Pubblichiamo di seguito una nuova intervista a Francesco De Leo, presidente di Kaufmann & Partners, già direttore generale di Telecom Italia.
Una uscita utile, per la complessità delle tematiche trattate e perché cade proprio nel giorno in cui TIM e Cassa Depositi e prestiti riuniscono i propri Cda per decidere i primi passi nel percorso di verifica di fattibilità di una società della rete unica.
Key4Biz. Il tema della Rete Unica ha registrato un’accelerazione la settimana scorsa. Qual è stata, a suo avviso, la reazione dei mercati finanziari?
Francesco De Leo. In molti si attendevano una reazione meno tiepida. Dopo un inizio di settimana che ha dato segno di qualche interesse sul titolo, venerdì scorso 28 agosto, il giorno dopo l’annuncio sulle intenzioni dichiarate del governo, TIM ha chiuso a 40 centesimi per azione segnando un -0.22%, lontano dai massimi di un anno fa, intorno ai 58 centesimi.
I mercati hanno evidentemente più di un dubbio sulla percorribilità dell’operazione, anche per come è stata presentata da CDP e TIM.
“Buy on rumors, and sell on news”, ma in questo caso di notizie e di punti fermi se ne intravedono ancora pochi.
Key4Biz. In che senso?
Francesco De Leo. Parafrasando Sergio Marchionne che in un suo discorso, parlando della situazione che aveva trovato in FIAT Group al suo arrivo nel giugno del 2004, si chiese ad agosto non trovando nessuno presente in ufficio al Lingotto: “in vacanza da cosa?”, nel caso della Rete Unica verrebbe da dire: “un accordo su cosa?”, perché francamente non è chiaro.
Key4Biz. Varrebbe a dire?
Francesco De Leo. C’è ancora una palese approssimazione e molta ambiguità in merito a quanto è stato annunciato, sia nei termini che nei modi. E i mercati registrano questi tempi e questi modi come segnali di incertezza. Al di là delle pur meritevoli intenzioni del Governo e della indomita e rinnovata caparbietà di Luigi Gubitosi nel portare avanti il progetto di Rete Unica, si direbbe, come scriverebbe Richard Rumelt che si tratti ancora di un quadro provvisorio “a restatement of the obvious, combined with generous sprinkling of buzzwords that masquerade as expertise designed to mask the absence of thought”. Chi non sarebbe d’accordo nel colmare il gap infrastrutturale sulla banda larga, che separa l’Italia dai suoi partner europei? Occorre, poi, entrare nei dettagli.
Key4Biz. Ma perché allora i mercati si sono dimostrati, almeno fino a questo momento ancora freddi sull’operazione?
Francesco De Leo. In sintesi, sono almeno quattro i fattori che hanno incrinato la coerenza complessiva del progetto, almeno stando a come è stato presentato e alle notizie pubblicamente disponibili.
In primis, è trapelata una fretta eccessiva, che è parsa più dettata dalle esigenze di dare contezza al CdA di TIM che si tiene oggi, piuttosto che una scelta consapevole sulla base di ragionevoli considerazioni di merito sul perimetro e la governance dell’operazione. E la fretta eccessiva non è mai gradita dagli osservatori, perché insinua il dubbio che ci siano problemi più gravi di natura strutturale. E si sa: gli investitori non amano le sorprese, perché in larga maggioranza risultano essere soprese “negative”.
Key4Biz. D’accordo, la fretta è stata ed è sotto gli occhi di tutti, ma quali sono i passaggi che a suo avviso hanno allertato i mercati?
Francesco De Leo. L’annuncio è stato dato da TIM (vedi Bloomberg) alle 15:35 di giovedì 27 Agosto a mercati aperti con un titolo molto forte ed evocativo: “TIM: da vertice di maggioranza OK unanime ad accordo con CDP”. Non è la prima volta che sulla vicenda vengono fatti annunci market-sensitive a mercati ancora aperti, e considerato lo standard degli ultimi mesi si prevede che non sarà l’ultima. Non è una prassi condivisibile, e i mercati registrano queste condotte con sospetto. È poi vero che si può fare tutto, in particolare in tempi difficili come questi segnati dalla diffusione del COVID-19. Ma c’è da aggiungere che ad oggi non si registrano casi in cui un’azienda privata, quotata in Borsa, abbia anticipato con un proprio comunicato stampa scelte così delicate prese da un Governo. Se analizziamo gli ultimi 12 anni, non è mai successo in Italia e credo in nessuno dei Paesi dell’Unione Europea. Vorrei ricordare che quando trapelò la notizia che Angelo Rovati aveva presentato su carta intesta di Palazzo Chigi ai tempi del Premier Romano Prodi un progetto di scorporo della rete, Marco Tronchetti Provera si dimise da Presidente Esecutivo, senza indugi. Verrebbe da dire altri tempi e altro stile. A questo si aggiunga che l’amministratore delegato di Cassa Depositi e Prestiti (CDP), Fabrizio Palermo, si è presentato alla riunione del Consiglio dei Ministri presentando il progetto senza una preventiva presa di visione da parte del CdA di CDP. E anche questo passaggio, in una certa misura, è stato percepito come irrituale agli occhi degli osservatori, che si attendono che il CdA svolga il proprio ruolo con diligenza e autonomia, trattandosi dei risparmi delle famiglie italiane.
Key4Biz. Quindi, diciamo che nella fretta siano stati accelerati dei passaggi che nella prassi si sarebbero svolti con maggiore aderenza al protocollo. Ma quali sono gli altri fattori che hanno influito?
Francesco De Leo. E’ così, ma è altrettanto vero che molti degli attori chiave che hanno surriscaldato il confronto sulla Rete Unica negli ultimi mesi hanno espresso a più riprese orientamenti fra loro palesemente contraddittori e di frequente, ripeto, a mercati aperti: in alcuni casi, si tratta di soggetti che hanno ricoperto ruoli apicali proprio in TIM, e che hanno espresso pareri differenti sul ritardo nello sviluppo della banda larga, come se fossero totalmente stati estranei ai fatti che hanno determinato lo stato di arretratezza oggettiva in cui versa il Paese. I mercati e gli analisti registrano e valutano la coerenza delle posizioni: e questi cambiamenti di orientamento improvvisi e in una certa misura anche sorprendenti hanno insinuato negli analisti il sospetto che alla fine non si tratti di un tema di coerenza nell’ambito di un progetto che ha una sua “valenza industriale”, ma di un problema di “assetto politico”. E quando la politica diventa lo snodo chiave per la scelta di investimenti di questa portata è abbastanza naturale che i mercati si esprimano con prudenza. Sarebbe difficile attendersi il contrario.
Key4Biz. Magari i mercati sono a volte troppo severi? Magai hanno un pregiudizio sull’Italia e il suo Governo?
Francesco De Leo. Per chi conosce le vicende italiane, e in particolare la “saga” di TIM, tutto questo non è né sorprendente, né difficilmente comprensibile: ma per chi guarda “da fuori”, da Londra, Francoforte, New York o Singapore, è chiaro che l’immagine che ne trae è quella di un contesto opaco e poco “leggibile”, marcato da dichiarazioni fra loro contradditorie.
Key4Biz. E allora?
Francesco De Leo. Occorre prendere atto che l’unico soggetto che è stato rispettoso delle proprie prerogative, coerente senza esitazioni, e rispettoso dei mercati è stato Open Fiber. Il suo Presidente, Franco Bassanini, ha ribadito le proprie convinzioni, affermando una linea di trasparenza e coerenza oggettivamente inusuali in un contesto cosi politicizzato, nonostante, credo, le innumerevoli pressioni arrivate da più parti. I mercati registrano e osservano: la coerenza generalmente viene apprezzata, forse dagli investitori esteri in misura maggiore che da noi in Italia. Ma anche questo conta, perché Open Fiber proietta un’immagine positiva del nostro Paese in Europa. Senza l’intuizione del Governo dell’epoca, guidato da Matteo Renzi, oggi non saremmo qui a parlare di Rete Unica. Si deve dare atto ad Elisabetta Ripa e al suo team che dal momento del lancio a dicembre 2015, partendo da un foglio Excel bianco, sono riusciti a creare un player che oggi, a meno di 5 anni di distanza, ha creato un valore fra i 6 e i 7 miliardi di euro, più o meno il valore delle azioni ordinarie del 100% di TIM. E questo è un risultato tutt’altro che scontato e anche per questo pesa: in particolare, perché dimostra che il nostro Paese sa investire con criterio le risorse che ci vengono destinate dall’Europa. Fatto ancora più importante oggi, in un’ottica di accelerazione del Recovery Fund.
Key4Biz. Ma, secondo lei, il Governo, il MEF e CDP che ruolo svolgono in questo scenario?
Francesco De Leo. I mercati hanno percepito come all’interno del Governo vi siano posizioni diverse, e in qualche misura difficilmente conciliabili, sul tema della governance: non entro nei dettagli e il Governo prenderà posizione come meglio crede, ma è certo che tutto questo non aiuta a dare certezza ai mercati sui tempi e la percorribilità dell’operazione.
Key4Biz. Tradotto…
Francesco De Leo. È un percorso che richiede tempi lunghi. Siamo ancora in una fase di studio. Assetto finale e fondamentali, sotto il profilo dei parametri finanziari, sono avvolti, ancora per il momento, nell’incertezza. Gli analisti studiano i pattern e se stiamo all’analisi di quello che è stato il percorso seguito per la soluzione della vicenda ASPI (Autostrade per l’Italia) si registra che sono stati necessari 2 anni ed ancora ad oggi i meccanismi di attuazione delle decisioni prese dal Governo non sono chiari. E i mercati temono che sarà così anche per la Rete Unica.
Se stiamo ai fatti e alle dichiarazioni degli ultimi giorni è molto più che probabile che sarà cosi.
In molti ancora ricordano che nell’ambito della vicenda Alitalia, al primo tentativo di salvataggio si creò, de facto, un monopolio sulla tratta Roma-Milano: e non ha portato bene, perché l’arrivo dell’Alta Velocità ha reso obsoleta quell’impostazione nell’arco di pochi anni. Ecco, i mercati temono almeno in parte che TIM e la Rete Unica possano fare la fine di Alitalia, che ad oggi, e sono passati anni e più di un tentativo di rilancio, si direbbe non sia ancora uscita da una fase di stallo. Il dubbio degli osservatori è che il Governo e CDP anziché guardare avanti, stiano guidando con gli occhi puntati sullo specchietto retrovisore, con una concezione di rete che potrebbe essere resa obsoleta dall’evoluzione della tecnologia e del settore nel suo complesso.
Key4Biz. E tutto questo come impatta sul percorso di avvicinamento alla realizzazione della Rete Unica?
Francesco De Leo. In realtà, c’è un problema a monte. Per come è stato annunciato, e quindi sulla base delle dichiarazioni che sono state registrate, si direbbe un progetto che parte già vecchio. È come se il dibattito fosse rimasto fermo a 14 anni fa. Se poi si tiene in conto che occorreranno, nella migliore delle ipotesi dai 18 ai 24 mesi per completare l’iter di approvazione della Rete Unica, tenendo in conto il parere vincolante della Commissione Europea, si può dire che quando finalmente “sarà posata la prima pietra” il progetto sarà già superato nei fatti.
Key4Biz. Cosa vorrebbe dire?
Francesco De Leo. Se dovesse affermarsi la scelta di un operatore di Rete Unica verticalmente integrato sotto il controllo di TIM questo andrebbe a scontrarsi contro la tendenza che vede l’emergere di operatori indipendenti e neutrali di rete sia nel fisso che nel mobile. È un processo che è iniziato almeno da 10 anni, e che ora sta subendo un’accelerazione. Quello che è avvenuto nell’industria del PC a fine degli anni ’80 si sta puntualmente verificando anche nel settore delle telecomunicazioni, una progressiva e irreversibile de-verticalizzazione. Nel 1998 avevo incontrato i banchieri di UBS Warburg, con cui discutevamo dell’ingresso di Telecom Italia nel capitale di Bharti Airtel di Sunil Bharti Mittal, ed il loro Chief Econmist aveva già individuato i “trigger” dell’evoluzione del settore in questa direzione. I mercati apprezzano la focalizzazione e la creazione di nuove asset class, e l’operatore verticalmente integrato viene visto come un retaggio del passato. E questo è anche in parte dovuto al fatto che TIM oggi non è un’azienda multinazionale, come sono Telefonica, Deutsche Telekom e Orange, ma un operatore sostanzialmente “domestico”, con una presenza in Brasile e nulla più. In questo dibattito si sconta una visione di per sé “provinciale” e slegata dal contesto globale in cui operano le maggiori aziende di telecomunicazioni europee. TIM è una grande azienda per un Paese come l’Italia, ma una realtà non paragonabile, per dimensioni, ed influenza ai propri pari in Europa.
Key4Biz. Spieghiamolo meglio ai nostri lettori…
Francesco De Leo. I numeri parlano chiaro e l’affermazione su scala globale degli operatori di torri di telefonia mobile neutrali ne è un’esemplificazione. Guardiamo al percorso seguito da Cellnex, oggi la più grande “tower company” indipendente in Europa, un’azienda che è andata in quotazione il 7 maggio 2015 alla Borsa di Madrid al prezzo di € 14.11 per azione e una capitalizzazione alla chiusura della prima giornata di negoziazione di € 3.2 Miliardi. Oggi vale € 54.32 per azione per una capitalizzazione complessiva di € 22.4 miliardi, ovvero 3.5 volte la capitalizzazione di TIM. Ha chiuso, da solo poche settimane, un aumento di capitale di € 4 miliardi: la richiesta degli investitori è stata più di 50 volte superiore all’offerta, ovvero avrebbe potuto raccogliere € 105 miliardi. Gli analisti apprezzano l’espansione pan-europea, la sua natura di operatore di rete mobile neutrale, e un management che è realmente internazionale ed è stato capace di conquistare la fiducia dei mercati per la semplicità e coerenza del proprio modello di business.
Key4Biz. Eppure TIM non è stata da meno e ha lanciato INWIT, la società delle torri italana che è una storia di successo. Perché le due esperienze non sono paragonabili?
Francesco De Leo. È vero, TIM ha avviato un percorso simile nel 2015, portando in quotazione INWIT nel mese di giugno di quell’anno con un prezzo il giorno dell’IPO (22 Giugno 2015) di poco inferiore ai € 4 per azione e una market cap intorno ai € 2,4 miliardi. Venerdì scorso INWIT ha chiuso con un prezzo per azione prossimo agli € 8 e una capitalizzazione di poco inferiore agli € 8 miliardi.
Cellnex oggi è uno dei primi 5 operatori di telecomunicazioni in Europa, vale alla Borsa di Madrid più di Telefonica e capitalizza 3.5 volte TIM: INWIT è indubbiamente una storia di successo, ma la sua presenza solo in Italia e la sua mancata vocazione internazionale le hanno al momento precluso la possibilità di avvicinare Cellnex in termini di gradimento da parte dei mercati. A Madrid/Barcellona si è pensato sin dagli esordi a creare un campione europeo, e non un player dominante a livello domestico. Come direbbero Andrew Campbell a Micheal Goold dell’Ashridge Strategic Management Centre si potrebbe dire che siamo difronte a un “parenting dis-advantage”. INWIT e Cellnex sono state quotate a un mese una dall’altra nel Maggio/Giugno 2015: ma, purtroppo, una gioca in Serie A, come campione nazionale, e l’altra vince in Champions League, come campione continentale.
Key4Biz. E quindi, qual è la lezione dei mercati?
Francesco De Leo. I mercati non sono né buoni, né cattivi, né sono animati da istinti persecutori: ma è molto più immediato e semplice per gli investitori puntare ad operatori come Cellnex per sviluppare le reti 5G e quelle di futura generazione che non immaginare di accumulare debito addizionale in un’asset class, quella delle telco verticalmente integrate, che scontano una debolezza strutturale per via di un eccessivo leverage a bilancio.
La capacità di questi operatori indipendenti e neutrali di raccogliere nuovi capitali o emettere nuovi bond non è assimilabile alle difficoltà in cui versano le telco europee. Un dato per tutti: nel suo complesso, le telco europee hanno accumulato €470 miliardi di debito, di cui il 64% ha il rating di “junk bond”.
Forse è anche per questo motivo che deve intervenire CDP: è possibile che, a fronte di una progressiva contrazione di ricavi e margini nelle attività core, TIM sembra in difficoltà nell’attrarre dal mercato i capitali necessari per avviare rapidamente un ammodernamento della propria rete.
Key4Biz. Perché siamo arrivati a questo punto di “non-ritorno”?
Francesco De Leo. Guardi, i mercati (ma aggiungerei anche la Commissione Europea e le autorità regolatorie nazionali) apprezzano gli operatori infrastrutturali neutrali e non verticalmente integrati. Per qualcuno può sembrare che l’integrazione verticale, come richiesto da TIM, costituisca una scorciatoia per risolvere i propri problemi di equilibrio economico-finanziario, ma non è così.
Non è ricostruendo un monopolio, verticalmente integrato che i conti possono migliorare. L’esperienza Alitalia dovrebbe insegnare che ridurre la competizione porta a risultati inferiori alle aspettative. E i mercati e gli investitori lo sanno bene.
Key4Biz. Ma perché la neutralità e l’indipendenza costituiscono un valore chiave sul mercato?
Francesco De Leo. La neutralità non è uno slogan e non è neanche una dichiarazione di intenti. Al contrario, è una scelta nei fatti, un orientamento di fondo. È quello che ha caratterizzato Cellnex sin dalle fasi iniziali del suo lancio: e non è stato semplice, né scontato per l’executive team di Cellnex non derogare a questo principio di fondo, ma così hanno fatto ed è per questo, per la coerenza e disciplina che hanno dimostrato che sono stati in grado di conquistare la fiducia di tutti gli operatori e dei mercati. La neutralità non è un valore che si negozia al ribasso: o la si ha, o non la si ha. Tutto qui.
Aggiungo, che in questi giorni sulla stampa spagnola (ndr. Expansion, venerdì 28 Agosto) sono circolate voci di un avvicinamento fra Telefonica e Cellnex (sempre con la presenza di KKR), per avviare un consolidamento del settore su scala europea. Fa un po’ tristezza pensare che mentre in Spagna si lavora su progetti di scala europea, in Italia siamo costretti ad inseguire puntando ad una dimensione meramente “domestica” come è stato nel caso di INWIT e ora con la Rete Unica. Per fortuna che in passato, almeno per TIM, non è stato sempre così. Ma è anche per questo motivo che i mercati vedono questo progetto già vecchio ancora prima che sia perfezionato. E TIM forse dovrebbe tornare a pensare più in chiave internazionale o almeno europea.
Key4Biz. Perché vede difficile l’approdo alla Rete Unica con un controllo di TIM, come operatore verticalmente integrato?
Francesco De Leo. Per due motivi semplicissimi: il primo è che TIM è un incumbent e quindi per orientamento al mercato non si può considerare neutrale. In secondo luogo, favorire TIM e il suo azionista di controllo, Vivendi, un gruppo francese con sede a Parigi, sarebbe percepito come “unfair” nei confronti degli investitori esteri presenti nel capitale di Vodafone, WIND/Tre, Sky e Iliad. E questo creerebbe delle tensioni e delle ripercussioni nel tempo per quanto riguarda la capacità del Paese e di questo Governo di attrarre in futuro nuovi investitori. Gli investitori registrano e osservano le condotte e i modelli di comportamento (patterns of behavior) dei singoli soggetti e traggono le proprie conclusioni.
Key4Biz. Ci spieghi perché ritiene che TIM non sarebbe in grado di seguire una condotta “neutrale”?
Francesco De Leo. Non è un giudizio a priori, un pregiudizio. Anzi, ancora una volta si osservano i fatti, i modelli di comportamento, i patterns e si valuta la coerenza fra dichiarazioni e azioni.
Le faccio un esempio: nel primo trimestre 2020 TIM è stata sanzionata 4 volte da differenti Authorities. Può anche essere che la sfortuna si sia accanita contro TIM, ma come scriveva Agatha Christie: “un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, tre indizi sono una prova”:
- Il 13 gennaio l’Antitrust ha comminato € 4,8 milioni di multa per politiche scorrette di win-back
- il 1° febbraio l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha di nuovo sanzionato fra gli altri TIM per la fatturazione a 28 giorni per un totale di €114,4 milioni
- il 13 febbraio l’Autorità Garante della Privacy ha sanzionato TIM “a seguito di numerosi trattamenti illeciti di dati legati alle attività di telemarketing, con violazioni che hanno interessato diversi milioni di persone in tutta Italia” per complessivi € 28,8 milioni
- e infine il 13 marzo TIM è stata sanzionata per € 116 milioni perché ha posto in essere una strategia “anticoncorrenziale preordinata a ostacolare lo sviluppo in senso concorrenziale degli investimenti” per le infrastrutture della rete a banda ultra-larga”.
Tradotto in numeri, solo nel primo trimestre del 2020, in piena crisi pandemica, TIM ha ricevuto sanzioni per complessivi € 264 milioni (1/4 di miliardo). Non è poco e se non è un record in assoluto, poco ci manca. E tutto questo non depone bene per la futura neutralità della Rete Unica, se il controllo fosse in capo a TIM e se il modello che dovesse prevalere fosse quello dell’integrazione verticale.
Spiegare ai mercati, agli analisti e soprattutto ai propri competitor e alla Commissione Europea, che d’ora in avanti non sarà più cosi richiede una svolta manageriale, un autentico cambio di rotta e delle capacità esecutive non trascurabili, che non si direbbero presenti in TIM almeno nella fase attuale. A dire il vero, non vi sono certezze che questo sia possibile nel dibattito in corso sulla Rete Unica, considerato l’antagonismo che trapela fra le parti in gioco.
Key4Biz. Torniamo sul punto dell’attualità del progetto della Rete Unica. Perché ritiene nasca già vecchio, ancora prima di essere lanciato?
Francesco De Leo. I mercati seguono un principio semplice e immediato: follow the money.
Ipotizziamo che, nonostante i molti ostacoli, il progetto possa finalmente prendere avvio alla fine dei prossimi due anni, quindi a fine 2022 o inizio 2023. Mettendo da parte per il momento la percorribilità del ricorso alle risorse del “Recovery Fund”, tutta ancora da verificare, occorre tenere presente che quando si parla di reti di prossima generazione gli attori che sono in gioco si muovono su scala globale.
Ora, teniamo presente che Elon Musk, fondatore di Pay-Pal, Tesla, Space-X e Jeff Bezos, fondatore di Amazon, sono entrambi impegnati al lancio di due progetti fra loro competitivi. Starlink di Elon Musk si propone di mettere in orbita entro la fine del 2021, inizio 2022 oltre 1500 satelliti per portare la banda larga in ogni angolo del pianeta. Giovedì 30 luglio scorso, la FCC (Federal Communications Commission) ha autorizzato il progetto Kuiper di Amazon per lanciare 3,236 satelliti, low-orbit, con un investimento di $10 miliardi, per portare copertura broadband a 4 miliardi di persone che oggi non ne hanno accesso. È chiaro che non stiamo parlando di Europa e che non è di per sé né semplice né scontato in termini tecnologici e di fattibilità: ma sarebbe imprudente considerare che non possano avere una chance di successo. In fin dei conti, Elon Musk ha contribuito a rivoluzionare il mondo dell’automobile e oggi Tesla vale in Borsa più di Ford e Toyota insieme (€ 412 miliardi), mentre Amazon è prossima a diventare la seconda azienda quotata in Borsa, dopo Apple, con una capitalizzazione prossima ai $ 2 Trilioni. Pensare che TIM, una realtà meramente “domestica”, le cui azioni ordinarie valgono in Borsa non più di € 6 miliardi, sia in grado di competere su questa scala sembrerebbe a tutti gli effetti un “wishful thinking”.
Key4Biz. Ma quindi il Governo e CDP come si dovrebbero muovere per realizzare la Rete Unica?
Francesco De Leo. Il Governo e CDP sono già ampiamente supportati dai migliori advisor, quindi non sta agli analisti fare proposte, ma tutt’al più è importante che ne seguano con attenzione gli sviluppi.
Forse il Governo e CDP dovrebbero cercare di guardare avanti e di non farsi confinare in un dibattito di retroguardia: si dovrebbero porre il problema di che tipo di Rete Unica il Paese ha realmente bisogno non ora ma fra 10 anni, in termini di architettura, topologia e di piattaforma di servizi, e di quali siano le scelte di politica industriale non per il Paese di oggi, ma per quello che vorremmo che diventasse nel prossimo futuro.
Invece, si da per scontato che la Rete Unica sia quella di cui si parla da almeno 14 anni. Ma come si dice in gergo: time is of the essence, la tempestività è tutto.
Per questo, sarebbe auspicabile che mentre proseguono le trattative, Open Fiber non venga ostacolata, ma sia messa nelle condizioni di avanzare rapidamente nella copertura del Paese con la fibra. Ingessare gli investimenti degli operatori oggi sul mercato in attesa di un eventuale accordo approvato anche in sede Europea a fine 2022, farebbe correre al Paese il rischio di accumulare un ulteriore, drammatico ritardo rispetto ai propri pari in Europa. E l’Italia, il Governo, le imprese italiane di punta, e i cittadini non se lo possono permettere.
Key4Biz. Ma, dunque, qual è l’assetto verso il quale si dovrebbe andare?
Francesco De Leo. Guardi, in primo luogo occorre tenere presente che TIM è oggi un operatore sostanzialmente concentrato su due soli mercati, Italia e Brasile e in entrambi, nella telefonia mobile, è il secondo operatore per numero di clienti, non più il primo: non ha né le dimensioni, né la presenza globale dei propri pari in Europa. Una volta Jack Welch, che ha guidato la trasformazione di General Electric (GE) in uno dei maggiori player globali disse molto semplicemente che per essere competitivi occorre essere numeri 1 o numeri 2 al mondo in uno specifico settore.
Sembra semplice, ma impone una disciplina draconiana in termini delle scelte che si devono fare e soprattutto di quelle che non si fanno. Telefonica ha 343 milioni di clienti, è l’operatore numero uno in Spagna, Brasile, numero uno nel mobile nel Regno Unito, e in Germania (Telefonica Deutschland) e ha una radicata presenza in Silicon Valley.
Deutsche Telekom è riuscita’ nell’impresa di aver portato a casa la fusione fra T-Mobile e Sprint negli USA, e Orange è un operatore presente in 27 paesi con più di 230 milioni di clienti.
Pensare di paragonare TIM ai propri pari a livello europeo, vuol dire non tenere conto della realtà.
Key4Biz. E quindi, secondo lei, questa eccessiva focalizzazione sul versante italiano può essere un ostacolo in futuro?
Francesco De Leo. La mancanza di proiezione internazionale è un gap che TIM deve porsi come obiettivo da colmare: anche Mediaset, che da tempo, e non da oggi, è numero 1 in Italia e Spagna, ha lanciato un grande progetto pan-europeo con Media for Europe (MFE), che purtroppo ha subito un rallentamento per l’attacco subito da Vivendi (azionista principale di TIM), che ne ha bloccato al momento il perfezionamento.
E anche questo, di per sé, costituisce un’anomalia agli occhi degli investitori: una volta che anche l’Italia si trova a poter giocare una partita nel consolidamento del brodcasting a livello europeo, con l’ingresso rilevante di Mediaset nel capitale di ProsiebenSat, non si comprende perché il Governo non abbia mosso un passo per favorire la risoluzione di un conflitto che sta danneggiando in chiave Europea il nostro Paese.
Con questo non voglio dire che non comprendiamo il problema. Non viviamo fuori dalla realtà ed è chiaro che questo Governo, forse, non si trova così in sintonia con l’azionista di riferimento del Gruppo Mediaset. Ma per una volta sarebbe il caso di mettere da parte le differenze e di puntare a giocare le partite chiave a livello europeo con un orientamento meno “provinciale” e “campanilistico”. Sarebbe provvidenziale per tutti gli attori in gioco. Se l’Italia vuole tornare a giocare un ruolo da protagonista in Europa lo deve fare con tutte le risorse che si trova ad avere a disposizione: con le proprie aziende di punta, con le proprie banche leader, come Intesa, con gruppi finanziari globali come Generali e quindi anche con Mediaset e TIM, facendo tutto il possibile, “no matter what”, come ha già detto da tempo qualcuno di molto autorevole.
Key4Biz. E in conclusione, per TIM quali sono gli obiettivi guardando questa volta oltre la Rete Unica?
Francesco De Leo. La sfida per TIM è la sostenibilità del debito e la contrazione ad oggi inarrestabile dei propri ricavi e margini dalle attività core: ancora quanti trimestri dovranno passare prima di marcare un’effettiva inversione di tendenza?
Forse è in questo senso che si deve cogliere l’apprensione del Governo nell’affrontare il tema della Rete Unica, per evitare che TIM si scontri con problemi strutturali ben più gravi, che potrebbero minarne, in maniera irreversibile, la possibilità di rimanere competitiva nel tempo.
A fine anno, si prevede che la contrazione dei ricavi potrebbe superare il 15%, e per alcuni analisti potrebbe avvicinarsi al 18-20% anno su anno (year on year): se nel primo semestre del prossimo anno il trend non fosse invertito, anche il tema della Rete Unica potrebbe prendere tutta un’altra piega.
Key4Biz. E quindi, quale scenario prevede?
Francesco De Leo. Posto che è molto difficile fare anticipazioni, perché ci sono troppi “unknowns unknowns”.
Il principio che si dovrebbe seguire è dettato da una massima di Mark Twain: “it ain’t what you don’t know that gets you into trouble. It’s what you know for sure that just ain’t so”, ovvero “non è ciò che non conosciamo che ci mette nei guai, ma ciò che diamo per scontato e che alla prova dei fatti non si dimostra essere così”.
E temo che questo sia esattamente quello che sta succedendo con TIM e la Rete Unica.
Si da per scontato che sia possibile mettere a fattore comune una rete in fibra come quella di Open Fiber con quella in rame di TIM.
Si da per scontato che sia possibile creare una governance della Rete Unica che metta tutti i competitor nelle condizioni di averne accesso, senza discriminazioni, e che sia possibile mettere a fattor comune le energie migliori del Paese, con l’obiettivo di riportare l’Italia in una posizione competitiva rispetto ai suoi partner europei a livello infrastrutturale, perché’ oggi, purtroppo non è così.
Ma forse non tutti gli attori che dominano la scena hanno la volontà, le risorse, le competenze e le capacità per tradurre questo obiettivo in realtà. Bisogna sperare che prevalga un maggiore realismo, e che si possa avviare un reale cambio di rotta, rispetto a quanto si è registrato fino a questi giorni. Le forzature di queste ore, possono lasciare solo il dubbio nei mercati che le ragioni per approdare alla Rete Unica, siano legate a una visione datata del ruolo delle infrastrutture portanti del Paese.
Key4Biz. Ci regala una battuta finale?
Francesco De Leo. Non vorrei che, parafrasando William Shakespeare, la Rete Unica passasse dall’essere “Un sogno di mezza estate” che potrebbe ingessare gli investimenti fino alla fine del 2022, a un refrain di “A volte ritornano” di Stephen King.
Il Paese non ha bisogno di ritrovarsi con nuovi monopoli, ma deve mettere invece in gioco le risorse migliori, con una visione sfidante del futuro, se vuole rilanciare una vera stagione di crescita sostenibile.