Liquidazione banche venete, un duro colpo per la credibilita’ dell’unione bancaria europea
26 giu 11:17 – (Agenzia Nova) – Lo Stato italiano impieghera’ sino a 17 miliardi di euro per ripulire i buchi di bilancio di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, i due istituti di credito venete dichiarati insolventi dalle autorita’ europee. Le due banche verranno acquistate per la cifra simbolica di un euro da Intesa Sanpaolo, che pero’ non si fara’ carico dei crediti deteriorati e degli altri oneri. Il ministro dell’Economia italiano, Pier Carlo Padoan, ha annunciato che Intesa potra’ inizialmente attingere a fondi pubblici per 5,2 miliardi di euro al fine di rilevare parte degli asset senza danneggiare il proprio profilo patrimoniale. Lo Stato intende suddividere i due istituti di credito in una “good bank” e una “bad bank”, ha annunciato il premier Paolo Gentiloni, annunciando che le due banche apriranno regolarmente questa mattina (lunedi’) e che l’intervento di salvataggio pubblico – il piu’ oneroso intrapreso dallo Stato italiano nel settore bancario – si e’ reso necessario per tutelare i risparmiatori; Gentiloni ha ricordato che il Veneto “e’ una delle regioni piu’ importanti per la nostra economia, specie per le piccole e medie imprese”. Padoan ha dichiarato che altri 12 miliardi di euro saranno a disposizione per la copertura delle eventuali perdite, che pero’ il ministro ha stimato in 400 milioni. Commentando l’epilogo della duplice crisi bancaria veneta, Ferdinando Giuliano annuncia su “Bloomberg” “la morte dell’unione bancaria europea”, sottolineando come alla fine l’Italia sia riuscita a sottrarre le due banche e i correntisti alle norme comunitarie sulle risoluzioni bancarie (Bail-in). Il piano di liquidazione intrapreso dal governo italiano, sottolinea Giuliano, e’ “radicalmente diverso” da quello adottato due settimane fa in Spagna per Banco Popular, rilevato per un euro da Banco Santander che pero’ si e’ fatto carico anche dei crediti deteriorati e dei futuri rischi legali. La liquidazione delle banche venete “e’ uno schiaffo ai contribuenti italiani”, scrive Giuliano, che quantifica il potenziale esborso pubblico in 10 miliardi di euro. “Lo Stato avrebbe potuto intraprendere una via meno dispendiosa, ad esempio tramite il ‘bail in’ degli azionisti senior”, ma “vuole evitare le ricadute politiche e i rischi di contagio sistemico”. Una posizione comprensibile, riconosce l’economista, che pero’ aggiunge: “10 miliardi di euro sono un premio esorbitante da pagare come assicurazione contro il contagio, e Roma potrebbe subire comunque una reazione, da parte dei contribuenti che si sentono defraudati”. Piu’ di tutto, pero’, conclude l’autore dell’editoriale, l’Italia “ha piantato un pugnale nel cuore dell’unione bancaria europea”, bypassando a tutti gli effetti il meccanismo di risoluzione unico Ue: “Il vantaggio e’ dato dal risparmiare gli obbligazionisti senior, ma il costo sara’ enorme: intaccare, forse in maniera irreversibile, la credibilita’ delle istituzioni bancarie europee neoistituite”.
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Roma “ignora” le regole Ue e salva due banche
26 giu 11:17 – (Agenzia Nova) – Il governo italiano ha dato il via libera al decreto legge con cui si da’ il via alla liquidazione coatta di Popolare di Vicenza e Veneto Banca e apre alla cessione degli attivi a Banca Intesa. La decisione non piace al quotidiano spagnolo “El Pais” che ricorda come quindici giorni fa tutti – dalla Banca centrale europea al Sistema unico di supervisione bancaria e all’Eurogruppo – si complimentavano per la soluzione del “caso Popular”. L’istituto spagnolo e’ stato venduto a un euro al Santander, azionisti e investitori hanno perso tutto “ma erano le nuove regole del gioco: i contribuenti non avrebbero piu’ salvato banche in Europa” e “si svincolava cosi’ (finalmente) il rischio bancario dalla capacita’ finanziaria dello Stato cui appartiene l’istituto in fallimento”. La scelta operata dal governo Gentiloni dimostra per la testata che “in Italia non si impongono le norme europee ma quelle italiane”. E al contrario di quanto successo con il Popular, quando Santander ha rilevato l’intero ammontare dell’istituto sull’orlo del fallimento, Roma decide di dare all’acquirente solo il pacchetto sano del capitale. Gli sportelli degli istituti possono aprire, si legge ancora nell’analisi, “ma si apre un panorama nero per i contribuenti italiani che si faranno carico del debito e della insolvenza della bad bank, saltando in pieno alcuni principi della Unione europea”. In definitiva, “dopo aver negato per anni il problema, l’Italia non ha piu’ banche forti che possano comprare senza aiuti”. Le “nuove fiammanti regole europee fanno acqua proprio nel paese di Mario Draghi”, conclude la testata, sottolineando la “lezione” che esce dalla vicenda: “gli Stati ricchi si pagano i loro salvataggi bancari, se vogliono. Ora sara’ piu’ difficile convincere i tedeschi ad appoggiare il fondo comune di risoluzione delle banche. L’euforia delle autorita’ europee e’ durata solo 15 giorni”. Il quotidiano economico “Expansion” si incarica di spiegare con piu’ margine la differenza tra i casi italiani e quello spagnolo: per il Single resolution mechanism dell’Unione europea la vicenda degli istituti veneti non rappresenta un pericolo per l’interesse pubblico e in questi casi Bruxelles lascia al paese membro la decisione su come muoversi. “In pratica, siccome la legislazione italiana sulla liquidazione delle banche e’ molto flessibile”, Roma ha avuto margini “per distribuire in modo piu’ o meno arbitrario” chi si fa carico del fallimento.
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Usa, lo “sforzo segreto” di Obama per punire l’hackeraggio elettorale russo
26 giu 11:17 – (Agenzia Nova) – La “Washington Post” dedica un lungo speciale ai tentativi della Russia di influenzare l’esito delle elezioni presidenziali statunitensi dello scorso anno, e allo “sforzo segreto” dell’allora presidente, Barack Obama, di contrastare tale campagna ostile. Lo speciale segue di pochi giorni le ultime rivelazioni sul caso da parte di fonti dell’intelligence e della stampa Usa; stando a queste informazioni, l’intelligence disponeva gia’ all’inizio dello scorso anno delle prove di una vasta campagna ordinata direttamente dal presidente russo Vladimir Putin per alterare l’esito del voto di novembre, e ne avrebbe informato il presidente Obama gia’ ad agosto 2016. L’indiscrezione della scorsa settimana ha riacceso le polemiche mediatiche e politiche contro l’attuale presidente Donald Trump, accusato dai suoi detrattori di aver in qualche modo colluso con il governo russo per sconfiggere la sua avversaria democratica, Hillary Clinton. Trump, pero’, in una intervista concessa a Fox News la scorsa settimana, ha ribaltato le accuse alla stampa e al suo predecessore, chiedendosi per quale ragione Obama non abbia fatto nulla per mesi, di fronte alle presunte prove di un vasto attacco russo alla democrazia statunitense. Il lungo speciale della “Washington Post” prova a replicare proprio a questa accusa: secondo il quotidiano, lo scorso anno la Casa bianca di Obama “discusse varie opzioni per punire la Russia, ma dovette fronteggiare ostacoli e rischi potenziali” che alla fine “le impedirono di rispondere con forza alle interferenze del Cremlino”. Secondo indiscrezioni riprese dal quotidiano, la missiva riservata ricevuta da Obama e da “tre suoi collaboratori” all’inizio di agosto dello scorso anno conteneva non soltanto informazioni in merito al coinvolgimento di Putin nel “complotto”, ma anche “istruzioni specifiche” del presidente russo per “sconfiggere o almeno danneggiare la candidata democratica, Hillary Clinton, e aiutare il suo avversario, Donald Trump”. Stando al quotidiano, il materiale era “cosi’ sensibile” che l’allora direttore della Cia, John Brennan, decise di non trasmetterlo tramite il veicolo prescritto dalle norme in vigore, ovvero i quotidiani briefing di intelligence al presidente. “Per evitare fughe di informazioni, i successivi incontri alla Situation Room seguirono gli stessi protocolli delle sessioni di pianificazione per il raid contro Osama bi Laden”. Tra i soli collaboratori di Obama a conoscenza del dossier ci sarebbero stati il procuratore generale Loretta Lynch e il consigliere per la sicurezza nazionale SUsan Rice, oggi al centro delle polemiche per aver tentato di insabbiare le indagini federali a carico di Hillary Clinton e per aver decretato la messa in chiaro dei nomi dei collaboratori di Trump “incidentalmente” intercettati durante la campagna elettorale dall’intelligence Usa. Ci volle del tempo, scrive il quotidiano, perche’ altre agenzie di intelligence Usa sposassero le conclusioni della Cia, ed e’ per questa ragione, giustifica la “Washington Post”, che il caos sulle interferenze russe nelle elezioni esplose solo all’indomani dell’elezione del repubblicano Trump, nel mese di novembre. Nei cinque mesi trascorsi tra la ricezione del rapporto segreto e la fine del suo mandato, Obama avrebbe discusso segretamente “decine di opzioni di deterrenza o rappresaglia” contro il Cremlino, inclusi “attacchi informatici alle infrastrutture russe, la declassificazione di parte del materiale raccolto dalla Cia che avrebbe messo in imbarazzo Putin e sanzioni che secondo i funzionari dell’amministrazione avrebbero potuto ‘demolire’ l’economia russa”. L’amministrazione Obama non fece nulla di tutto questo; mantenne l’assoluto riserbo sino al mese di dicembre, quando approvo’ “un modesto pacchetto di misure sanzionatorie” – inclusa l’espulsione di 35 diplomatici russi negli Usa – che formalmente non aveva nulla a che fare con le intromissioni di Mosca nel processo elettorale Usa. Stando allo speciale della “Washington Post”, pero’, Obama avrebbe autorizzato anche l’impianto di “armi informatiche” nelle infrastrutture russe, che attualmente sarebbero dormienti, ma potrebbero essere attivate dall’apparato di intelligence Usa nel caso di una escalation con Mosca. “In termini politici, l’interferenza russa e’ stata il crimine del secolo”, accusa la “Washington Post”: un “attacco senza precedenti e di successo teso alla destabilizzazione della democrazia statunitense”. Tuttavia, “a causa della gestione opposta della crisi da parte di Obama e Trump, difficilmente Mosca fronteggera’ conseguenze proporzionate”. Il quotidiano da’ voce agli ex funzionari dell’amministrazione Obama, che difendono la condotta dell’ex presidente: lo scorso agosto, affermano, “era gia’ troppo tardi” per prevenire la fuga delle email del partito democratico poi pubblicate da WikiLeaks: una fuga di notizie che i detrattori del presidente Trump attribuiscono alla Russia, e che sostengono addirittura sia alla base della presunta “collusione” tra Putin e la campagna dell’attuale presidente Usa. Nello speciale, la “Washington Post” si vede costretta a ribadire un punto fondamentale: ad oggi l’intelligence Usa non ha potuto accertare alcuna alterazione concreta del voto da parte dei russi, tramite frodi o manomissioni dei sistemi di voto elettronici. L’elezione di Trump, comunque, avrebbe “mortificato e sconvolto” Obama, che improvvisamente “si trovo’ alle prese con un successore che aveva elogiato WikiLeaks e spronato la Russia a rivelare altre informazioni compromettenti sulla Clinton”. In buona sostanza, il dipinto tracciato dal quotidiano nella sua lunghissima e dettagliata ricostruzione e’ quello di una amministrazione presidenziale – quella Obama – paralizzata dall’incertezza e dalle divisioni interne in merito alla risposta da adottare nei confronti della Russia. La misura rimasta sinora inedita – l’inserimento di armi informatiche “dormienti” nelle infrastrutture russe – sarebbe stata promossa da Rice negli ultimi giorni della presidenza Obama e portata avanti autonomamente dall’intelligence nei mesi successivi, e sarebbe anzi in corso a tutt’oggi: fonti dell’intelligence affermano che per fermare l’operazione sarebbe necessario un ordine formale da parte del presidente Trump, che sinora, pero’, non lo avrebbe trasmesso.
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Regno Unito, ai cittadini comunitari saranno offerti quasi gli stessi diritti dei britannici
26 giu 11:17 – (Agenzia Nova) – La premier del Regno Unito, Theresa May, riferisce il quotidiano “The Guardian”, illustrera’ oggi i dettagli della sua offerta all’Unione Europea sui cittadini comunitari: offrira’ diritti quasi equivalenti a quelli dei britannici, ma rifiutera’ che possano essere fatti valere ricorrendo al giudizio della Corte europea di giustizia. E’ attesa per oggi pomeriggio, insieme a una contestuale comunicazione alla Camera dei Comuni, la pubblicazione di un documento di quindici pagine che garantira’ agli europei residenti da cinque anni in Gran Bretagna la possibilita’ di raggiungere “uno status giuridico definito” con gli stessi diritti di residenza, lavoro, salute, welfare e previdenza dei britannici. L’Ue ha gia’ avanzato una proposta per garantire ai cittadini britannici residenti negli altri Stati membri la continuita’ nel godimento della liberta’ di circolazione. La leader di Downing Street chiedera’, inoltre, che sia piu’ facile espellere i criminali recidivi e responsabili di reati gravi. Il contenuto dell’offerta e’ stato in parte anticipato dal segretario per l’Uscita dall’Ue, David Davis, in un’intervista di ieri alla Bbc, l’emittente pubblica, in cui ha dichiarato che l’unica cosa che i cittadini comunitari non otterranno e’ il diritto di voto, che potranno avere solo acquisendo la cittadinanza. Il ministro ha poi accennato alla decorrenza dei requisiti per il riconoscimento dei diritti: probabilmente non sara’ il 29 marzo 2017, data dell’invocazione della clausola di uscita, l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, ma quella della fine dell’iter. Si avranno due anni di tempo per dimostrare di essere giunti nel paese prima della data stabilita. Davis ha auspicato, inoltre, il mantenimento della tessera di assicurazione sanitaria europea che attualmente garantisce le cure agli europei; in alternativa, ma non e’ l’opzione preferita, si trovera’ una soluzione in modo unilaterale, cosi’ come per le pensioni. Il segretario per la Brexit si e’ detto fiducioso che la questione dei cittadini comunitari possa essere risolta rapidamente, ma ha ammesso che il principale motivo di disaccordo e’ la giurisdizione della Cgue; Londra potrebbe anche accettarla, ma non nelle stesse modalita’ attuali.
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Regno Unito, i deputati anti Brexit premono per un’opzione “morbida”
26 giu 11:17 – (Agenzia Nova) – Nei corridoi, nelle sale da te’ e nei bar della Camera dei Comuni del Regno Unito, riferisce il “Financial Times”, i parlamentari che hanno votato contro l’uscita dall’Unione Europea nel referendum dell’anno scorso, esponenti di tutti i partiti, stanno discutendo su come orientare la Brexit verso una modalita’ meno dannosa possibile. I deputati europeisti intendono esercitare pressioni non solo sulla premier e leader conservatrice, Theresa May, e sui suoi ministri, ma anche sul leader del Labour, Jeremy Corbyn, e sui suoi ministri ombra, che hanno in gran parte accettato l’idea di dare attuazione alla scelta referendaria. La collaborazione fra Tory e laboristi, che si era interrotta nella campagna elettorale, che si e’ conclusa col voto dell’8 giugno, ora sta riprendendo. I conservatori Remainer tengono un profilo basso in attesa che la premier May ottenga per il suo governo di minoranza il sostegno del Partito unionista democratico (Dup) dell’Irlanda del Nord, con cui sono ancora in corso trattative. Tuttavia, presto, quando il processo legislativo iniziera’, le voci anti Brexit torneranno a farsi sentire: May ha davanti a se’ due anni di battaglie parlamentari. Almeno trenta deputati del suo partito hanno fatto sapere al capogruppo che non accetteranno di lasciare l’Ue senza un accordo. Una fonte Tory rivela di essere interessata a parlare con chiunque voglia ridurre al minimo i rischi della Brexit, anche se diffida di manovre finalizzate solo a indebolire l’esecutivo. Laboristi di primo piano ritengono di essere in una condizione di forza per costruire un’alleanza trasversale; una cinquantina di loro ha formato un gruppo il cui obiettivo e’ bloccare la Brexit “dura”, evitare che il negoziato si conclusa senza esito e a spingere il vertice del Labour a prendere una posizione piu’ definita.
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Argentina, Cristina Kirchner sempre protagonista, si candida e guadagna la scena
26 giu 11:17 – (Agenzia Nova) – Da sabato e’ ufficiale: proclamando la sua candidatura alle elezioni legislative di ottobre, l’ex presidente Cristina Kirchner mantiene viva la sua ombra sulla politica argentina. La vulcanica ex capo di Stato e’ oggetto di varie indagini della magistratura ed e’ continuamente sotto accusa per le scelte conservative in politica economica adottate durante i suoi mandati. Alle presidenziali del 2015, l’elettorato ha voltato le spalle al peronismo e alla sua eredita’ politica decretando il successo dell’imprenditore liberale Mauricio Macri, salutato con sollievo da piu’ di una capitale mondiale. Ma Cristina ha ancora un forte seguito e una sua affermazione al Senato, nel cruciale collegio di Buenos Aires, potrebbe rilanciarne le ambizioni alle elezioni Casa Rosada del 2019. Diverse fonti le attribuiscono uno zoccolo duro compreso tra il 20 e il 25 per cento dell’elettorato, ma il suo nome continua a dividere, avverte il quotidiano “Clarin”, segnalando che la scesa in campo potrebbe penalizzare il gia’ frastagliato universo peronista, polo attorno a cui si riunisce chi a vario titolo si oppone alla maggioranza di governo. La partita, come spesso accade nella politica argentina, e’ complicata. La “presidenta” si candida con una nuova formazione – “Unidad ciudadana” -, sottraendosi cosi’ alle primarie del Partido Justicialista, formazione da cui Cristina e’ uscita e che sulla carta rappresenta il grosso dell’elettorato anti-Macri. Ma il “fenomeno” Cristina, rischia di sbancare comunque. “Fino a un anno e mezzo fa dicevano che era finita, ci volevano buttare fuori”, segnala un “kirchnerista al quotidiano spagnolo “El Pais”. Adesso molti dei sindaci che la volevano fare fuori “si uniscono al suo movimento perche’ hanno visto che nei loro comuni ha un seguito del 40 per cento e non ha senso andare contro di lei”. Macri ha indici di approvazione molto alti, nonostante il perdurare della crisi e il non facile cammino a destra in un paese ancora memore della dittatura. Ma Cristina sa bene come tenere il pallino. La vedova dell’altro ex presidente Nestor, “demonizza costantemente i mezzi di comunicazione e il giornalismo”, ma i media “le restituiscono la gentilezza ingigantendo la sua influenza, facendosi portatori del suo ‘rinnovato’ messaggio”, scrive il quotidiano “La Nacion” non fidandosi del tono piu’ cauto e riflessivo sfoderato negli ultimi passaggi pubblici. Il ritorno di Kirchner potrebbe segnare un momento di svolta negli assetti regionali, segnala “El Pais”. la fine del kirchnersimo aveva rappresentato “la fine del decennio dorato della sinistra latinoamericana. Poco dopo il chavismo perdeva le elezioni legislative in Venezuela ed Evo Morales perdeva il referendum per essere rieletto in Bolivia. La svolta sembrava definitiva con la vittoria di Pedro Pablo Kuczynski in Peru’. mesi dopo cadeva Dilma Rousseff in Brasile, Il ritorno di Sebastian Pinera in Cile e’ piu’ che probabile”. Ma ora il vento puo’ cambiare. In Ecuador ha vinto il candidato del bolivariano Rafael Correa, Lenin Moreno. In Brasile Michel Temer e’ sempre piu’ debole e molti sondaggi danno Lula vincente e in Bolivia Morales continua a non avere rivali. Il ritorno di Cristina chiuderebbe il cerchio.
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Francia, Macron pensa di convocare il Congresso a Versailles
26 giu 11:17 – (Agenzia Nova) – Il neo presidente francese Emmanuel Macron convochera’ il Parlamento a Congresso il 3 luglio prossimo nella reggia di Versailles? Se lo chiede tra gli altri media anche il quotidiano “Le Figaro”, ricordando che in campagna elettorale il nuovo capo dello Stato aveva promesso di riunire una volta all’anno il Congresso, cioe’ l’Assemblea Nazionale ed il Senato insieme; l’ultima volta che il Parlamento francese e’ stato riunito in sessione plenaria fu il 16 novembre 2015, quando l’allora presidente Francois Hollande volle cosi’ reagire alle stragi terroristiche di Parigi. Secondo il “Figaro, il nuovo inquilino del palazzo dell’Eliseo starebbe “riflettendo” sulla data, come ha dichiarato il portavoce del governo, Christophe Castaner. La data del 3 luglio, commenta il “Figaro”, avrebbe un particolare significato istituzionale: cadrebbe infatti alla vigilia del discorso programmatico che il primo ministro Edouard Philippe fara’ davanti alla nuova Assemblea Nazionale emersa dalle elezioni parlamentari dell’11 e 18 giugno scorsi. Sarebbe quindi un modo per Macron di significare che e’ lui a “dominare” l’azione del governo e dei suoi ministri? “Assolutamente no, non e’ questa l’idea”, ha smentito Castaner, spiegando che in questa fase c’e’ completa sintonia di intenti tra il presidente ed il suo premier, e che Macron parlera’ al Congresso per “tracciare la rotta e dare l’orientamento dell’azione politica”, mentre Philippe e’ “nella pienezza dei suoi poteri costituzionali” ed e’ in pieno controllo dell’esecutivo e dei suoi ministri. Intanto un sondaggio realizzato dall’istituto demografico Ifop registra che il 64 per cento dei francesi sono “soddisfatti” o persino “molto soddisfatti” del presidente Macron ad un mese dal suo arrivo al potere; la popolarita’ del nuovo capo dello Stato e’ addirittura cresciuta di 2 punti percentuali rispetto al momento in cui si e’ insediato al palazzo dell’Eliseo e supera abbondantemente quella dell’inizio del mandato nel 2012 del suo predecessore, il socialista Hollande, che a questo punto del suo quinquennato raccoglieva il favore del 62 per cento degli intervistati. Il “periodo di grazia” di Macron si estende anche al suo primo ministro Philippe, che in base al sondaggio ottiene lo stesso livello di soddisfazione da parte dell’elettorato (64 per cento).
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Germania, a Dortmund la rincorsa faticosa di Schulz sulla Merkel
26 giu 11:17 – (Agenzia Nova) – Si e’ tenuto a Dortmund, questo fine settimana, il congresso del Partito della socialdemocrazia tedesco (Spd) che, per tentare di mettere in difficolta’ il cancelliere Angela Merkel in vista delle elezioni politiche del prossimo autunno, ha impostato la propria campagna elettorale su un attacco sistematico dei programmi elettorali dell’Unione di centrodestra, partendo da politica pensionistica, tasse patrimoniali e sicurezza. Secondo la “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, pero’, si e’ trattato di un grave errore tattico, e i sondaggi lo riflettono: il candidato socialdemocratico Martin Schulz, che nominato segretario dei Socialdemocratici aveva annunciato peri l paese e l’Europa un “cambiamento epocale”, ha accumulato un consistente svantaggio sulla Merkel. Le maggiori promesse dell’Spd sono un aumento consistente degli investimenti e maggior giustizia fiscale, ma come sottolineai l quotidiano, il programma socialdemocratico si discosta poco da quello della Cdu e dell’Fdp. La leadership dell’Spd pare essersene tardivamente accorta a Dortmund: Scegliere Merkel vuol dire scegliere anche Hotst Seehofer, ha commentato il leader socialdemocratico, riferendosi al segretario della Csu e uno degli esponenti della coalizione di governo dalle posizioni piu’ rigide in materia di immigrazione. Due punti sono stati sottolineati anche dall’ex cancelliere Schroeder: la politica della Merkel in Iraq e il tema dell’Europa, che i Socialisti chiedono di rifondare.
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Germania, migrazioni: rimpatri aerei in Afghanistan passando per Oslo
26 giu 11:17 – (Agenzia Nova) – Il volo per il rimpatrio di migranti afgani giudicati pericolosi, programmato dal ministero dell’Interno tedesco per mercoledi’ prossimo, e’ stato rinviato sia per la precaria situazione della sicurezza nel paese centro-asiatico, sia per i problemi dell’ambasciata tedesca a Kabul dopo l’attacco terroristico di fine maggio. Il ministero degli Esteri tedesco e’ chiamato a presentare una nuova valutazione sulla sicurezza della capitale afgana entro il mese di luglio. A causa dei danni subiti dall’ambasciata tedesca, le richieste di visto per la Germania non accettate sono 1.500-2.000; si tratta perlopiu’ di pratiche per il ricongiungimento familiare, scrive la “Sueddeutsche Zeitung”. Il segretario di Stato Michael Roth ha avvertito che l’esame delle domande non potra’ riprendere a “breve-medio termine”. Questo ha sollevato le proteste di Ulla Jelpke, esponente della Linke. “Il governo federale deve porre immediatamente rimedio a questa situazione”, ha detto la deputata tedesca. Dal 13 giugno 41 richiedenti asilo sono stati trasportati dalla Germania ad Oslo, in prevalenza somali e afgani che erano entrati nel Paese illegalmente dalla Norvegia. Quest’ultima nazione considera l’Afghanistan sicuro e opera rimpatri verso quel paese, il che ha suscitato le proteste di Ulrike Sailor Katz, portavoce del Consiglio per i rifugiati del Meclemburgo-Pomerania Anteriore.
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A Genova l’outsider Marco Bucci tenta di superare la guerra delle destre italiane
26 giu 11:17 – (Agenzia Nova) – Per mesi la campagna per le elezioni municipali di Genova non ha suscitato in Italia che un interesse moderato: lo scrive il quotidiano progressista francese “Le Monde”, rilevando come al contrario la vittoria a sorpresa dell’outsider Marco Bucci abbia invece destato grande interesse nella Penisola, offrendo alle destre italiane un successo altamente simbolico ed un modello per ricostituire l’unita’ delle destre in vista delle elezioni politiche nazionali. Nell’analisi pubblicata alla vigilia del secondo turno di ballottaggio vinto da Bucci ieri domenica 25 giugno, il corrispondente da Roma del “Monde”, Je’rome Gautheret, sottolinea infatti come il candidato del centrodestra abbia non soltanto conquistato Genova, il principale porto italiano dove c’e’ una forte componente operaia e bastione del progressismo amministrato per diversi decenni dal centrosinistra; ma abbia anche messo fuori gioco il Movimento 5 stelle (M5s) fondato dal comico genovese Beppe Grillo. L’estromissione del M5s al primo turno dell’11 giugno scorso aveva attirato l’attenzione nazionale: dovuta in gran parte agli errori dello stesso Grillo nella scelta dei candidati, era stata vista dai media italiani come la prima vera battuta d’arresto dell’ascesa dei grillini verso la conquista del potere nazionale. La vittoria di Bucci a Genova contro lo sfidante del centrosinistra Gianni Crivello, appoggiato dal sindaco uscente Marco Doria, puo’ rappresentare secondo il “Monde” un modello vincente delle destre italiane, che a livello nazionale sono perennemente in guerra tra il partito Forza Italia di Silvio Berlusconi, la Lega Nord di Matteo Salvini e la formazione post-fascista Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni.
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