La sanità digitale in Italia non decolla e resta il divario fra le diverse regioni, vero tallone d’Achille del nostro paese come segnalato a più riprese anche a livello internazionale dall’Ocse. Da tempo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico consiglia al nostro paese di puntare sul sostegno alle regioni più deboli, per non perpetuare uno sviluppo a macchia di leopardo che pesa sull’intero Sistema sanitario nazionale.
I ritardi della sanità digitale nel nostro paese non sono sfuggiti al Censis, che nell’ultimo rapporto diffuso pochi giorni fa – in cui ha fatto il punto anche sulla PA Digitale – ha evidenziato come soltanto il 16,7% degli utenti del web abbia prenotato visite mediche online, e appena il 10,6% abbia usato il web per ottenere accertamenti diagnostici.
Anche l’accesso al Fascicolo Sanitario Elettronico è assai limitato, con appena il 7,6% degli utenti che lo utilizza in alcune regioni virtuose (Emilia Romagna, Trentino e Veneto). L’83% dei cittadini non sa cosa sia il Fascicolo Sanitario Elettronico, secondo un’indagine Doxa.
Patto per la Sanità digitale
C’è da dire che l’assistenza nel nostro paese è fornita a un prezzo contenuto, 3027 dollari pro capite, meno che in altri paesi della Ue come Austria (4593), Francia (4121) e Germania (4650).
Le priorità per il decollo della sanità digitale nel nostro paese sono ben chiare e sono state elencate nel quadro del Patto per la Sanità digitale siglato ormai più di un anno fa da Stato e Regioni.
Le dimensioni della spesa pubblica per la sanità italiana sono impressionanti: 111 miliardi di euro nel 2014, con stime corrispondenti all’8,8 per cento del Pil (fonte Ocse). L’invecchiamento progressivo della popolazione italiana determinerà nei prossimi anni un incremento dei fabbisogni di intervento pubblico, e sarà indispensabile una ottimizzazione dei budget. La spesa, se non può aumentare (se non di poco, se andrà effettivamente a crescere il Pil), deve essere razionalizzata. Radicalmente.
Bisognerebbe ricalibrare e monitorare la spesa per sviluppare in maniera uniforme su tutto il territorio l’eHealth, la telemedicina, sistemi informativi ospedalieri integrati, la Unified communication come nuovo paradigma di interazione multidisciplinare tra professionisti in ambito ospedaliero, lo sviluppo di acquisti centralizzati, la condivisione a livello centrale dei dati di acquisto per il monitoraggio della spesa sanitaria, la business continuity e il disaster recovery.
Investire di più
Il problema secondo gli esperti resta la scarsità di investimenti in tecnologie (hardware, software, IoT, Big Data) per lo sviluppo sul territorio di servizi per la salute in grado di cambiare (in linea con quanto sta succedendo a livello internazionale) il paradigma delle cure.
Ma finché le banche dati delle Asl non parleranno fra loro sarà difficile invertire il trend e quindi la situazione nel nostro paese resta deficitaria: secondo stime, la spesa pro capite di 23 euro per la digitalizzazione della sanità in Italia è all’ultimo posto nella Ue, a fronte dei 65 euro della Svezia e dei 70 euro della Danimarca che guidano la classifica. L’Italia dovrebbe incrementare di tre volte gli investimenti per stare al passo con l’Europa.
Tanto più che la Ue già nel 2010 ha chiesto agli stati membri di investire per dieci anni il 5% del suo budget nella digitalizzazione del settore sanitario, la media europea è del 2% mentre l’Italia riserva soltanto l’1,3% del suo budget a questo capitolo, nonostante l’età media della popolazione sia sempre più elevata (più di a 82 anni secondo l’Ocse), aumentando la necessità di gestire a prezzi accessibili pazienti con malattie croniche che saranno sempre più numerosi.