Riarmare l’Europa, ma da chi compreremo? Serve il ‘made in EU’
Il Libro bianco sulla difesa europea – Preparati per il 2030 è stato presentato, ma certo non ha risposto alle tante domande già sollevate in fase preparatoria relative non tanto al ‘perché’, ma al ‘come’. L’Europarlamentare Christophe Grudler, membro della Commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, ha criticato il documento sottolineando che manca un concetto chiave: “Dove sta scritto comprare ‘prodotto in Europa’?”.
“Il Libro bianco sulla difesa dell’Unione europea è un passo positivo, con proposte concrete per rafforzare la posizione difensiva a livello continentale, ma non ha senso dire che dobbiamo rafforzare la nostra industria della difesa senza affermare contestualmente che dovremmo comprare ‘made in EU’”, ha dichiarato Grudler in un post social.
“Per garantire la nostra autonomia tecnologica e operativa, abbiamo bisogno di armi che siano ‘progettate’ e ‘prodotte’ in Europa”, ha sostenuto l’Eurodeputato.
Tralasciando altri punti critici, come il ‘minestrone’ tecnologico proposto nel documento, senza dettagliare strumenti attuativi e ripartizioni finanziarie (interoperabilità e coordinamento non si raggiungono senza un’infrastruttura digitale e delle telecomunicazioni potenziata, condivisa e ben protetta), il ‘compra europeo’ appare un fattore chiave per garantire un minimo di autonomia europea e sicurezza delle forniture in questo settore.
Aumentare la capacità industriale militare, ma come?
Tra le linee d’azione proposte nel Libro si parla di “colmare le lacune in termini di capacità, con particolare attenzione alle capacità critiche individuate dagli Stati membri” e di “sostenere l’industria europea della difesa attraverso la domanda aggregata e un aumento degli appalti collaborativi”.
Significa che l’Unione attualmente deve investire con maggiore forza e rapidità in una propria industria militare, che è estremamente debole e frammentata, ma al contempo trovare il modo di coordinare gli sforzi, altrimenti il risultato non sarà all’altezza delle aspettative.
Non basta solo trovare le risorse finanziarie, serve una visione condivisa dagli Stati membri, che come si dice devono esser capaci di remare tutti nella stessa direzione.
La Francia, fin dall’inizio, ha spinto per introdurre nel testo un vincolo forte di spesa militare dei Paesi europei da riservare alle imprese che producono nell’Unione e di Paesi ‘terzi’ che abbiano concordato un’intesa forte con Bruxelles.
Come riportato dal Financial Times, il documento prevede che ameno i 65% dei prodotti finanziari dovrà esser speso in Europa, comprese Norvegia e Ucraina, mentre il restante 35% anche in prodotti provenienti dai suddetti Paesi terzi.
Al momento sono esclusi come fornitori gli Stati Uniti (cosa alquanto improbabile da confermare già nell’immediato) e la Gran Bretagna. Nel caso di Londra sono in corso dei colloqui (la Germania, tramite il suo ambasciatore nel Regno Unito, Miguel Berger, ha chiesto ai britannici di rientrare nell’Unione doganale europea se vuole partecipare attivamente al piano di Difesa), anche perché il Regno Unito ha fatto forti pressioni per essere incluso nell’accordo, visto che alcune sue aziende come Bae Systems e Babcock International collaborazione con industrie militari europee, tra cui Italia e Svezia.
Al momento, l’Europa compra ‘made in USA’
Rimane il problema della capacità effettiva dell’industria militare e difensiva europea, perché molte componenti chiave e attrezzature le compriamo ancora da fornitori esteri, soprattutto americani.
Secondo un recente Rapporto dello Stockholm International peace research institute, i Paesi europei membri della NATO hanno aumentato gli acquisti di armamenti del +105% nel periodo 2020-2024 (rispetto al precedente 2015-2019). I due terzi di questi acquisti provengono dagli Stati Uniti, il resto da Francia e Corea del Sud (il 6,5% da entrambi), dalla Germania (4,7%) e da Israele (3,9%).
Per la prima volta in due decenni, la quota maggiore delle esportazioni di armi statunitensi nel 2020-24 è andata all’Europa (35%) anziché al Medio Oriente (33%).
Difesa europea, l’autonomia che non c’è
Per rendere l’Europa davvero autonoma in termini di capacità militare e difensiva serve un mercato unico e una politica di Difesa unica. L’aumento della domanda interna potrà accelerare l’industria degli armamenti, che comunque ha una solida base, con campioni del calibro di Airbus, Leonardo, BAE Systems, Rheinmetall, Dassault, Thales, solo per citarne alcuni.
Aziende che alla fine, per fare profitti, in mancanza di commesse ‘europee’, preferiscono vendere al resto del mondo. La produzione è frammentata tra i vari Paesi, con scarsa integrazione tra le diverse industrie nazionali. Ogni Stato tende a proteggere le proprie aziende, impedendo la creazione di un vero “complesso militare-industriale” europeo paragonabile a quello statunitense.
Tuttavia, come si legge su euractive.com, “non si può escludere la possibilità che un riarmo nazionale degli Stati europei porti a una maggiore concorrenza industriale e a un indebolimento delle capacità collettive dell’Ue”, ha scritto su Le Grand Continent Samuel BH Faure, docente di scienze politiche presso Sciences Po Saint-Germain. Se non si rema nella stessa direzione, non si va da nessuna parte.
L’orizzonte del 2030 fissato dalla Presidente del Consiglio europeo, Ursula von der Leyen, appare più utopistico che realistico. I tempi necessari per raggiungere questi obiettivi alquanto ambiziosi sono necessariamente lunghi e l’instabilità politica (interna) che sta crescendo in tutti i Paesi europei (e limitrofi) non aiuterà.