Quotidiani, servizi tv, giornali specializzati stanno in questi giorni celebrando i primi venti anni di vita di “Un posto al sole” prima soap opera italiana di successo e riconosciuta popolarità.
Ricordo ancora le perplessità e i dubbi di tanti quando appunto più di 20 anni or sono la Rai decise di acquistare un format di successo made in Australia (dal titolo Neighbours, vicini di casa, appunto) per ambientarlo a Napoli e fare partire così una sfida editoriale, di palinsesto e produttiva che sembrava impossibile vincere.
E per superare i tanti ostacoli che la “Romacentrica” Rai di allora poneva al progetto ci vollero la autorevolezza di intellettuali come Alberto Abruzzese e Michele Pisanti, impegnati nella scrittura del “trattamentone” con arco narrativo della prima versione “napoletana” e la ferma volontà di dirigenti come Minoli, Pinto e Chicco Agnese decisi ad accettare la sfida di un nuovo modo di produrre fiction e per di più in periferia, a Napoli, e di posizionarla in una fascia oraria che fino a quel momento mai aveva visto, su Rai tre, una serie fiction.
Oggi, 20 anni dopo, non si può non evidenziare il successo di un prodotto che ha visto esordire registi come Muccino, Sollima, Gaudino, attori approdati con successo sul grande schermo e decine e decine di professionalità tecniche (direttori della fotografia, scenografi, montatori ecc. ecc.) che stabilmente ormai lavorano per cinema e tv.
A dimostrazione che la sfida di “Un posto al sole” non era solo editoriale o produttiva, ma industriale e rappresentava (e rappresenta) il vero e unico modo con cui una realtà televisiva come la Rai può fare istruzione: coniugare la formazione professionale di decine e decine di giovani specializzati o specializzandi nelle più diverse realtà di competenza (dalla regia al montaggio passando per fotografi, fonici, attori ecc.) ad una sfida produttiva saldamente ancorata al territorio ed alla logica industriale.
L’insegnamento di “Un posto al sole” non può che essere questo tanto più importante nel momento in cui, da più parti, si torna a sostenere che compito di un servizio pubblico dovrebbe essere quello di investire in scuole professionali e centri studi… Una sorta di sguardo rivolto al passato e a esperienze che non hanno certo dato risultati significativi.