Immaginate una pianta che grazie ai suoi viticci si aggrappa dove può, sale verticale e poi si espande su per le mura di una struttura, fino al soffitto e magari oltre. Immaginate che questa pianta sia un robot. Partiamo da qui per descrivere il progetto sviluppato nel Centro di Micro-BioRobotica dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) a Pontedera (Pisa) e raccontato di recente sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale Nature Communications, nell’articolo dal titolo “A variable-stiffness tendril-like soft robot based on reversible osmotic actuation”.
Il lavoro di realizzazione del robot pianta, a cui hanno preso parte i ricercatori Edoardo Sinibaldi e Indrek Must, è stato coordinato da Barbara Mazzolai, direttrice del Centro e tra le 25 donne geniali della robotica 2015 secondo RoboHub, alla quale si deve anche il primo robot pianta mai realizzato, il plantoide.
Il suo funzionamento è “apparentemente” semplice: “La nuova pianta hi-tech – si legge in un articolo Ansa – fa parte della famiglia dei robot soffici, capaci di adattarsi all’ambiente che li circonda con la sua struttura flessibile. Per allungare i suoi viticci nel modo più efficiente, il robot è stato programmato in modo che i movimenti guidati dall’osmosi non fossero troppo lenti”.
(Video pubblicato su mattinopadova.gelocal.it)
Il robot in questione è inoltre in grado di “arrotolarsi e srotolarsi”, esattamente come fanno le piante: “Il suo stelo è un tubo flessibile di Pet, il materiale plastico comunemente utilizzato per conservare gli alimenti; al suo interno scorre un liquido con particelle cariche (ioni). Sfruttando una batteria da 1.3 Volt, gli ioni vengono attirati e immobilizzati sulla superficie di elettrodi flessibili alla base del viticcio, che in questo modo fanno arrotolare i viticci. Perché si srotolino è sufficiente rimuovere l’effetto della batteria, sfruttando il circuito elettrico in cui essa è inserita”.
La tecnologia sviluppata dall’Istituto Italiano di Tecnologia fa parte della famiglia dei “robot soffici” (soft robotics), cioè macchine caratterizzate da strutture flessibili in grado di adattarsi fisicamente all’ambiente circostante.
Robot che si deformano quando sono sollecitati, che possono imparare ad allungarsi, crescere, cambiare forma ed evolvere, esattamente come fanno le piante, ma non solo.
Un altro esempio di robot soffice è quello di cui ha parlato Cecilia Laschi, professoressa all’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in un’intervista su researchitaly.it: “siamo partiti con l’osservazione e lo studio del polpo, un animale privo di scheletro e in grado di svolgere compiti estremamente complessi, come camminare sui fondali marini, nuotare o afferrare oggetti. Le ricerche ci hanno portato a realizzare OCTOPUS, il primo robot “soffice” dalle sembianze di un polpo, che è stato un progetto fondamentale per la nascita della robotica soft e che ha fornito le basi tecnologiche per lo sviluppo di questo settore di ricerca in tutto il mondo”.
Le prospettive della soft robotics sono enormi e aprono la strada a scenari finora impossibili da immaginare, ha spiegato la Laschi nell’intervista: “Dobbiamo pensare a robot capaci di strisciare sotto una porta, rimarginare le proprie “ferite”, mimetizzarsi nei diversi ambienti e persino crescere, aumentando realmente la quantità di materiale che li compone. Queste caratteristiche, unite alla loro adattabilità, ci consentono di utilizzarli in moltissimi campi, a partire dall’ambito biomedico fino all’esplorazione di ambienti sconosciuti come le profondità del mare”.
Robot quindi sempre più intelligenti, autonomi e programmati a prendere decisioni sul momento per superare ostacoli, adeguarsi al territorio e lavorare in determinati ambienti.
Ma non solo, secondo l’esperta queste macchine potranno “crescere”, aumentando la massa di materia di cui sono composti, e potranno anche cambiare forma a seconda delle esigenze.
Tornando infatti al nostro robot pianta dell’IIT, ulteriori sviluppi arriveranno dal progetto europeo “Growbot – Towards a new generation of plant-inspired growing artefacts”, al quale Mazzolai contribuisce con il suo gruppo di ricerca, e saranno orientati verso la realizzazione di un robot capace di crescere, riconoscendo nello stesso tempo le superfici cui attaccarsi o i supporti cui ancorarsi, proprio come fanno le vere piante rampicanti.
Il progetto, finanziato dalla Commissione europea nell’ambito del programma “Fet Proactive”, però, nelle speranze dei ricercatori, dovrebbe aprire la strada a una futura generazione di dispositivi indossabili e abilitati al “polimorfismo”.
Growbot è un’iniziativa partita ufficialmente il primo gennaio 2019, con un finanziamento del programma Horizon 2020 di quasi 7 milioni di euro di fondi diretti.
Durerà fino al 2022 e sarà coordinato dall’IIT, con il coinvolgimento di centri di ricerca italiani (come Gran Sasso Science Institute e Linari Engineering), tedeschi, israeliani, francesi e spagnoli