Dopo le relazioni di martedì scorso in Commissione di Vigilanza da parte dell’Amministratore Delegato Ria Carlo Fuortes e della Presidente Marinella Soldi, ieri pomeriggio abbiamo assistito alla raffica di domande poste dai membri della commissione bicamerale: questa seconda sessione di audizioni ci ha provocato una sensazione di grande sconforto, sia per la frammentarietà e debolezza delle domande, sia per la evanescenza delle risposte.
Peraltro, anche la modalità strutturale di queste audizioni è semplicemente ridicola, e cozza con un minimo di buon senso logico e civile (e politico): dopo le audizioni, infatti, tutti i componenti della Commissione sono costretti a proporre le loro domande una dopo l’altra, quindi non in modalità “botta e risposta”, bensì tutte le domande in sequenza, così riducendosi in modo assoluto il senso dialogico-dialettico del confronto con gli auditi (che possono graziosamente sfuggire alle questioni più critiche…). Una metodologia veramente indegna di un consesso istituzional-politico decente e moderno, al di là della sempre elegante conduzione delle riunioni della Commissione da parte del Presidente Alberto Barachini (Forza Italia).
Se la Commissione Parlamentare per l’Indirizzo Generale e la Vigilanza dei Servizi Radiotelevisivi è l’organo “supremo” su queste materie – il senatore Primo Di Nicola (M5S) ha affermato ieri con tenacia “siamo noi il vostro editore”, rivolgendosi a Fuortes e Soldi – non si può non osservare come nessuno dei nostri parlamentari abbia richiamato il “Contratto di servizio”, ed il nesso sinallagmatico che esso dovrebbe rappresentare, tra “dare” ed “avere”, tra “doveri” e “diritti” della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo.
Incredibile, ma vero.
Le domande sono state varie e variegate (ci torneremo), ma nessuna che abbia richiamato la Rai, in modo preciso e netto, a quel che prevede il contratto di servizio. Si è trattato di un florilegio di questioni minori, di richieste di puntualizzazioni su questioni per lo più marginali.
Ci concentriamo qui su una questione che riteniamo importante in sé, e sintomatica della “distrazione” dei nostri parlamentari: l’attuale “Contratto di servizio” prevede (tra i tanti “obblighi”) che Rai metta in cantiere – e magari in onda – due specifici nuovi canali, quello cosiddetto “istituzionale” e quello cosiddetto “in inglese”.
La questione che qui poniamo è stata affrontata in una manciata di secondi, nell’audizione parlamentare di ieri.
Rispetto alla prima questione – il canale Rai “istituzionale” – la confusione è grande, “ab origine”, perché Camera e Senato già dispongono di loro canali televisivi / web ed uno storico egregio ruolo lo svolge, da decenni, Radio Radicale. E nell’audizione di ieri, in due ore di incontro, nessuno ha nemmeno ricordato “en passant” questo “canale istituzionale” in gestazione (o anch’esso già abortito?!). Torneremo su questo dossier.
Il dossier che ci qui ci interessa di più è il canale “in inglese”, detto anche “canale internazionale”.
Abbiamo affrontato il dossier del canale per l’estero molte volte su queste colonne (ed anche prestando un qualche contributo consulenziale alla stessa Rai, attraverso l’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult: insomma, abbiamo “studiato” qualcosina…), e lo abbiamo richiamato nell’articolo pubblicato ieri su “Key4biz”, dedicato al “lancio europeo” della piattaforma “ItsArt” (iniziativa Mic affidata a Cdp e Chili), la cui offerta mostra molti punti di contatto (ovvero sovrapposizione ovvero duplicazione) con quella che dovrebbe essere l’offerta del nascituro (?!) canale “in inglese” della Rai (sovrapposizione c’è anche con “Italiana”, la piattaforma culturale promossa dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale – Maeci, ma si tratta d’altra questione, pur non meno dolente).
Ieri pomeriggio, proprio nei minuti finali dell’audizione, l’Amministratore Delegato Carlo Fuortes sembra aver messo una pietra tombale sul canale per l’estero: infatti, in risposta ad una domanda “last minute” del senatore Giorgio Maria Bergesio (Lega Salvini) e prima del deputato Massimiliano Capitanio (Lega Salvini; è anche Segretario della Commissione Vigilanza insieme a Michele Anzaldi di Italia Viva), ha così risposto: “Rai in inglese è una cosa che ovviamente ci siamo trovati, che abbiamo ereditato dalla precedente gestione, che, come sapete, non è stata realizzata… E… con la Presidente e con il Consiglio, di comune accordo, abbiamo ritenuto doveroso di ragionare su questo tema nel piano industriale che andiamo… che va a ripartire adesso, e nel nuovo contratto che verrà fatto… perché adesso attuare una cosa che per tre anni non è stata attuata, e che magari potrebbe cambiare, ci sembra un passo assolutamente sbagliato da fare”. Testuale (trascrizione esatta dell’audizione, anche se lo stenografico non è stato ancora pubblicato).
Incredibile, ma vero.
Retromarcia totale. Freno al massimo.
Perché sviluppare una “cosa che per tre anni non è stata attuata”?!
Il canale in questione era previsto nel “Piano industriale 2019-2021” approvato da Rai il 6 marzo 2019 (realizzato con la costosa consulenza di Boston Consulting Group – Bcg). Il progetto del “canale per l’estero” stato allocato nella giurisdizione di RaiCom, la controllata di Viale Mazzini che commercializza diritti e prodotti della Rai nel mondo, di cui è divenuta Presidente Monica Maggioni nel febbraio 2019 (dopo essere stata Presidente Rai fino al luglio 2018), che veniva data come direttrice possibile del canale…
Alcuni ricordano che l’idea primigenia di questo canale sarebbe in verità da attribuire a Matteo Renzi: così sosteneva con decisione Alessandro De Rold sul quotidiano “La Verità” del 18 novembre 2021 (rilanciato da Dagospia): “in pochi lo ricordano, ma fu l’attuale leader di Italia viva a parlarne per primo in una delle sue storiche dirette #matteorisponde da Palazzo Chigi. All’epoca Renzi rispondeva su Facebook e Twitter durante piccole maratone digitali. Erano i primi mesi del 2016, a poca distanza dall’appuntamento del 4 dicembre sul referendum costituzionale. Le promesse si sprecavano per convincere gli italiani ad andare a votare per il sì. “Un canale Rai solo in lingua inglese con i sottotitoli? È un progetto sul quale la Rai potrà lavorare. Girerò la richiesta ai vertici dell’azienda”, spiegò l’ex segretario del Pd, che veniva ripreso più volte per il suo accento non particolarmente british. A quanto pare lo fece per davvero, perché la macchina per inaugurare un canale in inglese sulla Rai entrò in moto”. Allora il Dg Rai era Antonio Campo Dall’Orto, mentre Presidente della Rai era Monica Maggioni (è stata in carica dall’agosto 2015 al luglio 2018). Secondo alcuni, il canale “in inglese” sarebbe stato una sorta di “regalo” di Renzi a Maggioni. Nel maggio del 2019, l’associazione Rai Bene Comune pubblicava su Facebook un lungo post di critica su tutta la vicenda: “La Rai” – si legge in un post ancora presente sul social network – “pur avendo uomini e mezzi, decide di sottrarsi dai suoi obblighi e delega la potente RaiCom, il suo braccio commerciale, per realizzare il canale, tentando forse di trasformare quello che dovrebbe essere un servizio in un business”…
Come abbiamo ricordato, Monica Maggioni (qui il suo curriculum sul sito web Rai) dal febbraio 2019 al maggio 2020 è stata Amministratore Delegato di Rai Com. Nel giugno 2020, è stata assegnata alle dirette dipendenze del Direttore di Rai Uno (Stefano Coletta) con l’incarico di conduttrice, e dal marzo 2021 le viene affidata la responsabilità del nucleo produttivo relativo al programma “Sette Storie” (il lunedì sera, in seconda serata, su Rai1).
Alcuni osservatori dei diversi “dietro le quinte” di Viale Mazzini sostengono che Monica Maggioni, a suo tempo, si è presto resa conto che il canale in inglese non avrebbe beneficiato delle risorse adeguate, e quindi ha spostato altrove i propri interessi professionali. Da ricordare che proprio in questi giorni è stata nominata Direttrice del Tg1 (la decisione è stata assunta nel Cda riunitosi a Napoli giovedì scorso 18 novembre): nella edizione del telegiornale di ieri sera, si è auto-presentata, con un breve saluto, annunciando la sua linea editoriale, senza alcun cenno al suo predecessore “defenestrato” (sulla base di logiche esclusivamente partitocratiche) Giuseppe Carboni. Da segnalare che si tratta della prima donna, nella storia della Rai, chiamata a dirigere il Tg1.
A distanza di un anno, si deve forse dar ragione al martellante Pinuccio (nome d’arte di Alessio Giannone) del tg satirico di Mediaset “Striscia la notizia”, che, nelle sue infinite inchieste (alcune ben fondate, altre piuttosto fantasiose) sugli “sprechi Rai”, dedicava un servizio mirato il 16 novembre dell’anno scorso, su Canale 5, intitolato “Sprechi in Rai, il caso ‘Rai English’”?! Queste le tesi, allorquando circolava voce di una possibile “chiusura” del canale: “Peccato che Rai English non sia mai esistito! E ora, mentre la tv pubblica – che continua a percepire il canone dagli italiani – sembra intenzionata a batter nuovamente cassa con lo Stato per farsi aiutare a uscire dalla crisi, Salini ne propone la chiusura. In sostanza, vorrebbe arginare il debito Rai chiudendo un canale che non solo ha creato lui stesso poco più di un anno fa, ma che di fatto non ha mai trasmesso nulla. Intanto, l’emorragia dei conti Rai si fa sempre più allarmante…”. E, ancora: “Nel 2019 l’Ad Rai Fabrizio Salini annunciava l’arrivo di ‘Rai English’ progetto della Rai in lingua inglese tanto voluto ma mai lanciato: peccato il nostro Pinuccio abbia scoperto che per questo canale, che non ha mai trasmesso nulla, siano stati spesi circa due milioni di euro di soldi pubblici con tanto di direttore profumatamente retribuito”.
Nel bilancio Rai al 15 luglio 2021, si legge che il canale in inglese sarà “on air” entro la fine del 2021…
Eppure… ricordiamo quel che risulta a chiare lettere nel “Bilancio di Sostenibilità” 2020 della Rai, approvato insieme al “Bilancio di Esercizio” il 15 luglio 2021: il canale sarebbe partito entro il secondo semestre dell’anno(testuale, come abbiamo segnalato nell’articolo pubblicato ieri: vedi “Key4biz” del 24 novembre 2021, “ItsArt, la piattaforma (Mic+Cdp+Chili) sbarca in Europa”). Il “Bilancio di Sostenibilità” è stato pubblicato online (sebbene in sordina) sul sito web della Rai il 31 luglio 2021, come da specifico comunicato stampa di Viale Mazzini in stessa data.
Riportiamo quel che risulta a chiare lettere nel bilancio Rai (approvato definitivamente il 15 luglio 2021): “Il canale istituito nel 2020 è allo stato un progetto, in via di realizzazione, multimediale tv, web e app da rendere fruibile in tutto il mondo e in Italia. L’offerta, che prevede la presenza di contenuti in lingua inglese, sottotitolati in italiano, e in italiano, sottotitolati in inglese, ha l’obiettivo di attrarre verso il nostro Paese investitori economici e visitatori, soprattutto al termine dell’emergenza Covid-19. Questo attraverso prodotti Rai e prodotti di nuova realizzazione, per promuovere l’immagine del nostro Paese all’estero facendo leva sul racconto delle eccellenze paesaggistiche, artistiche, culturali e produttive presenti nel nostro territorio. Obiettivo ulteriore sarà l’apprendimento della lingua inglese da parte dei cittadini italiani. Per lo sviluppo dell’offerta si stanno individuando, in sinergia con le società del Gruppo, opportunità di finanziamento in ambito nazionale ma anche internazionale. L’avvio delle trasmissioni è attualmente pianificato per il secondo semestre dell’anno in corso”.
Eppure… ben ricordiamo che di questo canale in gestazione è stato nominato un Direttore, nella persona di Fabrizio Ferragni. Si legge oggi sul suo curriculum (nella sezione “Trasparenza” del sito web Rai): “nel maggio 2019 viene assegnato alle dirette dipendenze dell’Amministratore Delegato e, nel successivo mese di luglio, gli viene affidato l’incarico di Direttore (o funzione equivalente) dell’istituendo Canale Tematico Istituzionale. Nel giugno 2020 viene nominato Direttore del Canale in lingua inglese”.
Abbiamo ragione di ritenere (sperare?!) che Ferragni, dal giugno 2020, non sia rimasto a girarsi i pollici.
E ricordiamo che il canale Rai “in lingua inglese” è esplicitamente previsto dal “Contratto di Servizio” vigente (2018-2022).
Riportiamo nuovamente quel che prevede l’articolo 12 comma 3 del “Contratto di Servizio”, che recita, tra gli obblighi Rai: “La Rai è tenuta a sviluppare uno specifico canale in lingua inglese di carattere informativo, di promozione dei valori e della cultura italiana, anche mediante la produzione di programmi originali e opere realizzate appositamente per un pubblico straniero, nonché volto alla diffusione dei prodotti rappresentativi delle eccellenze del sistema produttivo italiano e di opere cinematografiche, documentaristiche e televisive selezionate per valorizzare l’identità del Paese”.
È trascorso un anno dal servizio di Pinuccio: l’inviato di “Striscia” è stato… preveggente?!
Requiem per il canale internazionale della Rai… Se ne riparlerà (forse) nel prossimo (evanescente) “contratto di servizio”?! Dopo tre anni, cade un altro castello di carte
La risposta di ieri dell’Ad Carlo Fuortes ci sembra sufficientemente chiara: requiem per il canale.
Oppure – a voler essere ottimisti – se ne riparlerà forse nel “prossimo” piano industriale in gestazione.
Allorquando, si è compreso che il “piano industriale” che sta affrontando il Consiglio di Amministrazione Rai è una sorta di “aggiornamento” del precedente. Versione aggiornata dalla quale, verosimilmente, il capitolo “canale in inglese” verrà estrapolato e… cestinato.
Se ne parlerà forse nel prossimo… “Contratto di Servizio”, immaginiamo: con il concreto rischio che l’idea riemerga e che, ancora una volta, resti sulla carta.
Tutto finito?! Tutto un castello di carte, insomma?!
Traduciamo in italiano (volgare): “Abbiamo scherzato, ragazzi, suvvia! Che ci importa della ‘eredità’ che ci ha lasciato Fabrizio Salini? Tanto, poi, chi va a controllare, in Commissione Vigilanza, o altrove (Agcom?!), se non stiamo realmente facendo quel che prevede il Contratto di Servizio, tra cui questo fantasmico ‘canale in inglese’?! In fondo, si tratta di dichiarazioni di intenti, di belle intenzioni, di belle parole, scritte sulla sabbia… Insomma, carta straccia. E chi se ne importa!”.
Il “Contratto di Servizio” tra Stato e Rai è una commedia dell’arte, un rito ridicolo che conferma la deriva cui è costretto il servizio pubblico mediale italiano
Da anni, molti anni, sosteniamo che il “contratto di servizio” è uno strumento inefficace, perché è scritto in modo troppo generico, e soprattutto non esiste un meccanismo sanzionatorio in caso di inadempienza. È una sorta di norma “imperfetta”, come s’usa dire in diritto (quando una norma non è munita giustappunto di sanzioni).
In quanto tale, nell’Italia di Pulcinella ed Arlecchino, il “Contratto di Servizio” finisce per essere semplicemente una presa in giro. Ed i due contraenti ne hanno piena coscienza: il Ministero lo sa, la Rai lo sa, entrambi lo sanno e lo firmano finanche con una strizzatina d’occhio. Connivenza, insomma: scriviamo di cose grandiose ed ardite intraprese (così ci facciam belli di fronte all’universo mondo)… voi (Rai) non le fate, e noi (Ministero dello Sviluppo Economico) non controlliamo. Tanto, poi, la Vigilanza pone domande oziose, e l’Agcom – notoriamente – sonnecchia sempre.
In questo modo, peraltro, nessuno si pone mai seriamente un quesito tecnico-economico su quanto potrebbe essere il “costo” di un novello “obbligo” simpaticamente introdotto nel contratto: il canale “per l’estero”, per esempio. Avrebbe bisogno effettivamente di un budget di 10 oppure 100 milioni di euro l’anno?! E chi si è mai posto, realmente, la domanda! I soloni di Boston Consulting Group hanno previsto 60 milioni di euro (così nel mitico “piano industriale” approvato nel marzo 2019, vedi pagina 264: “Nuova offerta di servizio pubblico: Canale Inglese e Istituzionale”), per i 2 canali (istituzionale + estero), per 3 anni, quindi, di fatto, 10 milioni di euro l’anno per ogni canale (!!!): un budget semplicemente incredibile anzi ridicolo (surreale), se veramente si vuole lanciare un canale per l’estero! Ma forse questo canale doveva restare nel mondo dei sogni… Un giocattolo (giocattolino) fantasioso…
Tanto, le “cose” importanti sono altre e altrove: le nomine dei dirigenti apicali nei posti-chiave, tutto il resto è in fondo… accessorio. Servizio pubblico asservito alla partitocrazia, e – grazie alla “leggina” di riforma tanto voluta dall’ex Premier Matteo Renzi – ormai asservito soprattutto al Governo.
Sulla inconsistenza del “contratto di servizio”, riteniamo peraltro di poter parlare a ragione veduta, con cognizione di causa, anche alla luce di una precisa esperienza personale e professionale, ormai lontana nel tempo, ma ancora valida: nel 2002, chi stila queste noterelle ha partecipato alle riunioni della Commissione promossa dall’allora Ministero per le Comunicazioni per la stesura del nuovo “contratto di servizio” tra Stato e Rai, nella veste diconsulente tecnico indipendente facente parte della delegazione ministeriale. Ci siamo presti resi conto che si trattava di una vera sceneggiata, di una procedura pre-contrattuale squisitamente retorica e coreografica. Una presa in giro, insomma.
Il “contratto di servizio” tra Stato e Rai è ormai assimilabile ad una… commedia dell’arte. Fiumi di parole scritte… sull’acqua.
E questo rito ridicolo del “Contratto di Servizio” si è andato riproducendo nel corso degli ultimi 15 anni.
Il caso del canale internazionale della Rai è la riprova della deriva in atto da molto tempo.
Come ha sostenuto ieri il senatore Bergesio, si tratta di un canale destinato a restare “tra le nuvole”.
Si ricorda infine che il 1° “Contratto di Servizio” tra Mise e Rai è relativo al triennio 1994-1996, il 2° al 1997-1999, il 3° al 2000-2002, il 4° al 2003-2005, il 6° al 2007-2009, il 7° al 2010-2012, l’8° al 2013-2015 (mai entrato in vigore), il 9° (il primo di durata ormai quinquennale) al 2018-2022… Il prossimo (già in gestazione) sarà quindi l’edizione… n° 10 dell’ennesimo “libro dei sogni”.