Roma è la città più trafficata d’Italia e nella classifica internazionale delle metropoli più congestionate si piazza in 13esima posizione su 146, davanti a megalopoli del calibro di Pechino, Londra e Parigi.
Questo quanto emerge dal rapporto Tom Tom Traffic Index, che ha analizzato il livello di congestione del traffico nelle ore di punta, nei tratti urbani e sulle superstrade delle metropoli più grandi a livello globale.
La Città Eterna risulta quindi essere la città più congestionata a livello nazionale (con livello di congestione pari a 38% ndr.), seguita da Milano (30%), Napoli (29%) e Torino (22%).
A peggiorare il quadro si aggiunge l’aumento di congestione di mattina, nelle ore di punta, quando il livello di guardia raggiunge il 71% (ovvero aumenta il traffico del 71% rispetto a una situazione di viabilità normale) mentre la sera, sempre nelle ore di punta, raggiunge il 65%.
Roma, infatti, è una delle città con il tasso di motorizzazione tra i più alti in Europa (978 veicoli ogni 1000 abitanti contro i 415 di Parigi e i 398 di Londra). Stime parlano di 135 milioni di ore ‘perse’ nel traffico, un costo collettivo che ammonta a 1,5 miliardi di euro e all’incirca 16mila incidenti registrati all’anno.
Il Sindaco di Roma, Ignazio Marino ha annunciato la scorsa settimana il nuovo Piano generale del traffico urbano (Pgtu), che prevede fra le altre cose dei potenziamenti delle piste ciclabili, bike sharing, car sharing oltre all’aumento dei servizi di trasporto pubblici.
Sicuramente, una soluzione per limitare i danni di questo problema potrebbe arrivare dalla tecnologia dell’ Internet of Things applicata appunto alla gestione del traffico urbano. Nello specifico, l’applicazione dello sharing data e di servizi, integrati nell’auto che permettono la connessione con i servizi della città.
A questo proposito, l’Università di Austin in Texas ha presentato AIM (Autonomous Intersection Management) un progetto di mobilità sostenibile che ridurrebbe in maniera sostanziale il traffico nei centri urbani.
Partendo dal presupposto che il mercato dei veicoli intelligenti (ovvero che non hanno bisogno del conducente ndr.) sta crescendo e rappresenterà una realtà concreta nel futuro prossimo, il problema che genera la segnaletica (stop, dare precedenza etc.), il sistema dei semafori –soprattutto nel caso degli incroci- dovrà adattarsi alle esigenze del futuro. Quindi perché non computerizzare questi sistemi urbani in modo che possano interagire tra di loro, così offrendo un controllo più preciso, sensori migliori, tempi di reazione più rapidi?
Il progetto ipotizza che a ogni incrocio ci siano dei ricevitori che inviino segnali alle macchine in avvicinamento. A ogni segnale inviato, corrisponderà un’accelerazione o decelerazione del veicolo con successivo attraversamento dell’incrocio. Il tutto in modo da offrire una viabilità ottimale, una decrescita di emissioni di CO2 (dovuta all’accelerare e decelerare eccessivo ndr.), diminuire il congestionamento del traffico e aumentare la sicurezza delle persone a bordo (si stima infatti che la causa maggiore di incidenti è dovuta dal non rispetto delle regole stradali ndr.).
Ci sono chiaramente delle falle nel sistema o, per meglio dire, delle categorie che non sono state prese in considerazione nello studio. Ad esempio, dato l’aumento continuo su scala globale dell’uso delle biciclette in città, bisognerebbe includerle in questo progetto di connessione tra veicoli e smart city, altrimenti la tanto declamata sicurezza non avrebbe più modo di esistere, anzi peggiorerebbe. Un’altra categoria non citata è quella dei pedoni, soggetti da tenere assolutamente in considerazione se prendiamo come esempio di viabilità un incrocio.
E per non dimenticarci del resto, bisognerebbe rivedere da capo il sistema e i relativi algoritmi (per facilitare il deflusso di traffico) secondo i quali sono settati i semafori. Se tutti i veicoli fossero autonomi e connessi con la città, sarebbe, infatti, necessario usare un altro tipo di sistema, o addirittura eliminare quello dei semafori.
Resta infine da vedere quanto questo progetto sia sostenibile per una città europea, che sia Roma, Parigi o Londra, dal momento che la morfologia urbanistica statunitense (che è stata presa in considerazione per il progetto) è caratterizzata da incroci perpendicolari mentre quella europea (ad esempio Roma) è molto meno definita e distinta, un’evidenza che non può non essere compresa nell’equazione generale.