Ieri mattina, mercoledì 8 novembre 2023, ancora una volta il cronista che si interessa di politiche culturali e politiche sociali è stato costretto ad una dinamica schizofrenica: in contemporanea si sono infatti svolte due iniziative senza dubbio interessanti: nella sede centrale del Ministero della Cultura al Collegio Romano, grandiosa presentazione istituzionale della mostra su John Ronald Reuel Tolkien, autore caro alla cultura di destra (a cinquant’anni dalla scomparsa e dalla prima edizione italiana de “Lo Hobbit”, Roma ospiterà dal 16 novembre all’11 febbraio 2024 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea la grande mostra, sulla quale torneremo nei prossimi giorni); sull’Aurelia, nell’elegante Centro Congressi del Th Roma Carpegna Palace Hotel, presentazione dell’ultima edizione dell’ormai storico “Rim”, acronimo che sta per “Rapporto Italiani nel Mondo”, prezioso strumento di conoscenza realizzato dalla Fondazione Migrantes, ente pastorale della Conferenza Episcopale Italiana (Cei)…
Abbiamo pensato fosse opportuno attendere l’esito della ricaduta mediale dei due eventi: senza dubbio “Tolkien” batte “Rim”, in termini di ritagli stampa e citazioni web (almeno fino a questa mattina), ma va dato atto che notevole è stata l’attenzione dei media “mainstream” rispetto all’iniziativa della Fondazione Migrantes.
È anche interessante segnalare – nella abituale attività IsICult di monitoraggio mediale – alcune titolazioni, rispetto alla presentazione del Rapporto della Fondazione Migrantes: i due quotidiani che hanno dato maggiore spazio alla presentazione del Rim sono – come prevedibile – il quotidiano della Cei “Avvenire”, ed il confindustriale “Il Sole 24 Ore”, che hanno titolato, rispettivamente, “Nonna Italia” e “Per gli under 34 sempre più fuga verso l’estero”; “La Gazzetta del Sud” titola “Se i migranti siamo noi: la ‘grande fuga’ dei giovani”; “Il Tempo” titola “Giovani in fuga dall’Italia”; “La Sicilia” dedica un lungo servizio intitolato “Dr. Trolley”; l’edizione di Palermo del quotidiano “la Repubblica” titola a piena pagina “Un’intera città siciliana all’estero”…
Va notato come il quotidiano “il Giornale” approfitti della presentazione del “Rapporto Italiani nel Mondo” della Migrantes per evidenziare le critiche manifestate dal Presidente della Cei: l’articolo di Stefano Zurlo è intitolato “La Chiesa all’attacco sul patto con l’Albania. La frecciata di Zuppi: fallisce l’accoglienza”. Occhiello: “II presidente della Cei boccia l’intesa con Tirana: «Mi chiedo perché i migranti non vengano sistemati meglio qui. Non dobbiamo avere paura di chi arriva se li gestiamo meglio»”. E si legge: “gli accordi stipulati fra Italia e Albania, spiega il cardinal Matteo Zuppi, «sono di per sé un’ammissione di non essere in grado» di gestire il fenomeno. Una bocciatura, dunque, senza se e senza ma dell’intesa con Tirana”.
Commenta Zurlo: “La Chiesa ha sempre avuto una pluralità di posizioni su temi e questioni divisivi che intercettano il voto di milioni di persone e spaccano il Palazzo, ma certo Zuppi, peraltro in perfetta sintonia con Papa Francesco che l’ha spedito in mezzo mondo per trattare sulla guerra scatenata da Mosca, sposa una sensibilità progressista. Zuppi del resto viene dalla Comunità di Sant’Egidio che è sempre stata presente sulla frontiera della solidarietà e ha saputo trovare soluzioni innovative per disinnescare conflitti e guerre in Africa”.
Apprezzabile la presa di posizione del Presidente della Cei, anche – se in verità – ci sembrano lontani (e ci mancano) i tempi degli scontri, duri e frontali, tra l’ex Segretario Generale della Cei Nunzio Galantino (che è stato per cinque anni e fino a poche settimane fa Presidente dell’Apsa) ed il leader della Lega Matteo Salvini (ci limitiamo a rimandare al nostro intervento su “Key4biz” del 9 gennaio 2018, “ilprincipenudo. Giornata del migrante, Monsignor Galantino (Cei) ‘Dibattito su migranti ridotto a merce elettorale’”), ma è evidente che la posizione della Chiesa Cattolica nei confronti delle politiche migratorie dell’attuale Governo non è esattamente benevola.
Accantoniamo le interpretazioni politiche della posizione manifestata dall’attuale Presidente della Cei, ed estrapoliamo qualche dato di sintesi dal corposo tomo.
Il “Rim Rapporto Italiani nel Mondo 2023” (sottotitolo “Speciale. Diversamente presenti e ri-presenti”) consta di 552 pagine, ed è pubblicato per i tipi della Tau Editrice di Todi (20 euro).
Il volume, curato dalla appassionata studiosa specializzata Delfina Licata (che coordina le attività di ricerca della Migrantes), è giunto alla 18ª edizione, ed offre una gran quantità di punti di vista: basti pensare che hanno collaborato alla redazione ben 57 tra autori ed autrici dall’Italia e dall’estero. L’approccio metodologico è senza dubbio coraggioso, policentrico e multidimensionale e interdisciplinare: basti osservare che vengono proposti 20 specifici saggi su altrettante realtà regionali italiane, oltre a contributi che spaziano dalla dimensione linguistica a quella tributaria, da quella sociologica a quella letteraria…
Ancora una volta si segnala come – su temi sensibili quali le migrazioni e la povertà – la Chiesa Cattolica italiana svolga di fatto una funzione di supplenza, rispetto ad analisi quali-quantitative su fenomeni sociali che pure dovrebbero essere affrontati di petto anche dalle istituzioni dello Stato italiano.
La Cei cerca di supplire al grave deficit di conoscenza che le istituzioni italiani mostrano.
Se il tema “povertà” viene studiato con particolare attenzione dalla Caritas Italia, è insieme a Fondazione Migrantes e Caritas che la Cei presta attenzione alle problematiche dei migranti che arrivano e vivono in Italia, attraverso il “Rapporto Immigrazione”, presentato qualche settimana fa (ed al quale abbiamo dedicato adeguata attenzione su queste colonne: vedi “Key4biz” del 18 ottobre 2022 del “32° Rapporto sull’Immigrazione”. Nessuna emergenza, ma serve uno “storytelling” sano”).
La Fondazione Migrantes enfatizza “3 diritti” (che valgono sia per gli “emigrati” sia per gli “immigrati”): il diritto a restare, il diritto a migrare, il diritto di ritornare
La tesi di fondo del lavoro di ricerca è basata su 3 diritti fondamentali: il diritto a restare, il diritto a migrare, il diritto di ritornare, che sono tre facce dello stesso dilemma esistenziale provato dal migrante, sottolinea il “Rapporto Italiani nel Mondo” della Migrantes, nella introduzione co-firmata dal Presidente della Migrantes monsignor Gian Carlo Perego (che è al contempo Arcivescovo di Ferrara-Comacchio) e da monsignor Pierpaolo Felicolo, Direttore Generale.
Si ricordi che peraltro è stato lo stesso Pontefice Francesco Bergoglio ad intitolare “Liberi di scegliere se migrare o restare” la 109ª “Giornate Mondiale del Migrante e del Rifugiato”, l’11 maggio scorso.
Il ritorno presuppone un territorio e una comunità che siano rimaste ad aspettare, che ti riconoscano e che ti valorizzino nel cambiamento che la migrazione ha necessariamente prodotto nella persona migrante, nel suo “status” (di persona, lavoratore, genitore, membro di una coppia e di una comunità) e nei suoi ruoli.
La curatrice del Rapporto Delfina Licata scrive che “l’Italia deve riconoscersi ‘Paese della Migrazione” (in entrata ed in uscita, potremmo aggiungere) ovvero “società fondata sulla mobilità”. E spiega con cura: “perché si riesca davvero a cambiare marcia, pena sprofondare nell’inesorabile declino, l’Italia deve vivere una rivoluzione culturale attraverso la quale sappia riconoscere e riconoscersi società interculturale già in essere, società plurale di uguali diritti e doveri dove non conta la nazionalità di partenza quanto la valorizzazione del background migratorio come di un elemento arricchente e portatore di novità. Ciò vale per gli italiani da sempre in mobilità e per i quali si inizia a parlare di impegnarsi per il loro rientro e di accompagnarli al ritorno, ma vale anche per i tanti cittadini di nazionalità non italiana che hanno scelto l’Italia come meta del loro progetto migratorio e vale anche per le seconde e terze generazioni che lottano per essere riconosciuti figli e figlie di questa Italia in crisi demografica, per i “nuovi” italiani che hanno preso la cittadinanza italiana e che di nuovo hanno poco e niente”.
Proponiamo qualche dato significativo.
Da gennaio a dicembre 2022, sono partiti per solo “espatrio” circa 82 mila italiani.
Il 44 % di queste partenze ha riguardato giovani italiani tra i 18 e i 34 anni.
Si rilevano, rispetto agli anni precedenti, 2 punti percentuali in più in questa specifica classe di età, che continua a crescere, nonostante in generale, ancora per quest’anno, si sia rilevato (per la sola motivazione espatrio) un decremento delle partenze ufficiali – e quindi con iscrizione all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (l’Aire) – dei nostri connazionali e delle nostre connazionali oltre i confini italiani.
Al 1° gennaio 2023, i connazionali iscritti all’Aire sono 5.933.418, che corrispondono al 10,1 % dei 58,8 milioni di italiani residenti in Italia.
È impressionante osservare come questo dato corrisponda ad un +91 % rispetto al dato dell’anno 2006.
Va notato che mentre l’Italia continua inesorabilmente a perdere residenti (in un anno -132.405 persone, lo -0,2 %), l’Italia fuori dell’Italia continua a crescere
Il 46,5 % dei quasi 6 milioni di italiani residenti all’estero è di origine meridionale (il 15,9 % delle sole Isole), il 37,8 % del Settentrione (il 19,1 % del Nord Ovest) e il 15,8 % del Centro.
La Sicilia è la regione d’origine della comunità più numerosa (oltre 815 mila). Seguono – restando al di sopra delle 500 mila unità – la Lombardia (quasi 611 mila), la Campania (+548 mila), il Veneto (+526 mila) e il Lazio (quasi 502 mila).
Oggi le comunità maggiormente numerose si trovano in Argentina (oltre 921 mila iscritti, il 15,5 % del totale), in Germania (oltre 822 mila, il 13,9 %), in Svizzera (oltre 639 mila, il 10,8 %). Seguono Brasile, Francia, Regno Unito e Stati Uniti d’America…
Nello scorso anno, gli italiani e le italiane sono partiti per 177 nazioni da tutte le 107 Province italiane: Milano, Torino, Napoli, Roma sono, nell’ordine, i primi quattro contesti provinciali; seguono Treviso, Brescia, Bergamo e Vicenza…
Commenta efficacemente Tullio Filippone su “la Repubblica” (edizione palermitana): “Un’intera città siciliana all’estero. Secondo i dati, l’Isola si spopola sempre di più: 815mila i nati nella Regione residenti oltre confine. C’è una decima città siciliana che si aggira per il mondo. Non ha nome, ma potremmo chiamarla “Nuova Sicilia” e conta 815mila abitanti, 150mila più del capoluogo di Palermo, con una crescita demografica costante: nel 2022 più 7.259 persone e un saldo simile che va avanti da anni. È la capitale dell’Isola degli emigrati, o meglio solo dei siciliani che si sono iscritti all’Aire, il registro degli italiani residenti all’estero. Perché la stima di quanti sono partiti dalla Sicilia è persino al ribasso, se si considerano le migliaia di persone che non sono iscritte al registro e le altre decine di migliaia andate a cercare fortuna nelle regioni italiane del Centro-Nord, con cui il saldo migratorio degli ultimi 20 anni è di meno 222mi1a persone…”.
Il tema dei “ritorni”, degli italiani all’estero che rientrano in patria…
Una parte significativa del “Rim” è dedicata al tema dei “rientri”, ovvero alle dinamiche degli italiani all’estero che decidono di tornare in patria: i primi dati disponibili sul movimento migratorio del 2022, mostrano una tendenza ad un nuovo aumento degli espatri e una contemporanea diminuzione dei rientri in patria, con un saldo migratorio che tocca nuovamente i livelli del 2019 (- 52.971 persone).
Con maggiore respiro temporale (un decennio), si nota che dal 2012 al 2022 il numero di espatri è passato da circa 68 mila a quasi 109mila (+ 60 %); nello stesso periodo i rimpatri, pur seguendo un andamento più oscillatorio nel tempo, mostrano nel 2022 valori quasi raddoppiati rispetto al 2012 (+ 89%).
Al di là degli aspetti statistico-quantitativi, il tema dei ritorni è affrontato dal Rapporto in una doppia veste. “Da una parte, i rientri di italiani in attività che tornano dopo aver sperimentato anni di mobilità e, quindi, con un background migratorio che, se adeguatamente valorizzato, potrebbe essere un investimento fondamentale per un’Italia diversa e all’avanguardia (si pensi, solo per fare un esempio, al bilinguismo o al trilinguismo, ma anche all’esperienza del mondo del lavoro fatta in un altro paese, all’ampliamento culturale, degli usi e delle tradizioni, dell’esperienza e della pratica della fede, ecc.). In questo specifico tema sono comprese le riflessioni sui rientri dovuti a politiche di defiscalizzazione per giovani e giovani adulti altamente qualificati ad esempio, ma anche tutto il tema dello smart working. Concedere ai giovani lo smart working, inteso come lavoro agile, consentirebbe loro tante cose, tra cui lavorare dall’Italia, dall’estero, di entrare e uscire dal nostro Paese con più facilità, di avere più tempo per loro stessi, di conciliare i tanti impegni che una famiglia genera, soprattutto quando si hanno i figli piccoli e i genitori anziani 18. Per smart working, quindi, non si deve intendere unicamente lavorare dalla propria casa nelle prossimità della sede lavorativa, ma deve significare realmente lavorare da dove si vuole, anche dal Sud e dalle aree interne, da un altro paese, dall’estero”.
Ma c’è anche un’altra tipologia di rientro: “quello delle persone che rientrano per conoscere i luoghi dai quali loro o i loro ascendenti sono partiti. È un tema che si lega al Turismo delle Radici di cui verrà celebrato l’anno nel 2024. Si tratta di una forma di turismo speciale e di viaggiatori speciali che, attraverso il viaggio in Italia, ripercorrono un cammino di scoperta o riscoperta di loro stessi, della loro identità e della loro storia familiare. Il Turismo delle Radici, quindi, è un segmento particolare dell’offerta turistica che combina il fascino del viaggio alla memoria e alla curiosità di riafferrare o afferrare per la prima volta elementi che fanno parte della propria storia e della propria identità. Ecco perché molti finiscono col chiamarlo il viaggio della vita: dopo averlo compiuto non si è mai uguali a chi si era prima. Si tratta di un viaggio che trasforma, fa evolvere, rende consapevoli di ricchezze già possedute o di mancanze da colmare, riporta all’essenza di chi si è e di chi si vuole diventare col trascorrere del tempo”.
Le concause della migrazione degli italiani: prevale un “desiderio di rivalsa”
La mobilità verso l’estero non è più determinata prevalentemente dall’esigenza di sfuggire da situazioni di fragilità economica e occupazionale, ma è motivata soprattutto da un “desiderio di rivalsa” e di crescita personale.
È un processo complesso, nel quale la componente psicologica è centrale: è evidente che chi decide di emigrare è una persona che non si trova esattamente “bene” nel luogo ove vive.
Si tratta di un bisogno profondo che si riscontra sia nelle aree metropolitane medio-grandi, sia nelle città medio-piccole.
È una dinamica esistenziale che accomuna sia chi vive nelle aree depresse (basti pensare ai tassi di disoccupazione che affliggono alcune zone d’Italia), sia chi risiede in zone ricche del nostro Paese, quei territori apparentemente privi di problemi economici, ma che, nell’epoca della mobilità e della fluidità dell’identità, diventano per alcuni troppo stretti (al punto da spingere a cercare all’estero spazi vitali più ampi).
In sostanza, anno dopo anno cresce la propensione dei giovani italiani ad andare all’estero: “evidentemente, siamo di fronte a generazioni cosmopolite, di cui i ragazzi con background migratorio, stranieri o italiani per acquisizione, rappresentano la punta avanzata”, ha sostenuto il Presidente della Cei, così proponendo una interpretazione positiva del fenomeno.
Al tempo stesso, questa propensione è però senza dubbio sintomatica di una condizione di malessere rispetto al continuare a vivere (e lavorare) in Italia.
Matteo Maria Zuppi (che – si ricordi – oltre a presiedere la Cei è anche Arcivescovo di Bologna) auspica un “salto culturale”, che andrebbe applicato – nell’interpretazione del fenomeno migratorio – sia agli italiani emigranti sia agli stranieri che emigrano verso l’Italia: “è questo il salto culturale che l’Italia (e non solo) è chiamata a compiere: interpretare la migrazione non come abbandono di cose, persone e luoghi, ma come spinta ad “andare verso”, senza farsi guidare da eccessivi entusiasmi, ma usando il timore dell’incertezza come leva di accoglienza di potenzialità positive”. Conclude: “è inutile pensare di fermare le partenze, ma siamo tutti chiamati a fermare le emorragie di persone, competenze, saperi, creatività, soprattutto se giovani in un Italia che continua a sgretolarsi. Un’Italia che diventa sempre più vecchia e sola in cui i bambini non nascono e i giovani vanno via. Muore lentamente l’Italia che resta all’interno dei confini nazionali mentre si rigenera, annualmente, quella che risiede all’estero”.
Ancora una volta, troviamo nelle tesi della Chiesa Cattolica un approccio dialogico ed umanistico che sembra sfuggire a coloro che governano l’Italia.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “quando non si riesce a riportare nel nostro Paese professionalità, esperienze, risorse umane, è l’intera comunità che viene impoverita”
Da notare che ieri, in occasione della presentazione del “Rapporto Migrantes”, non è intervenuto nessun rappresentante del Governo: non è un bel segnale di attenzione verso questo approccio al fenomeno migratorio…
È giunto soltanto un messaggio di saluto del Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (Maeci), Antonio Tajani, ma dal tono piuttosto rituale.
Ci sembra che queste dinamiche confermino la modesta attenzione del Governo nei confronti delle comunità italiane nel mondo.
Abbiamo già denunciato – anche su queste colonne – la disattenzione che mostra la stessa concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo nei confronti degli italiani all’estero, ai quali dedica pochissime risorse: basti ricordare che, dopo anni di ridicola quanto misteriosa gestazione, è stato officiato il funerale del progetto del canale per l’estero, che la Rai avrebbe dovuto creare sulla base di quanto previsto dall’ancora vigente “Contratto di servizio” 2018-2022 (vedi “Key4biz” del 22 novembre 2022, “Rai rilancia l’offerta per l’estero, ma seppellisce il canale in lingua inglese”)…
E che dire delle modeste risorse che lo Stato assegna alla stampa italiana all’estero?! Sul tema, si rimanda al saggio proposto da IsICult nell’edizione 2022 del “Rim” della Migrantes: “I media e gli italiani all’estero: un inquietante fenomeno di sotto-rappresentazione, risorse economiche inadeguate e effimera sensibilità politica”.
E che dire, ancora, del complessivo deficit di strategia nella promozione della cultura italiana all’estero, a partire dalla incredibile assenza – ancora oggi – di una agenzia per stimolare la diffusione del cinema e dell’audiovisivo “made in Italy” nel mondo?!
Potremmo continuare, nell’elenco dei “cahier de doléances”…
Merita invece essere segnalato un passaggio del messaggio di saluto trasmesso dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “lavorare all’estero, per i nostri giovani, è una grande opportunità di crescita umana e professionale e deve essere una scelta libera, non un obbligo di fatto”.
Sulla effettiva “libertà” di questa scelta, andrebbero sviluppati ulteriori studi sociologici e finanche una qualche indagine demoscopica, ad oggi non ancora disponibile: non risulta essere mai stata realizzata una ricerca sul “perché” i giovani italiani decidono sempre più di emigrare. Unica esplorazione sul tema l’indagine realizzata dall’“Osservatorio Giovani” dell’Istituto Toniolo tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, (richiamata anche nel “Rim 2023”).
Ha sostenuto Mattarella: “se – dopo un percorso formativo in Italia – si è costretti a lasciare il territorio nazionale per mancanza di occupazione o di soddisfacenti prospettive e, soprattutto, una volta acquisite preziose conoscenze ed esperienze, non si riesce più a tornare, si è di fronte ad una patologia, alla quale bisogna porre rimedio. Quando non si riesce a riportare nel nostro Paese professionalità, esperienze, risorse umane, è l’intera comunità che viene impoverita”.
Monsignor Gian Carlo Perego (Presidente Fondazione Migrantes): “l’unica Italia che cresce è quella all’estero”. Gli italiani all’estero fanno figli più di 2 volte degli italiani che vivono in Italia
Uno dei dati più impressionanti (sui quali però ci sembra non sia emersa l’attenzione dei media, se non da parte del quotidiano “Il Tirreno”, che ha titolato “Giovani e pensionati: fuga dall’Italia. E all’estero si fanno più bambini”) è stato identificato dal Presidente della Fondazione Migrantes Gian Carlo Perego: “l’unica Italia che cresce è solo quella all’estero”, e forse non soltanto dal punto di vista demografico.
Il punto di vista demografico mostra comunque dei dati eclatanti: sono infatti 91mila i bambini italiani nati all’estero nel 2022. Si tratta di una cifra corrispondente a circa il 23 % rispetto ai circa di 400mila nati in Italia. E si ricordi che di questi 400mila nati in Italia, ben 53mila sono neonati figli di immigrati stranieri (genitori entrambi stranieri).
A voler essere più precisi: nel 2022, ci sono state nel nostro Paese complessivamente 393mila nascite, di cui da genitori solo italiani 311mila, e quindi 82mila nati da almeno un genitore straniero. Di questi 82mila, circa 29mila sono figli di 1 italiano ed 1 straniero; i neonati da 2 genitori stranieri sono 53mila…
Su una popolazione di 59,2 milioni di residenti, di cui 5,6 milioni di stranieri. Quindi: 311mila nati da italiani (entrambi i genitori italiani), cui possiamo aggiungere i 29mila nati da coppie miste, sul totale di 53,6 milioni di italiani residenti. All’estero, 91mila neonati, a fronte di 6 milioni di italiani che vivono all’estero.
Sommando i 340mila neonati italiani nati in Italia (sia da genitori italiani che coppie miste) ai 91mila neonati italiani nati all’estero, si arriva ad un totale di circa 431mila.
Impressionante: i neonati all’estero rappresentano quindi il 21 % del totale (in valori assoluti: 91mila su 431mila), a fronte di una quantità di italiani all’estero che corrisponde all’11 % degli italiani residenti in Italia.
In altri termini, i nati italiani all’estero corrispondono a circa il 27 % del totale degli italiani nati in Italia, allorquando gli italiani all’estero corrispondono al 10 % degli italiani residenti in Italia…
Da ricordare che – secondo le elaborazioni della Fondazione Migrantes – gli italiani nati all’estero sono aumentati dal 2006 di ben il 167 %: in valore assoluto, sarebbero ad oggi 2,3 milioni; erano 869mila nel 2006…
Il tasso di natalità degli italiani all’estero nella seconda decade del nuovo millennio ricorda i livelli di crescita ai tempi del boom economico…
IsICult approfondirà presto questo intrigante tema (e le elaborazioni quali-quantitative connesse), ma – volendo sintetizzare – ci si dovrebbe domandare quali sono le ragioni per le quali gli italiani all’estero – in proporzione – fanno il doppio dei figli dei connazionali in Italia… Sicuramente, tra le concause: sono cittadini mediamente più giovani e – soprattutto – forse hanno una visione del futuro meno cupa di quelli che vivono in Italia…
Lo Stato italiano dovrebbe riflettere seriamente su questi stimoli forniti dalla Cei.
Clicca qui, per la sintesi del 18° “Rapporto Italiani nel Mondo 2023”, curato dalla Fondazione Migrantes (Cei), edito da Tau Editrice, presentato l’8 novembre 2023 a Roma
Clicca qui, per i “Suggerimenti” di Matteo Zuppi, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (Cei), in occasione della presentazione del 18° “Rapporto Italiani nel Mondo 2023”, Roma, 8 novembre 2023
[ Nota: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale. ]
(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.