Usa, dalla “Washington Post” nuove rivelazioni sui presunti contatti tra Trump e la Russia
04 apr 10:54 – (Agenzia Nova) – Gli Emirati Arabi Uniti avrebbero organizzato lo scorso gennaio un incontro segreto tra il fondatore della compagnia militare privata Blackwater (oggi Academi), Erik Prince, e “un russo vicino al presidente Vladimir Putin”, nel tentativo di “creare un canale di comunicazione ufficioso tra Mosca e il presidente eletto Donald Trump”. E’ quanto afferma in esclusiva la “Washington Post”, che cita come fonti anonimi funzionari “statunitensi, europei e arabi”. L’incontro si sarebbe tenuto lo scorso 11 gennaio alle Seychelles, nell’Oceano Indiano. Anche se “l’agenda dell’incontro resta poco chiara”, Gli Emirati avrebbero accettato di mediare l’incontro “per esplorare se la Russia potesse essere persuasa a ridimensionare le sue relazioni con l’Iran, con particolare riferimento al teatro Siriano”. Un obiettivo che pare avere poco a che fare con le presunte intromissioni di Mosca nel “processo democratico” statunitense, ma che secondo la “Washington Post” implicherebbe “importanti concessioni a Mosca sul fronte delle sanzioni statunitensi”. Come precisato dallo stesso quotidiano Usa, Prince non ha esercitato alcun ruolo formale o ufficioso nel contesto della campagna elettorale di Trump, ma “ne e’ stato un entusiasta sostenitore”, ed ha contribuito alla sua campagna con una donazione da 250 mila dollari. Inoltre, “e’ legato a membri del circolo personale del presidente”, a partire dal capo della strategia della Casa Bianca, Stephen K. Bannon; e sua sorella, Betsy De Vos, e’ stata nominata segretario dell’Istruzione dal presidente. Stando alle fonti usa citate dalla “Washington Post”, l’incontro alle Seychelles e’ oggetto delle indagini dell’Fbi sulle presunte interferenze della Russia nelle elezioni presidenziali statunitensi dello scorso anno e i “presunti contatti tra collaboratori di Putin e Trump”. “Non siamo a conoscenza di alcun incontro alle Seychelles, ed Erik Prince non ha ricoperto alcun ruolo nel processo di transizione presidenziale”, ha commentato ieri il portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer. Un portavoce di Prince ha definito l’intera questione “una completa montatura. L’incontro non ha avuto nulla a che fare con il presidente Trump. Mi chiedo per quale ragione la comunita’ d’intelligence, che si proclama sotto-finanziata, si dedichi alla sorveglianza di cittadini statunitensi anziche’ dare la caccia ai terroristi”. Yousef Al Otaiba, ambasciatore degli Emirati Arabi a Washington, ha preferito non commentare le rivelazioni del quotidiano Usa, e lo stesso ha fatto l’Fbi, dai cui ranghi sono giunte le rivelazioni.
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Regno Unito, la Camera dei Comuni esorta il governo a valutare l’impatto dell’uscita dall’Ue senza un accordo
04 apr 10:54 – (Agenzia Nova) – La commissione Brexit della Camera dei Comuni del Regno Unito, riferisce il “Financial Times”, ha esortato il governo a valutare le conseguenze dell’eventuale uscita dall’Unione Europea senza un’intesa. Per i deputati l’affermazione della premier, Theresa May, secondo la quale “nessun accordo e’ meglio di un cattivo accordo”, e’ “priva di fondamento” perche’ non poggia su valutazioni delle possibili implicazioni. Le conclusioni del rapporto parlamentare sono state contestate dai membri antieuropeisti della commissione, in particolare Dominic Raab, che le hanno ritenute parziali e troppo cupe. Il documento e’ stato, dunque, approvato a maggioranza, con undici voti favorevoli e sei contrari; due esponenti critici, Michel Gove e Peter Lilley, non hanno partecipato alla sessione finale. Il presidente, il laborista Hilary Benn, accusato di forzature, ha difeso il lavoro, sottolineando che l’opinione pubblica e il parlamento hanno diritto alla massima informazione possibile sull’impatto delle scelte, sulle opzioni disponibili e sulle misure volte a limitare i danni. Nella relazione si chiede anche che i deputati votino sulla questione perche’ l’eventuale passaggio al regime dell’Organizzazione mondiale del commercio non sarebbe meno significativo di qualsiasi altro accordo commerciale sul quale il parlamento sarebbe chiamato a esprimersi. Non si specifica, pero’, che cosa succederebbe nel caso di un voto negativo, anche se e’ probabile che il governo dovrebbe continuare a negoziare con l’Ue.
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Il Regno Unito cerca di sciogliere le tensioni con l’Ue su Gibilterra
04 apr 10:54 – (Agenzia Nova) – La premier del Regno Unito, Theresa May, e il segretario agli Esteri, Boris Johnson, riferisce il quotidiano britannico “The Guardian”, hanno cercato di sciogliere le tensioni con l’Unione Europea sulla questione di Gibilterra, liquidando l’ipotesi di un’escalation militare e suggerendo un approccio conciliante. Dopo la dichiarazione del ministro degli Esteri spagnolo, Alfonso Dastis – “Qualcuno nel Regno Unito sta perdendo la calma” – May ha preso le distanze dalla retorica aggressiva seguita alla pubblicazione delle linee guida negoziali europee, in particolare quella dell’ex leader conservatore Michael Howard, che ha fatto un paragone con la guerra delle Falkland. Parlando dall’areo che la portava in Giordania, la leader di Downing Street ha riso dell’idea di un conflitto con la Spagna: “Quello che ci accingiamo a fare con tutti i paesi dell’Unione Europea e’ sederci e parlare. Discuteremo del miglior accordo possibile per il Regno Unito e per quei paesi, Spagna compresa”. Riguardo alla Rocca, ha aggiunto: “La nostra posizione su Gibilterra non e’ cambiata, lavoreremo per ottenere il miglior accordo commerciale per il Regno Unito e il miglior accordo possibile per Gibilterra e lavoreremo insieme al governo di Gibilterra”. Johnson, nel frattempo, si prepara a incontrare il suo omologo tedesco, Sigmar Gabriel, al quale dira’ che Gibilterra non deve essere usata come merce di scambio e che la Gran Bretagna non fara’ leva sui temi della sicurezza e della difesa. Da parte sua, Gabriel ha espresso riserve sulla possibilita’ che il divorzio e la nuova partnership possano essere definiti entrambi in due anni.
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Spagna, la stampa si appassiona alla schermaglia con Londra su Gibilterra
04 apr 10:54 – (Agenzia Nova) – Nelle linee guida del negoziato che Bruxelles e Londra dovranno sostenere per l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea c’e’ un punto al centro dell’attenzione dei media spagnoli. Il quadro dei rapporti tra le parti, a Brexit concluso, non potra’ applicarsi al territorio di Gibilterra in mancanza di un accordo tra Madrid e Londra. In pratica, la piccola colonia britannica che da’ nome allo stretto rimarra’ in una sorta di limbo legale fino a quando anche il governo spagnolo, e non solo quello comunitario, non si pronuncera’. La decisione ha parzialmente riacceso gli animi e spinto un vecchio leader tory come Michael Howard a ricordare l’intervento fatto dalla Marina del Regno Unito per riprendere all’Argentina il possesso delle isole Falkland, esattamente 35 anni fa. I quotidiani spagnoli rilanciano le dichiarazioni piu’ o meno apertamente critiche delle autorita’ comunitarie verso le parole di Howard e si soffermano sulla risata strappata al premier Theresa May quando, durante il viaggio per la Giordania, le e’ stato chiesto di una possibile guerra tra Regno Unito e Spagna. Nessuno parla di crisi, anche se il quotidiano “El Pais” spiega che proprio per “abbassare la tensione” si sono incontrati il capo negoziatore britannico David Davis e il ministro degli Esteri spagnolo Alfonso Dastis. Lo stesso che, en passant, ha segnalato alla stampa come appaia che “la tradizionale flemma britannica brilla per la sua assenza”. “El Mundo”, toccando un altro tema “caro” ai suoi lettori, ha rilanciato una nota pubblicata da “The Daily Telegraph”, nel quale un ex ministro e membro della Camera dei Lords, Norman Tebbit, invitava Londra a appoggiare la causa indipendentistica della Catalogna per premere su Madrid. Sul tema si esprime anche il quotidiano conservatore “Abc”: “Gibilterra e’ un simbolo importante nel reliquiario sentimentale dell’ala destra del partito conservatore, una sorta di ricordo vivo di vecchie glorie imperiali. Per questo May usato molto tatto nel momento di affrontare la questione” si legge nell’articolo che ricorda le prudenze delle due diplomazie anche in vista della visita di Stato che i reali spagnoli sosterranno nel regno Unito a giugno. “La Vanguardia”, ricorda da parte sua la lunga serie di schermaglie verbali che “quasi ogni anno” si producono per questioni contingenti logistiche, militari e commerciali che nascono dalla stretta vicinanza delle due entita’.
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Francia, i candidati presidenziali “minori” all’assalto del dibattito tv
04 apr 10:54 – (Agenzia Nova) – Per la prima volta nella storia delle presidenziali francesi, tutti i candidati saranno ospitati al grande dibattito pre-elettorale televisivo che si terra’ stasera martedi’ 4 aprile sugli schermi delle reti BfmTv e CNews: la novita’, scrive il quotidiano “Le Figaro”, e’ tale da inquietare i cinque candidati principali che hanno partecipato al primo dibattito tv tenutosi il 20 marzo scorso. Allora la leader del Front national (Fn) di estrema destra Marine Le Pen, il candidato “indipendente” di estrema sinistra Emmanuel Macron, quello del centro-destra Francois Fillon, il leader dell’estrema sinistra Jean-Luc Me’lenchon ed il candidato ufficiale del Partito socialista (Ps) Benoit Hamon, ebbero 45 minuti a testa per esporre i propri programmi e dire la loro sull’attualita’ politica; stavolta invece ciascuno degli 11 candidati ammessi al primo turno delle elezioni presidenziali del 23 aprile prossimo avra’ a disposizione solo 15 minuti: e per i candidati “minori” sara’ una preziosa occasione per farsi conoscere dal grande pubblico. Si tratta di personalita’ anche assai originali, che si presentano alla festa di partitini e gruppuscoli o addirittura di movimenti “personali”: si va dai due esponenti della sinistra piu’ estrema, Natalie Artaud (Lotta operaia) e Philippe Poutou (Nuovo partito anticapitalista) al centrista Jean Lassalle che si presenta come il difensore delle popolazioni rurali delle zone piu’ remote del paese. Gli altri tre candidati sono tutti euroscettici e sovranisti: François Asselineau, che di professione e’ ispettore generale delle Finanze ed ha fondato un piccolo partito, l’Unione popolare repubblicana (Upr); Jacques Cheminade, che si presenta per la terza volta dopo il 1995 ed il 2012 con idee talvolta bislacche come la costruzione di un “aero-treno mondiale” o la colonizzazione della Luna e di Marte. E poi c’e’ soprattutto Nicolas Dupont-Aignan, fondatore del movimento “Debout la France” (“Francia in piedi”, ndr) che si definisce “l’unico candidato gollista” ed e’ il solo tra i “minori” a cui i sondaggi attribuiscono una percentuale meno che trascurabile di intenzioni di voto e che proprio per questo potrebbe danneggiare seriamente le chanche di Francois Fillon di superare il primo turno ed approdare al turno di ballottaggio del 9 maggio prossimo.
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Le elezioni presidenziali francesi preoccupano Bruxelles
04 apr 10:54 – (Agenzia Nova) – Nessuna delle istituzioni dell’Unione Europea ha un “piano B” nel caso che a vincere le elezioni presidenziali in Francia sia Marine Le Pen; almeno ufficialmente: lo scrive il quotidiano progressista “Le Monde”, in un articolo in cui i giornalisti Jean-Pierre Stroobants e Ce’cile Ducourtieux dell’ufficio di corrispondenza da Bruxelles analizzano l’atteggiamento dei partner europei della Francia di fronte alla sorprendete campagna elettorale in corso. Un atteggiamento che e’ improntato ad una estrema prudenza, anche alla luce delle recenti “lezioni” impartite dalla vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti e dal voto per la Brexit nel Regno Unito: nessuno vuole neppure prendere in considerazione lo scenario catastrofico di un’eventuale vittoria della leader del Fron national (Fn). Alla Commissione europea, le domande sull’argomento vengono evitate e bollate come “poco costruttive”; ed e’ quasi certo che il presidente Jean-Claude Juncker evitera’ qualsiasi intervento nella campagna elettorale francese: “E’ abbastanza complicata gia’ adesso”, dicono nel suo entourage. Ma cio’ non significa che l’Ue non cerchera’ in qualche modo di esercitare la propria influenza: simbolicamente, il vertice in cui i governi dei 27 dovranno mettere a punto una posizione comune nelle trattative per l’uscita della Gran Bretagna e’ stato fissato il 29 aprile, esattamente tra il primo ed il secondo turno delle presidenziali francesi. La vittoria della Le Pen e’ considerata improbabile, ma non e’ piu’ “impensabile” e a Bruxelles e’ presente nei retropensieri di tutti: e il fatto che in Europa molti elettori siano sensibili alle sirene dei movimenti populisti non puo’ essere negletto. E’ un messaggio che sembra esser stato compreso dalla Commissione europea che oggi martedi’ 4 aprile organizza un dibattito su due materie.chiave: la dimensione sociale del progetto europeo e l’approfondimento dell’unione economica e monetaria; un’occasione per Juncker di insistere sulle “buone soluzioni” che l’Europa rinnovata potrebbe adottare in materi di occupazione, energia ed economia digitale. La convinzione generale insomma e’ che “se l’Ue continuera’ ad essere identificata solo con le cosiddette elite cosmopolite, finira’ per perdere la sua battaglia”.
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Usa, l’amministrazione Trump rilancia le relazioni con l’Egitto
04 apr 10:54 – (Agenzia Nova) – Sin dalla sua ascesa al potere con un golpe militare, nel 2013, il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi ha scontato un inflessibile ostracismo da parte di Washington. Il presidente Usa Donald Trump ha ricomposto la frattura diplomatica con il leader del piu’ popoloso Stato arabo al mondo ieri, riservando ad al Sisi una calorosa accoglienza alla Casa Bianca e ufficializzando cosi’ un brusco riassestamento delle relazioni bilaterali dai diritti umani alla cooperazione sul fronte della sicurezza. Trump ha elogiato il suo omologo egiziano per l’intera giornata di ieri, riconoscendogli di aver fatto “un lavoro fantastico in una situazione molto difficile”. “Concordiamo su moltissime cose”, ha aggiunto il presidente Usa durante le foto di rito all’Ufficio ovale, rassicurando il suo ospite che l’Egitto “ha un alleato e un amico sincero negli Stati Uniti e in me”. Al Sisi ha ricambiato esprimendo apprezzamento per la “personalita’ unica” del presidente Usa, ed elogiandolo per i suoi sforzi tesi a contrastare quella che al Sisi ha definito “una malvagia ideologia votata a terrorizzare persone innocenti”. L’Egitto, ha detto al Sisi sara’ sempre “un forte alleato” nella lotta al terrorismo. La visita del presidente egiziano a Washington – la prima dalla sua ascesa al potere – contribuisce in maniera determinante alla sua legittimita’ internazionale. I quotidiani Usa concordano dunque che per al Sisi quella di ieri e’ una indiscutibile vittoria; e’ troppo presto, invece, affermare altrettanto per Washington. Come afferma Eric Trager, esperto di relazioni con l’Egitto presso il Washington Institute, “l’incognita fondamentale, d’ora innanzi, e’ se Trump riuscira’ a tradurre l’entusiastico abbraccio ad al Sisi in una cooperazione migliore e piu’ profonda con l’Egitto”. Al lungo incontro tra Trump e Sisi hanno preso parte anche il segretario di Stato Usa, Rex Tillerson, e quello della Difesa, Jim Mattis, oltre al capo della strategia Steve Bannon ed altri importanti funzionari della Casa Bianca. Il portavoce della Casa Bianca, Sean Spier, non e’ entrato nei dettagli della conversazione tra i due capi di Stato, limitandosi ad affermare che Trump e al Sisi hanno intrattenuto un “dialogo franco in merito alle aree di cooperazione e preoccupazione comune”. Il colloquio, sottolineano fonti citate dal “Wall Street Jounrnal”, ha riguardato anche la questione israelo-palestinese: Washington guarda all’Egitto come ad un partner fondamentale per il rilancio del processo di pace mediorientale. L’Egitto e’ rimasto in questi anni uno dei principali beneficiari dell’assistenza militare e degli aiuti esteri statunitensi, che ammontano a circa 1,5 miliardi di dollari l’anno. La bozza di bilancio federale presentata al Congresso dalla Casa Bianca non include alcuna garanzia scritta in merito alla prosecuzione degli aiuti all’Egitto o a qualunque altro paese, fatta eccezione per Israele.
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Venezuela, 19 paesi delle Americhe condannano la “violazione” della democrazia a Caracas
04 apr 10:54 – (Agenzia Nova) – Il Consiglio permanente dell’Organizzazione degli Stati Americani ha approvato a maggioranza una risoluzione di censura per “la violazione dell’ordine costituzionale in Venezuela”. Un passo maturato al termine di una lunga sessione dell’organismo che riunisce i paesi dell’intero continente e che puo’ segnare un momento di svolta nelle relazioni con Caracas. Il Consiglio esprime “profonda preoccupazione per la grave violazione incostituzionale dell’ordine democratico” nel paese, tornando ad offrire “appoggio continuo al dialogo e al negoziato per dare luogo a una restaurazione pacifica dell’ordine democratico”. La scorsa settimana il Tribunale supremo di giustizia (Tsj) aveva con una sentenza esautorato il parlamento dalle funzioni legislative, ultimo atto di un braccio di ferro che ha attirato l’attenzione e le critiche delle opposizioni interne e della comunita’ internazionale. Il successivo disconoscimento della sentenza non ha impedito all’Osa di ricordare a Caracas che “la separazione e l’indipendenza dei poteri pubblici e’ uno degli elementi essenziali della democrazia rappresentativa”. La riunione del Consiglio permanente, convocata d’urgenza venerdi’, e’ stata sofferta. La Bolivia, da sabato presidente di turno dell’organismo e grande alleata “bolivariana” del Venezuela, ha cercato di revocarla ma alla fine i delegati di 23 dei 34 paesi aderenti all’organismo si sono presentati all’appuntamento. La mozione e’ passata a maggioranza, senza nessun voto contrario e l’astensione di quattro paesi: El Salvador, Repubblica dominicana, Bahamas e Belize. La reazione, dura, di Caracas non si e’ fatta attendere: l’Osa e’ “un tribunale dell’inquisizione” e ha firmato un “colpo di stato alla vicepresidenza e alla presidenza del Consiglio permanente”, ha detto il presidente Nicolas Maduro nel corso della riunione del consiglio dei ministri trasmesso in televisione.
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Africa Orientale, la Germania stanzia altri 100 milioni di euro per far fronte alla carestia
04 apr 10:54 – (Agenzia Nova) – La Germania si e’ impegnata a stanziare altri 100 milioni di euro per far fronte alla carestia nell’Africa Orientale. Lo ha annunciato ieri il ministro dello Sviluppo Gerd Muller (Csu), prima di partire alla volta di Addis Abeba per concordare l’impiego dei fondi con i governi locali. Con questo nuovo contributo sale a 300 milioni il totale degli aiuti che la Germania si e’ impegnata a stanziare quest’anno in favore di quella regione africana. A marzo il segretario generale delle Nazioni Unite aveva chiesto alla comunita’ internazionale di stanziare 4,4 miliardi di dollari per i paesi africani. L’Africa Orientale, in particolare, e’ vittima di una delle peggiori siccita’ registrate da decenni a questa parte. Nella sola Etiopia circa 5,6 milioni di persone necessitano di aiuti alimentari, ma le agenzie umanitarie lamentano la burocrazia etiope, che ostacola la creazione di strutture di accoglienza per i profughi provenienti dalla Somalia e dal Sudan. La Germania ha fornito dall’autunno del 2015 circa 74 milioni di euro per la sicurezza alimentare, la sanita’, l’acqua e i servizi igienico-sanitari.
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Germania, il governo federale boccia la proposta di una legge sul culto islamico
04 apr 10:54 – (Agenzia Nova) – Il Governo federale tedesco non intende varare alcuna legge sull’Islam. Lo ha riferito lunedi’ il portavoce del governo, Steffen Seibert, commentando il dibattito in corso tra gli schieramenti politici e all’interno della maggioranza parlamentare. Seibert ha sottolineato l’importanza della liberta’ di culto, definendola “una della liberta’ centrali della Costituzione tedesca”. Il governo, ha aggiunto il portavoce, “ha interesse ad una buona convivenza con i musulmani”. Alcuni esponenti della Cdu, il partito del cancelliere Angela Merkel, avevano avanzato nei giorni scorsi la proposta di una legge ad hoc sul’Islam, che regolasse tra le altre cose l’attivita’ delle moschee e l’accesso dei predicatori musulmani alle carceri e ad altre strutture pubbliche, e di un registro pubblico delle moschee tedesche. Tanto i Verdi quanto l’Spd, pero’, avevano contestato la proposta, opponendole la stessa linea adottata ieri dal governo. Il Verde Omid Nouripour, ad esempio, aveva affermato che la Costituzione tedesca norma gia’ in maniera adeguata il diritto di culto ed i suoi limiti. Alcune critiche al riguardo erano state espresse anche da esponenti della maggioranza. L’ex segretario generale della Cdu, Ruprecht Polenz, sabato ha definito la proposta “un’idea populista”. In Germania vivono sono quattro milioni di musulmani, e sorgono 2.500 moschee, talvolta beneficiarie di opachi finanziamenti da parte di soggetti esteri.
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