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Riconoscimento facciale sì o no? Il parere di 3 esperti di privacy

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Sì o no ai software per il riconoscimento facciale utilizzati dalla polizia negli Usa e in altri Stati del mondo?

Dopo le recenti scelte di IBM ed Amazon (la prima ha bloccato l’uso del riconoscimento facciale per la sorveglianza di massa, la profilazione razziale, le violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali; la seconda lo vieterà per un anno alla polizia), si è aperto di nuovo il dibattito sull’uso di questa tecnologia tra chi è a favorevole al suo divieto sia in ambito pubblico sia privato, perché fortemente invasiva e anche causa di possibili bias (soprattutto razziali), come già verificati, e chi invece sostiene un suo utilizzo, in modo responsabile, per la lotta al crimine.

Sul tema abbiamo raccolto il parere di 3 esperti di protezione dei dati:

Alessandro Del Ninno: “Se usato in modo corretto, importante per lotta al crimine”

“Le tecnologie sono neutre, sono buoni o cattivi gli utilizzatori e quindi etici o non etici i risultati delle tecnologie“, sostiene Alessandro Del Ninno, avvocato esperto di Data Protection dello studio Tonucci & Partners di Roma, che aggiunge:

Con le scelte di fermare o sospendere l’utilizzo del riconoscimento facciale da parte della polizia si sacrifica un mezzo, che se usato correttamente, è di straordinaria importanza per la lotta al crimine.

Poi cosa significa negarlo per 1 anno? Dopo il sistema diventa etico?”

Filippo Bianchini: “Molti i dubbi sull’uso: dai tanti occhi onnipresenti ai possibili bias (razziali, anzitutto), peraltro già verificati”

“Nel corso dei lavori della 41a Conferenza internazionale dei Garanti privacy (ICDPPC, ora GLOBAL PRIVACY ASSEMBLY) tenutasi lo scorso ottobre a Tirana, si era levata forte la voce della società civile che chiedeva una moratoria sulle tecnologie di riconoscimento facciale. Ciò anche in considerazione del fatto che tale strumento viene sempre maggiormente impiegato nelle scuole americane, con la giustificazione di prevenire, tra gli altri, i tristemente famosi fenomeni di sparatorie”, commenta Filippo Bianchini, avvocato cassazionista e consulente in materia di protezione dati, che conclude:

I dubbi sollevati sono molti, dall’opportunità di avere un distopico controllo istante per istante sugli spostamenti ai possibili bias (razziali, anzitutto), peraltro già verificati.

Il tutto passando per la terza legge – empirica – della sorveglianza digitale, enucleata dalla prof.ssa Zuboff, secondo la quale ogni applicazione che può essere utilizzata per sorveglianza e controllo, sarà utilizzata per sorveglianza e controllo. Dove finiscono poi tutti questi dati e chi li controlla? Insomma, l’esistenza di tanti occhi onnipresenti che non solo vedono ma sono in grado di identificare ciascuno non costituisce una valida risposta all’esigenza di sicurezza con la quale, nella maggior parte delle circostanze, sistemi del genere vogliono essere adottati”.

Andrea Rossetti: “Al posto di opporsi, farne parte per evitare un uso completamente sbagliato”

In generale penso che se anche una società smette di sviluppare una tecnologia ce ne saranno altre che comunque continueranno a svilupparla e poi a venderla”, osserva Andrea Rossetti, docente di Filosofia del Diritto e Informatica Giuridica all’Università di Milano-Bicocca, che aggiunge:

Credo che invece di opporsi a questi cambiamenti convenga farne parte per controllare che non prendano una direzione completamente sbagliata!”.

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