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Schermo&Schermo, il declino dello sport in Rai è arrivato all’apice

Vi sono voci che sono entrate nel nostro immaginario e appartengono alla nostra storia collettiva. Niente e nessuno potrà far dimenticare alle persone della mia generazione la voce profonda e misteriosa di Nicolò Carosio che, dai microfoni della radio, raccontava le gesta della Nazionale azzurra e poi in tv, penso ai mondiali in Messico, narrava partite fantastiche scollate dalle tremolanti immagini in bianco e nero che vedevamo sullo schermo. Così come nessuno mai, potrà dimenticare il commovente entusiasmo di Nando Martellini che dal Santiago Bernabeu di Madrid, quella sera di luglio del 1982, annunciava che l’Italia era “Campione del mondo, Campione del mondo, Campione del mondo”.

Le voci dei radiocronisti e dei telecronisti R.A.I., famosi e meno famosi, hanno accompagnato la nostra vita, nei grandi eventi, epici e indimenticabili che hanno scandito questi anni, ma anche per decenni le nostre domeniche pomeriggio quando Ameri, Ciotti, Giannini, Tonino Carino in  “Tutto il calcio minuto per minuto” interrompevano nei nostri salotti o per strada o allo stadio nei nostri transistor per raccontarci cosa stava facendo la nostra squadra del cuore e quanto avveniva negli altri stadi.

I telecronisti e radiocronisti della R.A.I. sono stati una sorta di istituzione che non ci ha raccontato solo il campionato di calcio, ma anche l’Italia, le sue abitudini, i suoi modi di dire, e di essere. Tutto ciò mi è venuto in mente ascoltando recentemente le telecronache della Nazionale azzurra impegnata nelle amichevoli contro la Spagna e contro la Germania. Le voci di quei telecronisti, a me ignote o quasi, erano una sorta di voci vuote, lontane, indefinite. Prive di una riconoscibilità e di un carattere che contraddistinguono da sempre la forza della narrazione. Quasi non avessero la voglia e il carisma di raccontare.

Ci è voluta la follia generosa di Trapattoni con i suoi anacoluti, le sue frasi sbagliate, i suoi verbi approssimativi, i suoi toni spesso sopra le righe, per non dire peggio, per ridare a quelle cronache entusiasmo, patos, grinta. Tutto ciò a testimoniare come il lento, inesorabile declino, dello sport in R.A.I. sia arrivato al suo apice. Da troppi anni Sky è diventata la padrona delle nostre domeniche. I suoi telecronisti sono moderni, giovani, capaci di raccontarci non solo la partita, ma di seguire anche i costumi, le mode, i vezzi di questa Italia. E non è un caso che nella nostra memoria l’Italia campione del mondo a Berlino sia ricordata dalle parole del duo Sky per antonomasia Canessa/Bergomi. Appare in tutta la sua disarmante chiarezza, lo iato che esiste tra il servizio pubblico radiotv e la collettività. Una collettività che non si riconosce più nei telecronisti e radiocronisti Rai vissuti come una sorta di grigi burocrati e che si deve attaccare al vecchio, immarcescibile e un po’ trash “Trap” per poter affermare “quella è la mia Nazionale, quella è la mia telecronaca”.

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