Venti anni fa moriva a Parigi dopo una breve, ma inesorabile malattia, Marcello Mastroianni. Su di lui sono stati scritti centinaia di libri, di lui rimangono decine e decine di film con le sue interpretazioni forse le più belle del cinema italiano del dopoguerra, di lui si ricordano le tante storie d’amore con donne bellissime e affascinanti, di lui si ricorda che fu l’alter ego di Fellini e il compagno cinematografico di Sofia Loren.
Di lui si ricordano il sorriso, la bonomia pigra e accattivante, l’intelligenza lucida e ironica, quegli occhi che trasudavano dolcezza, tenerezza e calore. Di lui ho un piccolo ricordo personale quando, dolcemente seduto su una poltrona da regista in una spiaggia vicino Roma, mi parlava benissimo del suo mestiere e della felicità che aveva di potere essere pagato “e bene” per un lavoro che amava e che al fondo era prima di tutto un gioco ed un divertimento.
Di Mastroianni vorrei ricordare infine la cosa più importante: in un Paese che ha avuto molte maschere anche brave che sono state scambiate per attori, non eccellenti, in un paese che ha avuto molti attori vissuti come famosi, ma non bravi come la fama avrebbe imposto, e molte comparse “venduti” come attori, Mastroianni è stato l’unico grandissimo attore italiano, dalle mille facce, dalle mille capacità recitative, capace di essere allegro, drammatico, triste, pensieroso, seduttivo, affascinante, riflessivo e, allo stesso tempo, sempre con quel retrogusto di melanconia che solo i grandi possiedono.
Sono passati vent’anni da quel grigio giorno di aprile in cui a Parigi finì la sua vita, rimane il ricordo sempre vivo del più grande attore italiano del dopoguerra.