L’accordo sulla rete è un accordo solo politico?
Quanto accaduto ha un grande peso. Un governo si riunisce e dà il via libera ad un progetto nazionale di rete unica di tlc.
Non è roba di poco.
Ma la cosa che lascia più stupiti è la mobilitazione militante del governo.
L’elemento che colpisce è infatti la fretta, questa fretta compulsiva per decidere su un argomento delicato che si trascina da 14 anni incerto per lunghi anni sul se e sul come fare una rete unica al servizio del Paese.
Addirittura oggi si è tenuto un apposito Consiglio dei Ministri, con molti ministri in remoto, dopo che ieri sera Fabrizio Palermo, amministratore delegato di Cassa Depositi e Prestiti, aveva esposto a Palazzo Chigi, al premier Giuseppe Conte e ad alcuni ministri, i termini di accordo possibile sulla rete.
Francamente non si capisce tutta questa mobilitazione governativa degna delle circostanze più drammatiche dell’emergenza sanitaria imposta dal Covid-19.
Si potrebbe dire, come alcuni sostengono: “…la spiegazione è data dal Cda di TIM del 31 agosto”.
Ma quello è un Cda di una società privata che non può condizionare sino a questo punto le scelte, sin troppo ingigantite nei tempi e nei modi, da parte di premier e di un piccolo esercito dei suoi ministri.
O come sostengono altri: “…è la grave situazione dell’azienda che continua a perdere fatturato e margini e che richiede un intervento pubblico immediato”.
Si potrebbe pertanto dire che l’annuncio della giornata è semplicemente l’annuncio di una volontà politica. Non l’annuncio della nascita della rete unica.
Il governo ha dato il proprio assenso all’avvio di un percorso, autorizzando CDP a procedere nelle verifiche, non alla nascita di una società a controllo pubblico.
L’accordo aziendale sulla rete
Si può solo dire che non esiste. Fabrizio Palermo è andato in Consiglio dei Ministri in rappresentanza di CDP ovviamente, ma il suo Consiglio di amministrazione in CDP non ha ancora approvato nulla e sarà convocato solo la prossima settimana per ratificare le decisioni assunte al momento in autonomia da Palermo. Certo a qualche consigliere di amministrazione potrebbe venire il mal di pancia nel votare a favore della nascita di una società senza disporre di un briciolo di numeri di mercato sull’offerta della nuova struttura.
Non esiste un Business Plan, non si sa nulla sulla governance, se non le note generiche diffuse che indicano degli orientamenti, non delle scelte.
Ma il punto, ancora una volta, è che non voteranno sulla nascita della società della rete.
Voteranno sull’avvio di un percorso, che sarà condizionato da una serie di circostanze.
Governo e CDP si sono imbarcati in una operazione societaria che entra con due piedi in un settore quale quello delle telecomunicazioni che è strettamente regolato sotto il profilo della concorrenza e che sottostà alle regole previste dal Pacchetto Telecom che il Parlamento italiano dovrà implementare entro il prossimo dicembre.
Cosa diranno Antitrust e AgCom?
Cosa dirà a Bruxelles la Commissaria alla Competition Margrethe Vestager.
Se Cassa Depositi e Prestiti deciderà di entrare, come l’indicazione del governo auspica, in una società terza della rete con la presenza di TIM come azionista di maggioranza (o come azionista di minoranza ma con in mano gestione e controllo delle operazioni), potrà farlo innanzitutto solo dopo aver valutato un adeguato Business Plan, dopo aver considerato le condizioni di mercato, ma su tutto solo dopo aver soppesato il criterio di definizione dei prezzi a cui verrà fatta l’offerta agli operatori di tlc.
Soltanto dopo potrà valutare la bontà di un’operazione del genere.
Superato questo livello di valutazione, dovrà porsi il problema se il modello operativo della nuova società infranga o meno i vincoli di rispetto delle dinamiche concorrenziali.
E su questo abbiamo la sensazione che nessuna proposta di società per la rete unica con l’ex monopolista verticalmente integrato potrà avere un assenso da parte delle autorità di regolazione italiane e dalla Commissione Europea. Né vale la considerazione, che sta serpeggiando in queste ore tra i corridoi della politica, secondo cui prima che CDP si imbarchi in una operazione del genere sarà richiesto il parere ex-ante delle autorità di regolazione.
Ma non funziona così.
Antitrust e Agcom non sono consulenti dei soggetti di mercato.
La risposta sarà: prima fate la società, poi ce la notificate e poi noi ci riserviamo di valutare.
Cassa Depositi e Prestiti se la sente di imbarcarsi in un’operazione destinata ad essere bocciata dopo 2-3 trimestri e dopo aver registrato attività di mesi e danni già fatti al mercato e ai singoli operatori che avranno tentato di opporsi ad una scelta poco chiara?
Ma allora perché tutta questa fretta sulla rete unica?
È proprio quello che non si capisce.
È come se la rete unica fosse uno specchietto per nascondere un qualcos’altro di ben più rilevante. Un governo non si scapicolla in poche ore solo per compiacere l’ad di una società privata che ha un Cda il lunedì 31 agosto.
Sarebbe utile chiedersi chi sia il battitore che percuote il tamburo, che dà il tempo e quanto sia coinvolto in questo sistema di scelte compulsive il sistema bancario italiano.