Italia e Gran Bretagna sono alle prese con la riforma della tv pubblica. Ma mentre oltremanica le idee sono già molto chiare e definite, nel nostro Paese è in atto un vero e proprio scontro politico sui sistemi di nomina della governance Rai e resta ancora nell’ombra il vuoto che riguarda la mission del servizio pubblico.
Argomento spinoso, più volte rilanciato dai sindacati, ma che tarda ad essere chiarito.
Quale veste avrà la Rai del futuro?
La Ue ha aperto il dibattito sulla riforma dell’audiovisivo. La chiave di lettura deve essere quella di ridisegnare il settore per realizzare fattivamente il Mercato Unico Digitale, ma la Rai sarà pronta a raccogliere la sfida delle nuove tecnologie?
Alcuni passi sono stati fatti – la Rai ha lanciato a febbraio Ray, un laboratorio online su modello della BBC che punta ai giovani – ma sul fronte dell’offerta dei contenuti online il cammino è ancora lungo.
E mentre si attende il 31 luglio quando dovrebbe esserci il voto finale del Senato sul testo di riforma (secondo quanto deciso dalla riunione di ieri dei Capigruppo) per incardinare il ddl a Montecitorio prima della pausa estiva con possibilità però di slittamento e quindi di ricorrere alle nomine dei vertici di Viale Mazzini con la Legge Gasparri anche se per un periodo transitorio, in Gran Bretagna si procede a grandi passi con l’obiettivo di rafforzare la BBC nel digitale.
In Gran Bretagna il confronto si sta registrando proprio su questo.
Pochi punti, ma chiari: tagliare le spese di BBC International per concentrarsi sulla distribuzione internet magari anche producendo contenuti originali.
Argomento però quest’ultimo che trova resistenze nel governo che vorrebbe che restassero nelle mani dei privati.
Un quadro chiaro della situazione della BBC ci è stato offerto da William Ward, corrispondente londinese del Il Foglio e di Panorama e collaboratore fisso di Radio Tre Mondo che lavora per la Rai da più di trenta anni.
Nell’intervista rilasciata a Key4biz, Ward ci ha offerto uno spaccato interessante, paragonando le due tv pubbliche che conosce molto bene.
“La BBC – spiega Ward – ha un impero al pari delle multinazionali di internet come Google o Amazon. L’organizzazione è così efficiente da battere la concorrenza al punto da creare quasi un monopolio nell’informazione. La BBC ha saputo sfruttare bene anche l’exploit di internet. Oggi BBC News è uno dei portali più seguiti nel mondo, anche se a discapito di altre player che cercano di lavorare in questo campo. La BBC ha una posizione privilegiata e a volte ne abusa, ma del resto è anche vero che di fronte ai grandi broadcaster internazionali è un bene per la Gran Bretagna poter essere rappresentata da un ente prestigioso e High Profile”.
La tv pubblica britannica ha già raccolto ampiamente la sfida di internet al punto da discutere anche della possibilità di estendere il canone anche a chi guarda la BBC sui dispositivi mobili con la volontà eventualmente di trasformare il modello classico di abbonamento in un subscription service.
Al centro della discussione anche il servizio i-Player della BBC che permette di scaricare un’app, per seguire in tutto il mondo, trasmissioni radiofoniche gratuitamente e parte della programmazione tv. L’intenzione sarebbe di far pagare il servizio anche all’estero.
In Italia siamo invece ancora molto indietro.
In realtà però c’è ancora molto da fare e un’ampia e approfondita discussione sulla mission del servizio pubblico dovrebbe essere affrontata al più presto.
La nostra Rai deve saper innovarsi profondamente, catturare le nuove esigenze del pubblico che arrivano proprio dalla rete e dai servizi in streaming come Netflix.
Deve ridisegnare il proprio perimetro e il proprio campo di azione, altrimenti perderà il treno dell’innovazione e l’evasione del canone continuerà a restare alta forse proprio perché la Rai non offre più il prodotto che la gente desidera.