Anche quest’anno si impongono ormai “bilanci estivi” dei disastri naturali compresi quelli di indubbia (o diretta) origine antropica (dovuti al veicolo del climate change e alle manomissioni del territorio) e dei loro costi come quelli dovuti al dissesto idrogeologico e – in particolare – di quelli di tipo assicurativo che esprimono un certo grado di obiettività fondandosi su dati certi in quanto rilevati ex-post.
Perdite globali assicurate dovute ai disastri naturali nel 2023 a quota 118 miliardi di dollari
Peraltro va ricordato – se ve ne fosse ancora bisogno – che in generale tendiamo a sottodimensionare il valore del danno globale (assicurabile) in particolare nelle interrelazioni tra impatti sociali e umani oltre che patrimoniali e ambientali. Ai quali poi vanno aggiunti gli impatti “non assicurabili” che ad una stima prudente di fonti reputate (ISPRA) dovremmo almeno raddoppiare. Nel 2023, le perdite assicurate globali dovute a disastri naturali hanno raggiunto i 118 miliardi di dollari. Questo valore è stato influenzato principalmente da terremoti e tempeste convettive severe (aria umida in atmosfera che produce evaporazione e condensazione dell’acqua), con eventi significativi in paesi come Nuova Zelanda, Italia, Grecia, Slovenia e Croazia.
Negli ultimi cinque anni, le perdite assicurate globali per disastri naturali sono state costantemente elevate, superando i 100 miliardi di dollari ogni anno. Una panoramica delle perdite assicurate annuali degli ultimi 5 anni vanno riassunte come segue.
• 2023: 118 miliardi dollari(MD); • 2022: 125 MD; • 2021: 105 MD; • 2020: 100 MD; • 2019: 100 MD
Questi dati noti evidenziano l’importanza crescente di misure di adattamento e mitigazione per ridurre il rischio climatico e delle catastrofi naturali per proteggere in particolare le comunità e i territori vulnerabili.
Nel 2023, ci sono stati diversi eventi catastrofici significativi in tutto il mondo che qui elenchiamo tra i principali:
• Terremoti in Turchia e Siria: Il 6 febbraio, due terremoti di magnitudo 7.8 e 7.5 hanno colpito il sud della Turchia vicino al confine con la Siria, causando la morte di oltre 50.000 persone in Turchia e 8.476 in Siria.
• Incendio a Maui, Hawaii: L’8 agosto, un incendio devastante ha colpito l’isola di Maui, uccidendo almeno 100 persone e causando danni stimati in 5,52 miliardi di dollari.
• Ciclone Mocha in Myanmar: Il 14 maggio, il ciclone Mocha ha causato inondazioni e venti forti, uccidendo almeno 145 persone.
• Alluvioni nella Repubblica Democratica del Congo: All’inizio di maggio, forti piogge hanno causato inondazioni e frane, uccidendo almeno 438 persone.
• Terremoto in Nepal: Il 3 novembre, un terremoto di magnitudo 5.6 ha colpito il Nepal occidentale, causando la morte di almeno 157 persone.
• Tempesta Daniel in Libia: A settembre, la tempesta Daniel ha attraversato la Libia orientale, causando devastazioni significative.
Eventi meteo estremi in Italia nel 2023 in aumento del 22%
Nel 2023, l’Italia ha registrato 378 eventi meteorologici estremi, un aumento del 22% rispetto al 2022. Questi eventi hanno causato 31 morti e danni significativi a privati e aziende. Tra gli eventi più gravi ci sono state due alluvioni che hanno provocato numerose vittime. Alcuni esempi noti di eventi catastrofici nel 2023 includono per citarne solo alcuni significativi:
- Alluvioni in Emilia-Romagna a maggio, con danni stimati a 8,8 miliardi di euro (ora l’UE ha stanziato 328 milioni € per la ricostruzione visti anche i ritardi del Governo italiano).
- Temperature estreme in Sardegna, con picchi di 48°C.
- Mareggiate in Sicilia, che hanno causato allagamenti e danni significativi per milioni di euro.
- Grandine disastrosa e tempeste in varie aree della Lombardia tra luglio e agosto 2024 con danni ingenti per viti e agricoltura da frutta.
Trend in peggioramento nel 2024
Per il 2024, non ci sono ancora dati completi, ma si prevede che la frequenza e l’intensità degli eventi estremi continueranno a crescere, spingendo il governo a introdurre misure come l’obbligo di polizze assicurative contro i rischi catastrofici per le aziende ma anche ad aumentare fondi per azioni di prevenzione e mitigazione. Perché questi eventi evidenziano l’importanza di prepararsi e adattarsi ai cambiamenti climatici e ai disastri naturali contro ogni negazionismo e controinformazione che già di per sé sono “climalteranti”.
Infatti , è C3S – Copernicus Climate Change Service a segnalarci la continua caduta dei record climatici degli ultimi 12 mesi senza aver risparmiato alcuna area del pianeta con temperature che hanno superato quelle di qualsiasi periodo degli ultimi 100.000 anni (centomila). Le recenti vicende climatiche, alluvionali, tempestose, incendiarie e siccitose tra 2023 e 2024 non hanno risparmiato dunque nemmeno l’Italia: dalla doppia alluvione dell’Emilia Romagna (con danni per 9 miliardi di euro e 17 vittime), a quelle della Liguria e della Toscana, alla siccità siciliana e pugliese fino agli eventi estremi delle valli bresciane della seconda metà di agosto (in Franciacorta con distruzione del 30% dei vitigni) con effetti macro e micro (con perdite umane e finanziarie incalcolabili se pensiamo anche alla manomissione degli eco-servizi).
Fragilità idrogeologica
Processi ormai ricorrenti dovuti all’intreccio vizioso tra climate change e rischio idrogeologico e che richiamano per l’ennesima volta due fenomeni strutturali e uno indotto. Da una parte la realtà del cambiamento climatico con aumento di temperature e accelerazione di eventi estremi e, dall’altra, la fragilità del nostro equilibrio idrogeologico la cui origine è inequivocabilmente di tipo antropico. Infine, il tema dei piani di adattamento che iniziano nel 2014 e si chiudono nel 2024 (per es., con il Piano Nazionale di Adattamento avviato il 2-01-2024 dal Ministro Pichetto Fratin) che devono agire da una parte rincorrendo sistematicamente le emergenze (misure tampone) e dall’altro sottraendo risorse alla necessaria azione di prevenzione sistematica che andrebbe realizzata con costante attenzione.
Emergenza e prevenzione che vanno però “coniugate” con interventi mirati se vogliamo la mitigazione e assorbimento di questi eventi avendo cura dell’equilibrio idrogeologico. Ondate di calore, siccità e alluvioni saranno senza dubbio gli eventi estremi che dovremo affrontare nei prossimi mesi e anni e dei quali stiamo subendo la pressione da almeno due decenni legando inestricabilmente il circolo vizioso riscaldamento marino e terrestre, città infuocate (da scarsità di verde), alluvioni da piovosità concentrata e siccità dei terreni resi incapaci di assorbimento e fiumi “deviati” anche dalla occupazione delle aree golenali.
Piani di adattamento a livello locale, ma non basta
Ma l’indirizzo dei piani di adattamento (in attesa dell’Osservatorio Nazionale per l’Adattamento ai Cambiamenti Climatici – ONACC con il supporto tecnico di ISPRA quale “mente” di aggiornamento) vengono delegati a livello locale e regionale dove tuttavia mancano spesso risorse e competenze adatte se non in relazione all’emergenza e, inoltre, accendendo conflitti tra logiche regionali. Quando necessitiamo invece di azioni che sono spesso di tipo interregionale perché alluvioni, bombe di calore e climate change non hanno confini amministrativi e che andrebbero guidate almeno con “autorità di bacino” regolate poi da una unica regia condivisa e che dovrebbe essere appunto l’ONACC.
Serve una regia unica contro l’emergenza climatica
Una regia che indichi procedure e livelli di intervento di governo del territorio nei prossimi 30 anni e in coerenza con Fit for 55 europeo che prevede riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli pre 1990. Ciò che deriva da soluzioni suggerite dai piani di adattamento (PNA) con azioni soft (che preparano il terreno senza particolari modifiche strutturali) e non soft (suddivise tra green e grey e tra le prime quelle soluzioni “fondate sulla natura” (per esempio, riducendo l’impermeabilità dei suoli urbani e avviando diffuse piantumazioni con città verdi). Mentre, tra le seconde ritroviamo uso di azioni infrastrutturali, tra cui – per esempio – la copertura della neve in altura per proteggerla dallo scioglimento per ghiacciai che stanno scomparendo a vista d’occhio. In tutti questi casi utili a ridurre le temperature e ridimensionare l’uso energetico per raffrescare o per la gestione dell’innevamento a scopo turistico. Ma un punto nodale è la mancanza di criteri utili a definire le priorità perché molte di queste richiedono tempi lunghi di realizzazione, basti pensare al fatto che per modificare la gestione idrica di un bacino idrografico o mutare pratiche agricole su larga scala servono decenni.
Quale strategia?
Dunque su quali danni spingere i fondi, per quali settori di rilievo più colpiti e in quali tempi? Perciò dove reperire fondi per il piano di adattamento e dunque di prevenzione? Nella maggior parte dei casi da fondi europei (il 30% dei fondi europei è dedicato ad azioni sul clima) e ad almeno il 37% nel perimetro del PNRR da 194 mil.di. Dunque molte sono le risorse dedicate al PNACC ma che vengono allocate competitivamente per essere attribuiti e dunque poi passare ai PON (Programma Operativo Nazionale) e ai POR (Piani Operativi Regionali) e ad altri piani dedicati (LIFE e POC) in capo al Ministero dell’Ambiente anche per le città.
Piani senza priorità
Ma abbiamo piani dove mancano priorità e gerarchie di azione con difficoltà di identificazione di criteri di reperimento dei fondi. Per esempio, si potevano inserire nel piano progetti già approvati e in fase di realizzazione via PNRR. Così come – in altro settore – orientare il destino dei beni culturali italiani in relazione al cambiamento climatico e come eventualmente delocalizzare quei beni ritenuti eventualmente critici o come proteggerli e sapendo che qualcosa andrà perso e per questo selezionando i fondi necessari.
Le 300 azioni contenute nel Piano vanno dunque ben selezionate in relazione alle priorità e sulla base di cosa vogliamo essere e diventare tra 40-50 anni, ma non facendoci guidare in questo dalle emergenze. Perché l’adattamento e la mitigazione climatica che ne deriva è espressione di un grande “Patto Sociale” tra istituzioni, società civile, politica, tecnici e competenze, ma anche di una visione e di virtù di lungo periodo che vogliamo (e dobbiamo) innescare per l’intero paese dato che il futuro non coincide (mai) con il presente. Come avviarlo? Dobbiamo innanzitutto “re-imparare dal linguaggio della Natura e dal suo alfabeto per evitare che il cielo ci crolli sulla testa” (dall’ottimo libro di Battiston, 2022) trovandoci impreparati come avvenuto finora rincorrendo semplici eventi in modo emergenziale. Perché la Natura ci indica la strada da percorrere con previsioni (quasi) perfette e che per questo la tutela (e prevenzione) ambientale è solo nell’interesse dell’umano e della sua specie, della sua sopravvivenza e dell’intero ecosistema essendo altamente interconnessi. Consapevoli della “piccola verità” che noi abbiamo bisogno della natura ma questa non ha bisogno di noi.