Crisi energetica e caro bollette
Sono arrivate le prime bollette dell’anno e gli aumenti degli importi sono sotto gli occhi di tutti. L’energia costa molto di più dell’anno passato e riscaldarci sembra improvvisamente un lusso. Ma siamo in inverno e il consumo di gas cresce. Una situazione di emergenza non solo energetica, anche sociale e presto ambientale (il gas ha un effetto climalterante 72 volte superiore alla CO2 nei primi 20 anni del suo rilascio, secondo Legamebiente).
Il Governo guidato da Mario Draghi sta cercando di affrontare la situazione sia da un punto di vista appunto economico e sociale, mettendo sul tavolo nuove risorse (5,8 miliardi di euro solo per mitigare il caro bollette) e cercando di pianificare una transizione energetica che sia la più rapida possibile.
Perché il punto è tutto qui, in questa transizione, che si lega a doppio filo con quella ecologica e digitale.
La corsa al gas
Come ha più volte detto il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, non si può pensare (per ora) di generare energia solo da fonti pulite. La domanda di energia rimane altissima e anzi crescerà nel futuro prossimo, per questo è fondamentale pianificare un mix energetico equilibrato, orientato alla massima efficienza energetica, con dentro anche altre fonti, come il gas certamente, ragionato, sicuro negli approvvigionamenti e nella disponibilità di risorse.
Nel nostro Paese, invece, grazie al sostegno di una parte dei mezzi di informazione, si sta facendo strada un’idea di futuro che assomiglia drammaticamente al passato prossimo. Non si sta andando avanti, si sta cercando di tornare indietro.
Per far fronte alla crisi energetica e al caro bollette non si è pensato di meglio che aumentare la produzione nazionale di gas. Il che significa ridare forza ai giacimenti sfiatati e scavarne di nuovi. Che nel complesso significa attendere altri 3-4 anni per iniziare e poter contare su una certa quantità di gas “nostrano” a prezzi (dicono) inferiori a quello che acquistiamo oggi da Russia e altri fornitori.
Come spiegato dal Sole 24 Ore, l’obiettivo del Governo (Decreto Bollette) è aumentare la produzione nazionale di gas di almeno 2,5 miliardi di metri cubi all’anno, per un costo complessivo di circa 2 miliardi di euro.
Una corsa che è iniziata già da qualche anno, quando ancora nessuno immaginava una situazione come quella attuale. Nel 2021, infatti, si contavano 110 progetti legati al miglioramento, all’innovazione a all’ampliamento delle infrastrutture destinate a metanodotti (o nuovi impianti, depositi e rigassificatori).
Il costo di tornare indietro
Come ricordato in tempi non sospetti dall’associazione ambientalista, “dal punto di vista economico i costi che il nostro Paese dovrà affrontare per questa scellerata corsa al gas sono ingenti: basti solo pensare ai 15 miliardi di euro, che pagheremo in bolletta a causa del nuovo sussidio del Capacity Market a sostegno delle nuove centrali realizzate per affrontare i consumi di picco”.
Ma queste non sono le uniche risorse sprecate, “le 44 centrali in ampliamento o di nuova costruzione, per ben 11 GW di nuova capacità, costeranno circa 11 miliardi di euro che si aggiungono ai 4,2 miliardi destinati, invece, alla realizzazione 1.239 nuovi km di metanodotti. Per un totale di almeno 30,2 miliardi di euro, senza considerare il costo per depositi e rigassificatori, qui non calcolati e il rischio del “fallimento economico di queste opere” come dichiarato anche da Irena”.
In Italia, secondo le stime più recenti ci dovrebbero essere nel sottosuolo fino a 350 miliardi di metri cubi di gas (a cui si potrebbero aggiungere 1,8 miliardi di barili di petrolio). Per qualcuno rappresentano una grande occasione per fare profitti (l’ENI, controllata al 30% dallo Stato, solo per l’aumento dei prezzi del gas attuale ha registrato 4,6 miliardi di euro di profitti, secondo stime de Il Fatto Quotidiano), per altri invece sono veleni che sarebbe meglio lasciare dove si trovano, puntando su altri “giacimenti” più sicuri, molto più puliti e a costo quasi zero.
L’unica strada percorribile sono le rinnovabili
La risposta alla crisi energetica attuale sta per forza di cose nelle fonti rinnovabili, come il sole, il vento e l’idroelettrico (solo per citare le più conosciute). Le bollette le paghiamo di più oggi perché è il gas a costare di più.
Se facessimo più affidamento sul sole, il vento e la forza dell’acqua (e una rete capillare ed efficiente di sistemi di accumulo) avremmo un costo dell’energia molto ma molto più basso di quello attuale, ma soprattutto sarebbe una scelta definitiva.
Sappiamo bene quanto pesa la burocrazia e l’iter autorizzativo sull’avvio dei nuovi impianti a rinnovabili. Se la metà dei progetti presentati negli ultimi anni venisse approvata avremmo già completato la transizione energetica oggi.
Per completare un iter autorizzativo standard ci vogliono quasi 5 anni, contro i 6 mesi previsti dalla legge. Negli ultimi sette anni abbiamo installato solamente 0,8-1 GW di fonti rinnovabili ed entro il prossimo decennio dobbiamo raggiungere i 70GW di potenza. Il tutto per questioni amministrative, per firme e collaudi che non arrivano mai.
“Sfatiamo un mito: l’obiettivo prefissato di generare entro il 2030 il 72% dell’energia consumata a livello nazionale da fonti rinnovabili è assolutamente realistico”, ha spiegato Nicola Lanzetta, direttore Italia del Gruppo Enel, in un’intervista a The Post International (TPI).
I vantaggi dell’energia pulita
“Una volta raggiunto questo obiettivo, a parità di prezzi del gas (che sono aumentati nel 2021 del 400%) l’energia ci costerebbe il 40% in meno”, ha affermato il direttore Italia del Gruppo ENEL.
Riguardo alla necessità di abbandonare il gas e di concentrarci di più sulle fonti energetiche pulite, sul quotidiano La Repubblica, Francesco Starace, amministratore delegato del Gruppo Enel, ha affermato il mese scorso: “Il caro gas finirà, poi tornerà, poi ricomincerà. Il gas è il fratello minore del petrolio ed ha i suoi stessi geni, è volatile da sempre. Ora dobbiamo limitare gli aumenti, e mi pare che in questo momento il Governo lo stia facendo bene, e poi agire strutturalmente su due fronti: ridurre la nostra dipendenza da questa commodity preziosa ma troppo instabile, orientandoci sempre di più verso le rinnovabili”.