Usa, il dipartimento di Giustizia si piega a media e Democratici, nomina un supervisore speciale per le indagini sulla Russia
18 mag 10:57 – (Agenzia Nova) – Il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha annunciato a sorpresa, nella giornata di ieri, la nomina di un “procuratore speciale”, incaricato di dirigere le indagini del Federal Bureau of Investigation (Fbi) sulle intromissioni russe nelle elezioni presidenziali dello scorso anno e i presunti “contatti” tra il governo di Mosca e la campagna elettorale del presidente Donald Trump. Si tratta di Robert S. Mueller III, un ex procuratore che ha servito per oltre un decennio a capo dell’Fbi. La decisione, assunta a quanto pare dal vice procuratore generale, Rod J. Rosenstein – il procuratore generale Jeff Sessions aveva infatti deciso di ricusare se’ stesso dalle indagini sulla Russia – segna una vittoria eclatante per i Democratici e i grandi media ostili al presidente, che da mesi chiedono l’avvio di indagini “indipendenti” in merito alla “collusione” tra la Russia e Trump, che non risulta indagato ne’ sospettato di alcunche’ di concreto. La decisione improvvisa di Trump di licenziare il direttore dell’Fbi James Comey, la scorsa settimana, ha innescato un’apocalisse mediatica contro il presidente; nonostante Comey fosse disprezzato per primi proprio dai Democratici, che avevano chiesto per mesi le sue dimissioni, imputandogli la sconfitta di Hillary Clinton alle presidenziali di novembre, la decisione di Trump e’ stata denunciata dai suoi oppositori come un brutale attacco alle istituzioni democratiche, e alla Costituzione. I principali quotidiani Usa sottolineano oggi il profilo integerrimo dell’uomo scelto dal dipartimento di Giustizia per guidare le indagini. Mueller ha guidato l’Fbi dal 2001 al 2013, ed e’ noto per la sua disciplina ferrea. Ha comunicato l’accettazione dell’incarico con una nota di poche parole: “Accetto questa responsabilita’, e vi adempiero’ al massimo delle mie capacita’”. A stretto giro di boa la Casa Bianca ha diffuso una nota del presidente Trump: “Una indagine rigorosa confermera’ quanto gia’ sappiamo: non c’e’ mai stata alcuna collusione tra la mia campagna e una qualunque entita’ esterna. Auspico che questa faccenda possa essere risolta il prima possibile. Nel frattempo, non smettero’ di battermi per le persone e le questioni da cui dipende il futuro del nostro paese”. E se i Democratici, nonostante l’inattaccabile profilo dell’ex direttore dell’Fbi, ancora non si dicono soddisfatti – la leader della minoranza democratica alla Camera, Nancy Peolosi, ha insinuato che lo stesso Mueller non sia del tutto credibile – la “Washington Post” e il “New York Times” gia’ immaginano un impeachment. Secondo Jennifer Rubin, una delle firme di punta della “Washington Post”, “la Casa Bianca dovrebbe reagire con terrore alla nomina di Mueller”. Anche per il “New York Times”, sulla collusione Trump-Russia non esiste alcun dubbio, come del resto sull’intenzione del presidente di insabbiare le indagini in corso da quasi un anno, e sinora inconcludenti; secondo un editoriale della direzione del quotidiano, “se il presidente Trump credeva di poter sopprimere le indagini a suo carico licenziando il direttore dell’Fbi, James Comey, si sbagliava. L’indagine ora e’ affidata alla leadership di un ex direttore dell’Fbi, ed e’ una figura che il presidente non potra’ licenziare autonomamente”. Proprio a questo proposito, la direzione del “Wall Street Journal” attribuisce all’amministrazione Trump un grave errore: la scelta di Mueller di per se’ e’ impeccabile, scrive il quotidiano, ma e’ la decisione stessa di nominare un supervisore speciale delle indagini ad essere un clamoroso errore: “Potra’ offrire un po’ di sollievo a breve termine, ma spalanca anni di rischio politico per l’amministrazione Trump, e non offre nessuna garanzia al pubblico di una maggior comprensione di quanto accaduto”. Il problema dei procuratori speciali, sottolinea l’editoriale, e’ che “per definizione non sono politicamente responsabili del loro operato”: anche se tecnicamente il viceprocuratore potrebbe revocare il mandato a Mueller, nel caso questi decidesse di ampliare senza freni l’ambito delle indagini, “le modalita’ della sua nomina e le questioni che e’ chiamato a indagare lo rendono di fatto intoccabile, anche nel caso decidesse di trasformarsi in un novello Javert come Patrick Fitzgerald ai tempi dell’amministrazione di George W. Bush”. Il paese ha bisogno di di una indagine di controintelligence, conclude il quotidiano, ma Mueller “sara’ sotto costante pressione per produrre incriminazioni di qualche sorta, cosi’ da giustificare il proprio mandato”. Il caso, gonfiato a dismisura dalla campagna politico-mediatica contro il presidente in carica, “attirera’ senz’altro giovani procuratori ambiziosi decisi a incidere il proprio nome su indagini di cosi’ alto profilo”. E le indagini potranno espandersi senza limiti di tempo o di ambito, tenendo costantemente sotto scacco la Casa Bianca. Quanto a Mueller, ha 72 anni e una reputazione e uno stato di servizio di altissimo livello, “ma e’ anche un insider di Washington di lunga data, vicinissimo agli ambienti dell’Fbi il cui direttore e’ stato appena licenziato, e noto per la sua sensibilita’ alle mutevoli correnti politiche”.
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Francia, Macron in marcia verso la destra
18 mag 10:57 – (Agenzia Nova) – Il primo esecutivo nominato dal neopresidente francese Enmmanuel Macron e’ marcato dal governo dell’Economia affidato a due ministri, Bruno Le Maire e Ge’rald Darmanin, che provengono dalla destra come il premier Edouard Philippe, dalla presenza del centrista François Bayrou alla Giustizia e dalla scelta di alcuni socialisti appartenenti all’ala piu’ “liberale”: insomma e’ una squadra che sposta decisamente piu’ a destra l’asse poltico francese: e’ questo in sintesi il giudizio che il quotidiano “Le Figaro” da’ della composizione del nuovo governo annunciato ieri sera mercoledi’ 17 maggio. Un esecutivo, lo descrive il piu’ importante giornale conservatore del paese, in cui c’e’ “serieta’, senza fronzoli, un po’ di destra, assai poco di sinistra, con dei centristi e dei fedelissimi, con qualche trovata, una dose di tattica e le elezioni parlamentari nel mirino”. Perche’ infatti la priorita’ del neopresidente in questo momento e’ ottenere una maggioranza all’Assemblea Nazionale che uscira’ dalle elezioni parlamentari dell’11 e 18 giugno prossimo: dopo esser riuscito a svuotare il bacino del Partito socialista nella campagna presidenziale, ora il primo obbiettivo di Macron e’ proprio “disarmare” la destra, offrire pochi spunti alla sua propaganda elettorale voltando radicalmente la pagina del quinquennato di Francois Hollande. E puntare ad una disarticolazione dei partiti di destra e di centro, partendo proprio dalla scelta dei Repubblicani Bruno Le Maire all’Economia ed all’Industria e di Ge’rald Darmanin al Bilancio ed alla Funzione pubblica, incaricati di varare quelle riforme di cui la Francia ha disperatamente bisogno per rompere un quadro sociale troppo sclerotizzato e rilanciare la sua competitivita’. La destra ha gia’ reagito con durezza, rivelando pero’ il suo nervosismo: la direzione de I Repubblicani (Lr, ex Ump) ha immediatamente emesso un comunicato con cui bolla i due “traditori” Le Maire e Darmanin, che “hanno scelto essi stessi di abbandonare la propria famiglia politica”. Il comunicato non fa menzione di una procedura formale di espulsione, ma Bruno Le Maire ha colto la palla al balzo: “La Francia e’ piu’ importante dei partiti”, ha replicato; “Hanno scelto di espellermi, gli elettori giudicheranno”. La battaglia per la conquista dell’anima moderata dei francesi e’ stata ingaggiata.
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Francia, il sottile dosaggio del governo di Macron e Philippe
18 mag 10:57 – (Agenzia Nova) – Ne’ di destra, ne’ di sinistra … e neppure del movimento En Marche! fondato da Emmanuel Macron per lanciare la sua tumultuosa corsa fino all’Eliseo; se si vuole proprio dare un’etichetta al primo governo del neo presidente e del suo primo ministro Edouard Philippe, ebbene questa puo’ forse essere quella della “societa’ civile”: cosi’ il quotidiano economico “Les Echos” definisce la composizione dell’esecutivo annunciato ieri sera mercoledi’ 17 maggio. La meta’ dei 18 ministri infatti non viene dai ranghi dei partiti e benche’ di alcuni fra loro siano note le simpatie politiche, si tratta di personalita’ di riconosciuta esperienza nei rispettivi settori: da Françoise Nyssen, direttrice della casa editrice Actes Sud, nominata alla Cultura; a Laura Flessel, due volte medaglia olimpica nella spada scelta per lo Sport; passando per Elisabeth Borne, presidente esecutiva della rete ferroviaria regionale Ratp, nominata ai Trasporti. Nove ministri vengono appunto dalla societa’ civile: Macron ha sostanzialmente varato un governo di esperti, come si era impegnato a fare durante la campagna elettorale. Ed ha anche mantenuto la promessa di rinnovamento, scegliendo solo quattro ministri con una passata esperienza governativa: il centrista François Bayrou alla Giustizia, il socialista Jean-Yves Le Drian all’Europa ed agli Esteri, il Repubblicano (destra, ndr) Bruno Le Maire all’Economia e Annick Girardin ai Territori d’Oltremare. Rispettata anche la parita’ dei sessi, anche se nell’ordine protocollare 5 dei primi 6 ministri sono uomini. Ma soprattutto la composizione del governo riflette il nuovo equilibrio politico che il presidente Macron si ripromette di imporre alla vita pubblica francese. Innanzitutto naturalmente ci sono i compagni di strada della prima ora: oltre a Bayrou, ha affidato gli Interni al suo “braccio destro” Ge’rard Collomb ed ha scelto la centrista Sylvie Goulard alla Difesa (ribattezzato ministero delle Forze Armate). Premiati alcuni esponenti della sinistra piu’ “governativa”, come appunto Le Drian e l’ecologista “atipico” Nicolas Hulot all’Ambiente ed al Rinnovamento energetico. Ma soprattutto Macron ha scelto due personalita’ della destra “moderata” per rilanciare le riforme economiche di cui la Francia ha disperatamente bisogno: Bruno Le Maire al ministero dell’Economia e Ge’rald Darmanin ministri per i Conti pubblici (Bilancio); senza contare il primo ministro Edouard Phiippe, che anche lui viene dalla destra. La prima missione di questo governo, conclude l’analisi di “Les Echos”, sara’ di permettere al presidente Macron di raccogliere una maggioranza nell’Assemblea Nazionale che uscira’ dalle elezioni parlamentari dell’11 e 18 giugno prossimo.
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Bce, i tassi dovrebbero salire da gennaio 2018
18 mag 10:57 – (Agenzia Nova) – Il presidente della Banca centrale europea (Bce), Mario Draghi, intervenuto la scorsa settimana al parlamento olandese, ha aperto uno spiraglio sul superamento della politica dei bassi tassi d’interesse, in considerazione della generale ripresa economica e dell’inflazione dell’area euro. Secondo Eurostat, nel mese di aprile i prezzi al consumo sono aumentati all’interno dell’eurozona dell’1,9 per cento rispetto allo stesso mese dello scorso anno, un tasso prossimo a quello del 2 per cento che la Bce ha adottato ad obiettivo delle sue politiche espansive. Secondo il segretario di Stato delle Finanze tedesco Jens Spahn, e’ importante non rimandare troppo a lungo il processo di ritorno a politiche monetarie e dei tassi d’interesse ordinarie. Il direttore della Bce, Yves Mersch, ha confermato la settimana scorsa che i tempi sono maturi per un dibattito al riguardo, ma ogni discussione deve “avvenire in modo strutturato, ordinato e ragionevolmente prudente”. Un’uscita troppo rapida, ha avvertito, porrebbe il rischio di successive correzioni. L’ottimismo di Mersch e’ dovuto anche all’elezione di Emmanuel Macron a presidente francese. Per quanto riguarda il programma di quantitative easing, che prevede l’acquisto di titoli obbligazionari sovrani per 60 miliardi di euro al mese, il ridimensionamento potrebbe avere inizio da gennaio 2018. Tanto il capo economista della Bce Peter Praet, quanto il governatore della Banca centrale austriaca, nonche’ membro del Consiglio direttivo della Bce Ewald Nowotny, si sono detti favorevoli a discutere la questione durante la prossima riunione del consiglio direttivo, nel mese di giugno. Il ridimensionamento del programma sara’ graduale, con una diminuzione di 10-20 miliardi al mese a partire da gennaio 2018.
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Brexit, Barnier chiede a May di lavorare con l’Ue e non contro
18 mag 10:57 – (Agenzia Nova) – Michel Barnier, capo negoziatore per la Brexit della Commissione europea, riferisce il quotidiano britannico “The Guardian”, ha esortato la premier del Regno Unito, Theresa May, a lavorare con e non contro l’Unione Europea nelle trattative che stanno per iniziare, dopo le recenti polemiche sulle presunte interferenze di Bruxelles nella campagna elettorale in corso in Gran Bretagna. In un intervento al Parlamento europeo, il politico francese ha messo in guardia dai toni aggressivi e ha dichiarato: “Certamente non ho intenzione di arrivare a nessun accordo o a un cattivo accordo. Vogliamo concludere un accordo col Regno Unito, non contro il Regno Unito. Mi piacerebbe che da parte del Regno Unito ci fosse lo stesso spirito, di raggiungere un accordo con l’Ue, non contro l’Ue”. Barnier ha respinto l’idea che Bruxelles voglia punire la Gran Bretagna o causare problemi al suo governo e ha esortato Londra a dimostrarsi un partner affidabile con un’intesa rapida sul saldo dei conti, sui diritti dei cittadini comunitari e sulla frontiera nordirlandese: “Non c’e’ molto tempo a disposizione per concludere un buon accordo (…) Dobbiamo fare in modo di risolvere i problemi dei cittadini, dei beneficiari dei fondi strutturali e dei confini. Dobbiamo creare le basi per la fiducia di cui c’e’ bisogno per costruire una relazione futura col Regno Unito, e’ una [condicio] sine qua non”. Riguardo al costo del divorzio, sul quale circolano stime di cento miliardi di euro, il capo negoziatore della Commissione ha precisato di non aver mai ipotizzato delle cifre e che la quantificazione dipendera’ dalla metodologia adottata e non sara’ di sua competenza. Barnier ha ammesso la possibilita’ di misure transitorie, ma ha aggiunto che “il vero periodo di transizione e’ adesso, prima dell’uscita”: “Vorrei raccomandare a tutti gli attori economici di usare questo periodo per far si’ che l’uscita, probabilmente nel marzo del 2019, sia piu’ ordinata possibile”.
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Brasile, un audio scatena il terremoto politico sul presidente Temer
18 mag 10:57 – (Agenzia Nova) – Un nuovo terremoto politico scuote il Brasile e, a un anno dall’impeachment che causo’ la caduta della presidente Dilma Rousseff, minaccia la sopravvivenza del governo di Michel Temer. I proprietari della Jbs, colosso mondiale di produzione di carni, hanno consegnato alla giustizia materiale audio e video dai quali risulterebbe che l’attuale capo di Stato ha appoggiato il pagamento di tangenti milionarie all’ex presidente della Camera dei deputati Eduardo Cunha, perche’ questi – dal carcere – non svelasse dettagli compromettenti per lo stesso Temer. La notizia, lanciata dal quotidiano “O Globo”, ha deflagrato in un istante su tutti i media nazionali e scatenato reazioni ovunque. “La sessione e’ chiusa, non ci sono piu’ le condizioni per lavorare”, ha detto il presidente della Camera Rodrigo Maia interrompendo i lavori di un’Aula scossa dal grido “Temer a casa”. Slogan che presto si sarebbe rovesciato sulle piazze, su cartelli agitati dagli stessi movimenti che la primavera scorsa chiedevano che Rousseff abbandonasse il palazzo di Planalto. Protagonista indiscusso di quella manovra fu lo stesso Cunha, considerato un archivio vivente di tutte le possibili trame di corruzione che attraversano la scena politica nazionale. A lui, secondo le prove presentate dai proprietari di Jbs Joesley e Wesley Batista, sarebbero andati i 500 mila reais (circa 160 mila dollari) settimanali per non fare rivelazioni scottanti sul conto del presidente e del suo partito (Pmdb, Partito del movimento democratico brasiliano). La Jbs, sottolinea l’edizione brasiliana del quotidiano “El Pais” inizia a collezionare un discreto numero di cause giudiziarie, e i fratelli Batista sono arrivati a un accordo con la magistratura per rilasciare deposizioni di peso in cambio di sconti di pena. Armati di un apparecchio nascosto, i fratelli Batista avrebbero registrato il capo di Stato nel momento in cui li esortava a non sospendere i pagamenti. E proprio grazie a questa rivelazione, la polizia federale ha filmato il momento in cui la valigia con la tangente finiva nelle mani dell’intermediario, il deputato Rodrigo Rocha Loures, con i 500mila reais marcati ad hoc per poter essere facilmente rintracciati. In una nota uscita a tarda serata, il presidente Temer conferma l’incontro con gli imprenditori ma nega qualsiasi coinvolgimento nelle presunte trame di corruzione svelate dai nastri. Le prove presentate dai dirigenti di Jbs promettono lo stesso potenziale esplosivo rappresentato dai dossier aperti per le inchieste sulla compagnia energetica Petrobras o sull’impresa delle costruzioni Odebrecht: anche in questo caso, il fango coinvolge il Partito dei lavoratori di Inacio Luis Lula da Silva e Dilma Rousseff. Temer non era nuovo ad accuse e sospetti ma la situazione e’ questa volta piu’ complicata: non solo perche’ si parla di prove audio e video, ma anche perche’ queste risalgono a marzo 2017, quando Temer era gia’ nell’esercizio delle funzioni di presidente. Gli altri filoni di indagine si appuntavano infatti su azioni che lo vedevano coinvolto in possibili reati precedenti alla sua ascesa a Planalto.
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Usa, e’ polemica per il pestaggio di manifestanti da parte delle guardie del corpo del presidente turco
18 mag 10:57 – (Agenzia Nova) – Hanno destato scandalo negli Stati Uniti le immagini del brutale pestaggio di alcuni manifestanti riuniti di fronte all’ambasciata turca a Washington, ieri pomeriggio, da parte di sostenitori e membri della sicurezza del presidente Recep Tayyip Erdogan, in visita ufficiale negli Stati Uniti. La visita di Erdogan e’ stata quasi del tutto ignorata dalla stampa Usa, concentratissima sulle ultime indiscrezioni piovute sulla Casa bianca in merito ai presunti contatti tra la Russia e la campagna elettorale del presidente Donald Trump; e questo nonostante la visita di Erdogan sia coincisa con un frangente di particolare tensione tra i due paesi partner della Nato, a seguito della decisione, da parte del Pentagono, di armare le milizie curde delle Unita’ di protezione popolare (Ypg) in vista dell’offensiva contro Raqqa, capitale autoproclamata dello Stato islamico in Siria. Si sono fatte invece largo, sulle prime pagine dei quotidiani e sugli schermi delle principali reti d’informazione, le immagini dei manifestanti anti-governativi riuniti fuori dall’ambasciata turca, caricati da sostenitori e agenti di sicurezza del presidente e brutalmente picchiati. Il bilancio e’ di almeno nove feriti tra i manifestanti, ma quello politico, forse, e’ ancor peggiore: nelle ore seguenti, infatti, Washington e Ankara si sono rimpallati la responsabilita’ dell’episodio, che non contribuisce certo a riavvicinare i due paesi sul piano diplomatico. Il team di sicurezza di Erdogan afferma di essere intervenuto contro i manifestanti, che scandivano slogan contro il presidente, perche’ “la polizia non ha risposto alla richiesta turca di intervenire”. Il sindaco democratico di Washington, Muriel Bowser, ha risposto pubblicamente nella maniera piu’ dura possibile, conscio probabilmente di creare una nuova grana all’amministrazione presidenziale Usa, gia’ in crisi: “Cio’ cui abbiamo assistito ieri – una aggressione violenta a manifestanti pacifici – e’ un affronto a tutti i nostri valori e diritti come cittadini americani”, ha tuonato il sindaco. Alcuni dei momenti piu’ concitati dell’aggressione sono stati immortalati da Voice of America, e i video sono divenuti subito virali: gli agenti di polizia statunitensi sulla scena del pestaggio faticano a separare i manifestanti dagli agenti del presidente turco, presente in quel momento all’ambasciata. Netta anche la denuncia pubblica del senatore repubblicano John McCain: “Questi sono gli Stati Uniti d’America. Qui non facciamo questo tipo di cose. Non c’e’ alcuna scusante per questo genere di atteggiamenti banditeschi”. Sull’episodio si e’ espressa con un comunicato di condanna anche la polizia di Washington: “Quanto accaduto fuori dall’ambasciata turca a D.C., nella giornata di ieri, contrasta con i diritti garantiti dal Primo emendamento e con i principi che lavoriamo indefessamente per tutelare ogni giorno. Continueremo a lavorare con i nostri partner al dipartimento di Stato e nei Servizi segreti per identificare i responsabili e costringerli a rispondere del loro coinvolgimento nelle violenze”.
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Regno Unito, nel programma conservatore piu’ oneri per gli anziani assistiti a domicilio
18 mag 10:57 – (Agenzia Nova) – In primo piano sul quotidiano britannico “The Times” il programma di governo del Partito conservatore del Regno Unito, che la premier e leader Tory, Theresa May, lancera’ oggi, a tre settimane dalle elezioni politiche dell’8 giugno. L’annuncio piu’ importante riguardera’ l’assistenza domiciliare per gli anziani: decine di migliaia di persone in piu’ dovranno pagare e contribuiranno in base al valore delle loro proprieta’ immobiliari, come gia’ avviene per l’assistenza in strutture residenziali. In compenso la soglia del valore dei beni al di sopra della quale scattera’ il pagamento integrale salira’ da 23.250 a centomila sterline. Gli anziani assistiti a domicilio sono piu’ di 300 mila; altrettanti sono ospiti in case di cura, 177 mila dei quali paganti e 220 mila a carico delle amministrazioni locali. La riforma dovrebbe portare nella casse del Tesoro 1,3 miliardi di sterline all’anno. Un altro cambiamento sara’ annunciato riguardo ai bonus per il riscaldamento invernale, che saranno legati al reddito: al momento chiunque abbia piu’ di 75 anni riceve un aiuto, fino a 300 sterline; il risparmio e’ stimato in tre miliardi all’anno. Tra gli altri punti significativi c’e’ l’abolizione della refezione gratuita universale per i bambini dell’asilo, sostituita dalla colazione gratis per tutti gli scolari delle primarie, con un risparmio di 650 milioni di sterline all’anno, da destinare all’istruzione. Il programma confermera’ l’obiettivo di riduzione del saldo migratorio sotto quota centomila e proporra’ maggiori oneri per le compagnie che assumono lavoratori stranieri, cosi’ come per gli stranieri che si avvalgono del servizio sanitario nazionale. Non sara’ confermata la promessa della precedente gestione Cameron di non aumentare l’Iva, le imposte sul reddito e l’assicurazione nazionale, ma sara’ ribadito l’impegno a innalzare le soglie dell’esenzione e dell’aliquota piu’ alta. Le nuove norme fiscali consentiranno l’azzeramento del deficit nel 2025, tre anni piu’ tardi del previsto.
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Germania, scandali Forze armate: Schulz attacca il ministro von der Layen
18 mag 10:57 – (Agenzia Nova) – Il segretario dei Socialdemocratici tedeschi (Spd), Martin Schulz, incassate tre pesanti sconfitte in altrettante elezioni regionali, prende il toro per le corna e accusa il ministro della Difesa tedesco, Ursula von der Layen (Cdu) di aver danneggiato la reputazione delle Forze armate in relazione al caso del tenente Franco A., accusato di estremismo di destra. “Accusare i militari in generale”, ha detto Schulz dopo un incontro con i rappresentanti delle Forze armate, “e’ un’autodifesa del Ministro”. Schulz ha inoltre chiamato in causa il ministro dell’Interno, Thomas de Maizi’ere (Cdu), per il fatto che Franco A. fosse riuscito a spacciarsi per un rifugiato siriano ottenendo un alloggio e contributi, senza che l’Ufficio per le migrazioni nutrisse il benche’ minimo sospetto. A seguito dello scandalo, e dei casi di molestie nelle caserme, von der Layen aveva definito quello delle Forze armate come un “problema culturale” e “di un malinteso spirito di corpo”. Secondo informazioni di “Der Spiegel”, le Forze armate hanno avviato un procedimento disciplinare a carico di due superiori di Franco A. – il general maggiore Werner Weisenburger, capo dell’Ufficio delle Fa e Stephan H – che non avrebbero prestato sufficiente attenzione alle sue tendenze estremistiche. Nel frattempo, prosegue la campagna mediatica e politica contro i cimeli risalenti alla Wehrmacht esposti nelle caserme tedesche, che da innocua memorabilia sono considerati ora pericolosi veicoli di estremismo politico. L’ultimo “caso” segnalato al ministero della Difesa e’ quello di un battaglione della logistica dove erano circolate medaglie commemorative con impressa l’effige di un soldato della Wehrmacht, che sono state confiscate.
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Spagna, un macellaio di Aragona per rilanciare le energie rinnovabili
18 mag 10:57 – (Agenzia Nova) – Fernando Samper Rivas, scrive il quotidiano “El Mundo”, e’ da ieri “la speranza della Spagna in materia di energie rinnovabili”. L’imprenditore aragonese che deve l’origine delle sue fortune a un’impresa di macelleria suina si e’ aggiudicato il grosso dei megawatt che il governo ha messo all’asta per rinnovare il parco tecnologico nazionale e mettere il paese nella direzione indicata dalla Commissione europea. Forestalia – l’impresa fondata da Samper nel 2011, dopo 35 anni passati nell’azienda di carni di famiglia – si e’ impegnata a costruire entro dieci anni impianti eolici per 1.500 megawatt. Quasi la meta’ dei 3.100 megawatt assegnati complessivamente dal ministero dell’Energia nelle battute realizzate ieri e a gennaio del 2016. La notizia, sottolinea il quotidiano, spiazza le grandi compagnie elettriche e le imprese abituate a operare nel settore. Gas Natural ha strappato 668 megawatt ed Endesa, attraverso la sua filiale Enel Green Power, ne ha ottenuti 540. Iberdrola, terzo nome di peso del comparto, e’ rimasta addirittura fuori. Il timore e’ che la societa’ aragonese non sia in grado, per mezzi tecnici e risorse finanziarie, di far fronte a un impegno da cui dipende gran parte della promessa della Spagna di portare al 20 per cento la quota di consumo energetico proveniente dal rinnovabile. Forestalia dovra’ mettere sul piatto circa 1 miliardo e mezzo di euro, senza promesse di guadagni che non siano quelli dati dal mercato, dato che la formula dell’asta disegnata dal governo – memore della bolla creata dalle amministrazioni precedenti – non prevede nessun incentivo alla produzione. Il governo ad ogni buon conto, si mostra piu’ che soddisfatto dell’operazione: l’asta di ieri doveva chiudersi a 2000 megawatt, ma la forte domanda ha permesso di offrirne altri 600. Insoddisfatti invece gli operatori del fotovoltaico, che preannunciano azioni presso la Commissione europea: le regole dell’asta non prevedevano lotti separati per matrice energetica e il quadro che ne esce, denunciano, non poteva che favorire l’eolico, che puo’ contare su un maggior numero di ore di “lavoro”.
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