Mentre sembra ormai chiara la disposizione che riguarda il canone Rai con il passaggio alla Camera della Legge di Stabilità dopo il voto di fiducia del Senato sul maxiemendamento, si riaccende il dibattito sulla riforma della governance della tv pubblica
Il disegno di legge approderà nell’Aula di Palazzo Madama a partire da martedì 15 dicembre.
E’ quanto viene riferito al termine della conferenza dei capigruppo del Senato.
La Legge di Stabilità è, invece, attesa per la terza lettura intorno al 20 dicembre.
Il testo è stato approvato lo scorso ottobre alla Camera con 259 voti favorevoli (143 contrari e 4 astenuti) che adesso torna appunto in seconda lettura al Senato dove era passata lo scorso luglio per avere il via libera definitivo atteso a questo punto per fine anno.
La protesta alla Camera è stata forte soprattutto dai banchi del M5S, Lega Norda e Sel. Ma si è riusciti ugualmente in soli due giorni a far passare il testo.
Ha votato compatta la maggioranza, che difende il nuovo assetto della governance della tv pubblica: dall’introduzione della figura dell’amministratore delegato al Cda più snello, composto da sette membri e non nove, senza lasciare la nuova figura del presidente di garanzia.
“Con questa riforma la Rai diventa una Spa normale con un vero capo azienda e finisce una impropria commistione tra politica e gestione quotidiana dell’azienda”, ha commentato il Sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli, subito dopo il voto.
Non sono mancate le critiche specie da Usigrai, in contrasto con il governo anche sulle disposizioni che riguardano il canone Rai per la parte che prevede di destinare il maggiore gettito all’erario e non più alle casse della tv pubblica.
Usigrai ha manifestato perplessità anche per quanto riguarda la riforma della governance. In particolare il Segretario nazionale Vittorio Di Trapani, in occasione del passaggio alla Camera del testo, ha dichiarato a Key4biz: “Questo Ddl non risponde agli obiettivi fissati prima che da noi dal Presidente del Consiglio quando disse ‘libereremo la Rai dai partiti e dai governi’. Questo Ddl non c’entra questo obiettivo, non restituisce la Rai ai cittadini e non risolve i problemi che da anni denunciamo, quelli del controllo della politica sul servizio pubblico”.
Il nuovo Cda, per non lasciare i vertici scoperti in attesa del varo delle nuove norme, è stato nominato a luglio con la vecchia Legge Gasparri.
La nuova figura dell’amministratore delegato, nominato dal Cda su proposta del Tesoro, ha scatenato le proteste dell’opposizione alla Camera.
Il dg Antonio Campo Dall’Orto, grazie alle disposizioni transitorie, acquisirà i poteri previsti per l’amministratore delegato nella riforma e una maggiore autonomia nella gestione aziendale.
Roberto Fico, il pentastellato presidente della Commissione di Vigilanza Rai, ha rilanciato: “Siamo preoccupati, questo direttore nominato in tutta fretta diventa un superuomo al comando della tv pubblica”.
Fico ha ricordato la vicinanza dell’attuale Dg al premier: “Era uno degli animatori della Leopolda insieme a Renzi”.
Il vero motivo di questa accelerazione sul Ddl Rai?
Per Fico, la ragione è che “il governo vuole occupare postazioni per gestire al meglio la campagna elettorale”.
Alla Camera ha votato contro il provvedimento pure Forza Italia, nonostante abbia ottenuto, grazie a propri emendamenti approvati al Senato, la figura del presidente di garanzia, che deve avere il parere favorevole dei due terzi della Commissione di Vigilanza, e un maggior peso del cda nelle nomine editoriali. Il capogruppo Renato Brunetta ha spinto in particolare per la trasparenza dei compensi dei dirigenti, ottenendo il sì della maggioranza alla pubblicazione degli stipendi superiori ai 200 mila euro, compresi quelli dei giornalisti, ma esclusi quelli delle star della tv.
La riforma avvia anche il percorso in vista della scadenza della concessione di servizio pubblico nel maggio del prossimo anno. Con un emendamento approvato in Aula, è stata prevista una consultazione pubblica prima del rinnovo. Subito dopo scatterà la procedura per il nuovo contratto di servizio. Intanto con le nuove norme passano da tre a cinque gli anni di durata dei contratti nazionali per lo svolgimento del servizio pubblico. Acquista un potere maggiore il governo, che prima di ogni rinnovo dei contratti deve indicare gli indirizzi.
Da sciogliere ancora il nodo delle tv locali. Alla Camera Giacomelli ha sottolineato che il governo punta a “risolvere in maniera definitiva” sia dal punto di vista dei finanziamenti che da quello della distribuzione delle frequenze la questione dell’emittenza locale italiana.