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Riforma Rai nella palude. Renzi minaccia ricorso alla Legge Gasparri

Matteo Renzi

Matteo Renzi

La riforma Rai corre il rischio di essere insabbiata al Senato. Le tensioni erano già evidenti da un po’, anche all’interno dello stesso Pd, ma pare che adesso le cose si stiano complicando ulteriormente con Forza Italia e M5S che continuano la loro battaglia contro il ddl del Governo.

Ma affossare la riforma potrebbe determinare una nomina dei nuovi vertici di Viale Mazzini con il vecchio sistema previsto dalla Legge Gasparri.

Una possibilità che Renzi non aveva trascurato. In occasione della presentazione del ddl aveva detto chiaramente: “Luglio è il tempo necessario. Volendo si fa tutto”. Nel caso però i tempi si dovessero allungare, magari a causa di ostruzionismo, il premier era stato molto perentorio: “Non faremo un decreto, si terranno la Gasparri”.

E sembra sempre più concreta la possibilità che tutto questo avvenga.

Proprio oggi il premier, intervenendo a Radio Anch’io, ha ribadito: “Faremo le nomine con la Gasparri se non ci sarà la riforma, ma io credo ci sia spazio per poter portare la riforma della governance Rai in Parlamento e votarla”. Aggiungendo: “Ovviamente nessuno immagina forzature, voti di fiducia”.

Solo una minaccia per spronare il Senato, dove il testo è in esame e stanno proseguendo con le audizioni, o una vera intenzione?

Alcuni appaiono più fiduciosi e prospettano una conclusione dell’iter a Palazzo Madama per metà giugno con successivo passaggio alla Camera.

Ma i dubbi restano e altri parlano di un possibile slittamento delle nomine al prossimo autunno.

In ogni caso pare anche che il Governo non intenda dare alla riforma Rai priorità assoluta e al momento sono altre le questioni calde sulle quali si sta concentrando il lavoro dell’esecutivo.

L’attuale Cda Rai scadrà il prossimo 25 maggio e pare ormai davvero difficile poter pensare di arrivare all’estate con la riforma approvata.

Tuttavia la nomina dei nuovi vertici Rai con la Gasparri non appare così facile.

Le norme attuali prevedono un Cda composto da 9 membri eletti dalla Commissione di Vigilanza che nomina pure il presidente con voto dei 2/3.

In Vigilanza è molto forte la corrente di Bersani che potrebbe spuntarla sui nomi dei nuovi consiglieri.

Con il ddl del Governo il board della Rai si riduce da 9 a 7 consiglieri che vengono indicati da Governo e Parlamento con una figura di direttore generale che diventa amministratore unico con poteri rafforzati.

Intanto è già partito il totonomine per il nuovo Dg. Già circolano alcuni nomi e pare che si voglia dare preferenza a un manager, forse donna, proveniente dall’industria tv.

 

L’affondo del presidente della Vigilanza

Questa riforma Rai non è comunque nata sotto una buona stella. Sin da subito si sono registrate forti tensioni. Dopo le aspre critiche arrivate dal presidente della Tv pubblica Anna Maria Tarantola in audizione al Senato, adesso a colpire il ddl del Governo è il presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza, Roberto Fico, del M5S che ha sua volta presentato una propria riforma per la Rai.

Fico replica alle affermazioni della giornalista ed ex presidente Rai Lucia Annunziata e lo fa dalle pagine del blog del leader del Movimento pentastellato Beppe Grillo.

La Annunziata critica la Legge Gasparri e parla della necessità di una governance che “scavalla i governi”.

Per Fico, “è davvero triste constatare che, in termini di indipendenza, la riforma del Governo riesce nell’impresa di fare peggio della legge Gasparri. Quattro consiglieri su sei matematicamente del blocco maggioranza-Governo, ma con un’attenta distribuzione dei voti si potrebbe arrivare addirittura a 6 su 7. E tutto questo senza uno straccio di requisito concreto, né meritocratico né a garanzia dell’indipendenza”.

Il presidente della Vigilanza la definisce “una riforma vergognosa … che concepisce il servizio pubblico radiotelevisivo come territorio del potere esecutivo e quindi ne umilia la missione pluralistica e di sviluppo del senso critico, civile ed etico dei cittadini.”

“Siamo d’accordo con l’Annunziata – ha concluso Fico – quando dice che ‘qualunque riforma porti la politica fuori dalla Rai va benissimo’, ma non condividiamo l’affermazione secondo cui un sistema per recidere i legami tra politica e Rai non è stato ancora trovato. La nostra proposta, che nasce con il duplice obiettivo dell’indipendenza del servizio pubblico e della qualità dei contenuti, segna una radicale discontinuità con tutte i progetti di riforma presentati in questi ultimi anni”.

La Cgil torna sul modello BBC

E sulla riforma Rai, ieri è stata audita al Senato la delegazione Cgil e Slc Cgil, composta dal dirigente di corso d’Italia Antonio Filippi e dalla segretaria nazionale della categoria Barbara Apuzzo.

I rappresentanti sindacali hanno avanzato le prime cinque osservazioni sul ddl del governo.

Innanzitutto, si legge nella nota, “desta molta preoccupazione la proposta di doppia delega in bianco al Governo, una in materia di finanziamento e l’altra relativa alla riscrittura del testo unico radio-televisione”.

La prima osservazione attiene al fatto che “si provvede ad un intervento sulla Rai in assenza di una visione organica relativa a tutto il sistema dell’informazione e della comunicazione mantenendo invariate le storture introdotte dalla legge Gasparri”.

“Sembrerebbe – prosegue la nota – inoltre eliminato il tetto pubblicitario per la Rai. Ciò risulterebbe “a compensazione” dell’evidente minor gettito del Canone. Questo produrrà una ulteriore penalizzazione del settore editoriale e dell’emittenza locale”.

“Risulterebbe altresì abrogata la Commissione di Vigilanza. In questo senso sarebbe opportuno allargare i compiti previsti dall’art. 1 della legge 14 aprile 1975, n. 103, avendo a riferimento lo sviluppo delle nuove tecnologie”.

I rappresentanti sindacali evidenziano anche che “la composizione e la nomina del Cda non risolve il tema annoso del rapporto con la politica. La previsione di un rappresentante dei lavoratori del Cda è l’ennesima scelta fuorviante, inutile se non anche dannosa rispetto al tema del ruolo delle forze sociali in settori di pubblico interesse”.

Per la Rai, così come per altre aziende esercenti un servizio pubblico, la Cgil propone la forma del sistema duale: un Cda di esperti per la gestione aziendale e un Consiglio di Indirizzo costituito da rappresentanti degli interessi collettivi.

Per il sindacato, “destano enorme preoccupazione gli articoli abrogati dall’art. 5. L’art. 17 della legge 3 maggio 2004, n. 112 definisce i compiti del servizio pubblico generale radiotelevisivo; mentre l’art. 20 della stessa legge stabilisce la concessione, per 12 anni, del servizio pubblico radiotelevisivo alla Rai. Il contratto di servizio tra Rai e Stato è scaduto nel 2012 e la Concessione scade nel 2016. Poiché i temi relativi all’art. 17 e 20 della 112 del 2004 rappresentano il cuore del sistema pubblico radiotelevisivo, è ragionevole immaginare che a quella data, nel 2016, finiremo per non avere definito né il profilo socio-culturale della Rai e neppure la struttura, peraltro complessa, della Concessione”.

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