Non stiamo malissimo, ma la stragrande maggioranza di noi lamenta piccoli disturbi molto frequenti. Spesso ci rivolgiamo ai presidi sanitari creando enormi difficoltà a livello strutturale, per la mancanza di personale, per la mancanza di posti letto, per un servizio che non è mai all’altezza delle nostre aspettative.
Da quando internet è entrato nelle nostre vite molto è cambiato. Su 49 milioni di italiani che dichiarano di soffrire di qualche acciacco, 15 milioni circa si lanciano sul web alla ricerca di soluzioni fai da te. Nella nuova indagine Censis “Il valore socio-economico dell’automedicazione”, realizzata in collaborazione con Assosalute, si fa luce su un fenomeno piuttosto diffuso, di cui però poco si parla: “Il 73,4% degli italiani è convinto che in caso di piccoli disturbi ci si possa curare da soli”.
Un dato che nel tempo è andato crescendo, visto che nel 2007 era pari al 64,1%.
Curarsi per conto proprio richiede la massima attenzione al tipo di informazioni che si trovano in rete e certamente, se l’utente è ben preparato e conosce i rischi dell’autocura, sono molteplici i benefici, per il paziente e per il sistema sanitario nazionale: benefici del ricorso ai farmaci senza obbligo di ricetta per guarire dai piccoli disturbi; benefici per i malati, perché 17,6 milioni di italiani sono guariti dai piccoli disturbi grazie a un farmaco da automedicazione almeno in una occasione durante l’anno e così hanno potuto svolgere normalmente le loro attività; benefici per il servizio sanitario nazionale, perché 17 milioni di italiani hanno evitato di scaricare l’onere delle cure sul sistema pubblico grazie ai farmaci da banco; benefici per l’economia, perché 15,4 milioni di lavoratori sono rimasti sul posto di lavoro proprio grazie all’effetto di un farmaco da automedicazione.
Tutto bene quindi? Non proprio. La ricerca del Censis, infatti, si focalizza su un aspetto a cui pochi, purtroppo, prestano la dovuta attenzione: il livello di sicurezza delle nostre operazioni in rete, anche nella ricerca di informazioni, in questo caso molto sensibili, perché riguardano la nostra salute e quella dei nostri figli.
Anche questo tipo di attività in rete nasconde delle minacce per il cittadino e l’indagine illustra bene le conseguenze di una navigazione superficiale e priva delle dovute precauzioni: “8,8 milioni sono stati vittime di fake news nel corso dell’anno. In particolare, sono 3,5 milioni i genitori che si sono imbattuti in indicazioni mediche sbagliate”.
Oggi, dopo il medico di base (53,5%) e il farmacista (32,2%), è il web (28,4%) la fonte più autorevole a cui rivolgersi per ottenere informazioni su medicinali e cure.
Il documento, inoltre, mette in evidenza che “il 17% degli italiani consulta siti web generici sulla salute, il 6% i siti istituzionali, il 2,4% i social network”.
In particolare, “tra i millennials sale al 36,9% la quota di chi usa autonomamente il web per trovare informazioni su come curare i piccoli disturbi”.
Ovviamente, il pericolo è fortemente percepito dagli italiani e la prima volta che si assume un farmaco senza obbligo di ricetta per curare un piccolo disturbo, il 70,4% degli italiani chiede consiglio al medico o al farmacista, mentre il 69% vorrebbe trovare sui siti web e sui social network informazioni certificate sulle piccole patologie e sui farmaci per curarle da assumere senza obbligo della ricetta medica.
E proprio sulle fake news si riunisce oggi a Bruxelles, per la prima volta, la nuova task force per lottare contro la diffusione di notizie false in rete, bufale digitali create ad arte per disorientare i cittadini e influenzare così l’opinione pubblica.
Tra i 39 esperti del gruppo, si legge in una nota Ansa di stamattina, ci sono anche quattro italiani: la dirigente di Mediaset Gina Nieri, il vicedirettore del Corriere della Sera Federico Fubini, l’ex direttore del Tg1 Gianni Riotta, e il docente di diritto dell’università Bocconi Oreste Pollicino.
Tra i primi compiti assegnati alla task force c’è l’individuazione, entro aprile 2018, di una strategia comune per contrastare il fenomeno.