Dal cilindro di Palazzo Chigi esce un coniglio più agile ma sicuramente più esile del cavallo di Viale Mazzini. Il vero nodo appare irrisolto, e dunque viene a suo modo risolto in negativo: quale mission e quali risorse per fronteggiare una sfida sul mercato?
Non sembrano venire idee forti su questo punto, anzi sembra di intuire uno sminuzzamento, una frantumazione, un ridimensionamento della massa critica del servizio pubblico. Come per le banche popolari, come per l’ENEL, come per Finmeccanica, come per le Poste.
Il protagonismo dei segmenti strategici dello Stato si affievolisce e lascia spazio a soggetti esterni, magari non distanti da quegli apparati finanziari da cui provengono molti dei consulenti e dei collaboratori del premier.
Proprio le Poste sembrano offrire un modello: un grande apparato pubblico, limitato dal tempo, che non aggancia il salto tecnologico e che viene ridimensionato ed ottimizzato da un gruppo di tecnocrati di fiducia del governo.
La Rai sembra imboccare questa strada.
La Governance proposta è inesorabile. Letta in controluce con la riforma istituzionale che sta maturando – una Camera a regime iper-maggioritario e un Senato di risulta dal maggioritarismo locale – e la legge elettorale in avanzato stato di approvazione – una buona parte della Camera designata dal vertice del partito vincente e i membri del Senato indicati da Comuni e Regioni dove vincerà un solo partito – non lascia dubbi: il CDA della Rai sarà dominato totalmente dal premier.
Sarà lui infatti, nella duplice funzione di capo del partito maggioritario e guida del governo a selezionare di fatto tutti i membri, meno quello indicato dai dipendenti dell’azienda, notoriamente allergici ai richiami dei poteri maggioritari nella politica.
Questo strapotere non credo che sarà usato banalmente per asservire il megafono televisivo, quanto per renderlo ancora più leggero ed evanescente sulla scena multimediale. Infatti, caso inedito in riorganizzazioni aziendali, insieme al cambio di governance si lascia nel vago il modello di finanziamento. Peggio, si lascia pendere la minaccia di una secca riduzione delle disponibilità per l’eventualità di un canone azzerato, di una pubblicità limitata e di una dipendenza assoluta dall’Erario, ossia dal Ministero del Tesoro, nel caso il controllo dell’Esecutivo non fosse adeguato.
Del tutto evaso il tema della mission: una Rai ottimizzata, diciamo così, come e quanto deve servire al sistema paese: mi attendo una forte enfasi nell’azione promozionale all’estero, e una grande e solenne investitura sul versante culturale. Educational, educational, educational, disse il premier una volta citando Tony Blair.
Esattamente i due elementi che fanno da contraltare ad ogni emarginazione dal mercato reale. Una Rai che diventa una grande biblioteca del commercio estero.
Ma sulla vera ciccia? Ossia sul mercato dei linguaggi e delle soluzioni digitali che ne sarà? La Rai darà o no battaglia ai domini tecnologici che si stanno dispiegando sul paese, con Google che si sta impadronendo delle memorie, Amazon dei servizi di depository delle documentazioni cloud, e Facebook dei flussi informativi? E se non lo farà, e si atteggerà a normale utente postale degli algoritmi altrui, a cosa servirà questa nuova RAI? Cinema e fiction sono già in via di scorporo, come RaiWay, per diventare bocconcini da borsa.
Rimangono le news. Lì il pasticcio velleitario di Luigi Gubitosi, con il suo sistema duale delle due newsroom, e il suo relativismo che rende il TGR o il TG1 interscambiabili, ai fini di un primato aziendale, sta piallando ogni ulteriore ambizione.
A fronte di tutto questo vi sarà, prevedo, un grande investimento di culture manageriali: una grande squadra di architetti televisivi sbarcherà a Viale Mazzini. Ci stupiranno con effetti speciali. Esattamente come è accaduto alle Poste, dove un gruppo di tutto rispetto sta rimodellando il bonsai dell’ex grande network nazionale. Alla Rai dovranno essere ancora più bravi a tagliare e rammendare. Lì si dà più nell’occhio.