I robot e la stessa intelligenza artificiale entro il 2030 potrebbero sostituire il 25% dei posti di lavoro a livello mondiale, secondo uno studio Brookings Institution. Come al solito, le figure professionali più “a rischio” automazione sono nel settore dei trasporti, della produzione, della logistica, dei servizi e della ristorazione.
In questi settori economici il rischio automazione è superiore al 70%.
Nel comparto servizi rientrano ovviamente anche i call center e proprio negli Stati Uniti, secondo quanto affermato al Finantial Times da Mike Corbat, amministratore delegato di Citigroup, riportato in Italia ad una nota Ansa: “ci sono ancora decine di migliaia di persone nei call center e sappiamo che quando digitalizzeremo questi processi non solo cambieremo e miglioreremo radicalmente l’esperienza per i consumatori, ma ci costerà meno”.
L’affermazione ha fatto subito pensare al peggio, perché se da una parte le tecnologie della terza piattaforma renderanno le imprese più snelle e competitive, perché ridurranno notevolmente i costi di produzione e di processo, nonché i tempi relativi, è anche vero che dall’altra ci sarà inevitabilmente una riduzione del personale.
L’amministratore delegato della grande multinazionale americana di banche di investimento e società di servizi finanziari, con sede a New York City, è stato molto però molto cauto, perché la trasformazione digitale non ha l’obiettivo di togliere di mezzo posti di lavoro per le persone: “Ci sono sempre cose dove è richiesto l’intervento di qualcuno per risolvere il problema. Non vogliamo che la gente sia frustrata”.
Riguardo all’Italia, secondo i nuovi dati emersi dal Rapporto della Commissione europea “Employment and Social Developments in Europe”, cioè dall’indagine annuale sull’occupazione e sugli sviluppi sociali Europa, presentata nei giorni scorsi a Roma all’Istituto Nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (INAPP), si teme che circa il 45% dei posti di lavoro possa essere sostituito da robot entro pochi anni nel nostro Paese.
Tutto finito? Non proprio.
Se è vero che l’automazione necessariamente andrà a sostituire l’uomo in diversi settori professionali, è anche vero che la giusta formazione e le migliori competenze possono fare in modo che uomo e robots lavorino fianco a fianco.
“In Germania, nel settore manifatturiero – nonostante la crescita esponenziale del numero dei robot – sono state registrate perdite di posti di lavoro piuttosto contenute, mentre vi è stato un incremento massiccio dell’occupazione nel settore dei servizi, con la conseguente creazione di nuovi posti di lavoro”, ha dichiarato Loukas Stemitsiotis, Haed Unit – Thematic Analysis, DG Employment, Social Affairs and Inclusion della Commissione europea.
“Abbiamo effettuato simulazioni di modelli per comprendere meglio il caso tedesco, ed è emerso che da parte dei lavoratori che – a causa del progresso tecnologico – hanno perso il proprio posto di lavoro o hanno subito una riduzione dei propri salari, vi è una fortissima spinta a reagire puntando su un mix di abilità e nuove competenze”.
E riguardo a skills e competenze digitali, Stemitsiotis ha ribadito che “i lavoratori stanno perdendo il lavoro – ha spiegato il rappresentante europeo – perché i robot e i computer possono svolgere i loro compiti in modo più efficiente, ma allo stesso tempo, le imprese sono e saranno sempre dotate di lavoratori qualificati e ciò consente di aumentare la produttività del lavoro, e quindi la competitività, i profitti, la crescita. Quello di cui abbiamo bisogno per rendere il capitale complementare al lavoro sono le competenze e le qualifiche. La nozione di “cambiamento tecnologico orientato all’abilità” è ancora valida, ma la risposta ancora aperta è “dove siamo con le competenze?”.
“È necessario accompagnare i settori professionali verso nuove forme e modi di svolgere l’attività. Per i professionisti della conoscenza e delle competenze intellettuali le parole chiave per affrontare le sfide del futuro e dell’innovazione continua saranno: aggiornamento continuo (lifelong learning, Lll), alta qualificazione, flessibilità, tempestività nelle scelte, aggregazioni multidisciplinari e un respiro internazionale”, ha invece commentato Alberto Oliveti, Presidente del Centro Studi AdEP.
Si ripresenta quindi un problema etico, legato all’intelligenza artificiale e all’automazione, ma anche politico. Qui si entra nel territorio delle scelte che i Governi devono compiere in termini di politica economica e di programmazione degli investimenti per la formazione e il supporto alle piccole e medie imprese (dove ci colloca la maggior parte dell’occupazione).
Leggendo lo studio, infatti, si apprende che il numero di robot nell’UE a 28 è aumentato quasi costantemente nel tempo, passando dalle 97.000 unità del 1993 alle 431.000 nel 2016, causando perdite di posti di lavoro nella fase della produzione durante la quale viene utilizzato l’85% delle scorte operative di robot industriali.
L’aumento del numero di robot ha un effetto positivo sulla produttività poiché è stata dimostrata – nella fase di produzione – una chiara correlazione positiva (+0,58) tra l’intensità del robot (numero di robot/numero di lavoratori) e la produttività totale dei fattori (valore aggiunto per ora lavorata).
Una questione di scelte, che rischiano di andare solo verso un obiettivo: ottimizzare le risorse, aumentare i profitti, ridurre i costi.