Un 42,5% vincolante di rinnovabili, ma si guarda sempre al 45% entro la fine del decennio
Entro il 2030 la quota di fonti energetiche rinnovabili nel mix dei consumi finali deve salire ad una quota vincolante del 42,5% entro il 2030, ma l’obiettivo rimane il 45%.
Così si è espresso il Parlamento europeo nell’aggiornamento della direttiva europea sulle energie rinnovabili (RED III), già concordato tra gli eurodeputati e i membri del Consiglio.
La legislazione, che è stata approvata in via definitiva con 470 voti a favore e 120 contrari, prevede anche un più deciso processo di semplificazione delle pratiche amministrative per l’avvio dei lavori dei nuovi impianti di fonti energetiche rinnovabili, come l’installazione di pannelli solari e pale eoliche, o l’ammodernamento dei quelli già esistenti.
Bruxelles meno burocratica e più pragmatica sulle rinnovabili
“Le autorità nazionali non potranno impiegare più di 12 mesi per autorizzare la costruzione di nuovi impianti di energia rinnovabile situati nelle cosiddette “zone di riferimento per le energie rinnovabili“. Al di fuori di queste zone, la procedura non potrà superare i 24 mesi”, si legge nel comunicato del Parlamento europeo.
Una legislazione che punta non solo a potenziare e accelerare il percorso di decarbonizzazione in Europa, ma anche a favorire un maggiore livello di indipendenza energetica dall’estero, proprio a partire dal sole, il vento e le altre fonti energetiche rinnovabili: “Questa direttiva dimostra che Bruxelles può essere poco burocratica e molto pragmatica. Abbiamo designato le energie rinnovabili come interesse pubblico prevalente, snellendo il loro processo di approvazione. L’attenzione è rivolta all’energia eolica, fotovoltaica, idroelettrica, geotermica e alle correnti di marea. La biomassa da legno rimarrà classificata come energia rinnovabile. In base al principio del “silenzio assenso”, gli investimenti saranno considerati approvati in assenza di riscontri amministrativi contrari. Ora abbiamo urgentemente bisogno di una riforma del mercato dell’elettricità dell’UE e di un passaggio immediato all’idrogeno per una transizione più verde“, ha dichiarato il relatore, Markus Pieper (PPE, Germania).
Dai progetti green transfrontalieri ai biocarburanti avanzati, l’idrogeno e le biomasse
Agli Stati membri è stato inoltre chiesto di fissare un obiettivo indicativo per le tecnologie innovative pari ad almeno il 5% della capacità di energia rinnovabile di nuova installazione, nonché un quadro vincolante per i progetti energetici transfrontalieri.
Per i trasporti si punta molto sulle rinnovabili per raggiungere una riduzione del 14,5% delle emissioni di gas serra, sempre entro il 2030, grazie a una quota maggiore di biocarburanti avanzati e a una quota più ambiziosa di carburanti rinnovabili di origine non biologica, come l’idrogeno.
Infine, le nuove misure vanno a sostegno dell’uso della biomassa, ma garantendo che l’UE non sovvenzioni tecnologie non sostenibili. Infatti, la raccolta di biomassa dovrà essere effettuata in modo da evitare impatti negativi sulla qualità del suolo e sulla biodiversità.
Cosa sono i biocarburanti avanzati
Un punto quest’ultimo che dobbiamo tenere bene a mente, visto che si definiscono biocarburanti avanzati, noti anche come biocarburanti di seconda generazione, quei carburanti che possono essere ottenuti a partire da vari tipi di biomasse non alimentari.
Biomassa, in questo contesto, significa materiali vegetali e scarti animali utilizzati come fonte di combustibile. Per questo bisogna sempre tenere in massima considerazione la centralità della salvaguardia dei suoli e dei terreni da lasciare ai margini, come risorsa per un livello sufficiente di biodiversità.
I biocarburanti di prima generazione sono costituiti da materie prime di amidi di zucchero (ad esempio, canna da zucchero e mais) e materie prime di olio commestibile (ad esempio, olio di colza e di soia), che vengono convertite rispettivamente in bioetanolo e biodiesel.
I biocarburanti di seconda generazione sono prodotti da varie materie prime e pertanto possono richiedere tecnologie diverse per estrarne energia utile. Le materie prime di seconda generazione includono biomasse lignocellulosiche o colture legnose, residui o scarti agricoli, oppure colture non alimentari energetiche coltivate su terreni marginali inadatti alla produzione alimentare.
L’Italia potrebbe fare molto di più con il solare, ma si accontenta dei biocarburanti
Nei giorni scorsi, il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha sottolineato la centralità dei biocarburanti per il nostro Paese. Non il sole, il vento e la forza dell’acqua (in particolare del mare, di cui siamo circondati), più in generale le fonti rinnovabili, come punti chiave di svolta nel nostro percorso verso la decarbonizzazione e una nuova e più decisa transizione energetica, ma gli scarti vegetali (che al massimo potrebbero essere risorse secondarie in un contesto del genere) e di altra natura, magari provenienti dal settore agricolo.
Come spiegato dallo stesso Pichetto Fratin, l’obiettivo è sempre quello di difendere il motore endotermico delle auto attualmente in circolazione dall’avanzata del motore elettrico: “Se vogliamo una mobilità realisticamente pronta a traguardare gli obbiettivi ambientali, dobbiamo prevedere un percorso ambizioso e pragmatico, che tenga conto dei principi di neutralità ambientale e di flessibilità nei tempi di attuazione delle misure. L’ “Alleanza Globale per i biocarburanti” è una piattaforma su scala sovranazionale per intensificare la collaborazione fra produttori, consumatori e Paesi interessati a promuovere lo sviluppo di una tecnologia che può aprire grandi opportunità di sviluppo nel settore dell’automotive, senza smembrare quella produzione di motori endotermici“.