicale Fiorentino”. E forse non a caso è stato cooptato alla guida dell’ente lirico fiorentino il Direttore Generale della Creatività Contemporanea (DgCc) del Ministero della Cultura, Onofrio Cutaia… 

Nelle more, nessuna notizia attendibile sulla costituzione della Commissione di Vigilanza sulla Rai. Sembrerebbe che il Partito Democratico stia puntando ad assegnare la presidenza alla neo-deputata Michela De Biase (che incidentalmente va segnalato essere la consorte dell’ex Ministro Dario Franceschini), allorquando i candidati più accreditati per la Vigilanza restano quelli che abbiamo già identificato su queste colonne da settimane e settimane: Alessandra Todde e Riccardo Ricciardi per il M5s e Maria Elena Boschi per Italia Viva Azione (vedi “Key4biz” del 17 febbraio 2023, “Rai e Siae in fermento: Commissione di Vigilanza in fieri e riparte il progetto ‘PerChiCrea’ per giovani artisti e creativi”)…

Ci domandiamo cosa stiano attendendo – al di là delle solite pratiche basse della partitocrazia – i Presidenti della Camera e del Senato, ovvero Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana

(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”  

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