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Schermo&Schermo, l’estate porta via Ettore Bernabei e Gigi Mattucci

Rai

Nell’estate appena conclusasi due importanti protagonisti della storia della nostra tv se ne sono andati.

Di uno, Ettore Bernabei, DG della Rai per quasi 15 anni, il Reith italiano per la forza, l’intelligenza, la ben definita dimensione politico culturale con cui disegnò il servizio pubblico tv per tutti gli anni di cui ne fu a capo e quelli a venire, molto è stato scritto e detto in termini che, a prescindere da alcuni toni talvolta talmente apologetici che avrebbero disturbato lo stesso Bernabei, bene hanno ricordato  “l’uomo di fiducia”,  come lui stesso si definì, di quel disegno culturale e politico con cui la DC ha costruito l’Italia nel secondo dopoguerra.

Di Gigi Mattucci, invece, poco o niente è stato scritto come se la sua uscita di scena dalle vicende della vita fosse stato un mero, naturale avvenimento di percorso. Invece Gigi Mattucci è stato non solo uno dei più brillanti dirigenti della tv pubblica, della sua e delle successive generazioni, ma anche un intellettuale e un manager culturale che hanno avuto una visione della tv in costante divenire e mai ancorata a schemi rigidi o ideologici e che ha sempre cercato di fare sì che la tv non fosse né uno strumento di potere né mantenesse uno sguardo di autoconservazione perennemente rivolto al passato.

Mattucci, ingegnere, laureato al Politecnico di Torino, come amava ricordare con un gocciolino di sussiegosa presunzione, assunto in Rai per concorso, lettore attento e profondo di saggistica  e letteratura, socialista per convinzione e cultura profonda più che per obblighi di tessera o interessi di collocazione, fu insieme a Fichera e Manca il padre della riforma del 1975, quella riforma che portò nelle buie e grigie stanze della Rai di quel tempo il vento di un mondo esterno pluralista, libero, giocoso, e gioioso,  provocatorio, ma anche culturalmente attento e innovatore.

Attento alle trasformazioni strutturali necessarie per fare della Rai una grande azienda al passo con i tempi (e con i conti in ordine), ma anche costantemente deciso a fare sì che le riforme strutturali continuassero a tenere il prodotto al centro degli obiettivi aziendali.

Nella sua esperienza di direttore della sede Rai di Milano cercò, riuscendovi, di dare un senso concreto alla teoria del decentramento di cui negli anni, dopo gli iniziali innamoramenti, tutti o quasi avevano tradito logiche e obiettivi.

E ci piace ricordare come, anche poche settimane prima di morire, ormai da anni lontano dal palazzo di viale Mazzini, continuasse a pensare e a progettare trasmissioni e programmi sempre comunque innovativi e moderni.

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