Rapporto annuale 2021. La situazione del Paese
Presentato stamattina a Palazzo Montecitorio il Rapporto annuale 2021 dell’Istat sulla situazione del Paese. Una ventinovesima edizione tutta incentrata sulla pandemia di Covid-19 e i suoi effetti diretti ed indiretti sulla nostra economia e le sue imprese, sulla sfera sociale e la quotidianità delle famiglie.
#RapportoAnnualeIstat, Vicepresidente @mandelli_andrea: "nel rapporto tendenze capitale umano e mercato #lavoro analizzate con riferimento a tre grandi assi del #PNRR: #giovani, #parità di genere e #Mezzogiorno, con punti di forza e fragilità nella fase di recupero e ripartenza" pic.twitter.com/PxqxVWmIqA
— Camera dei deputati (@Montecitorio) July 9, 2021
Il Rapporto si focalizza, tra le altre cose, sulla fragilità del sistema delle aziende italiane nella fase di recupero e rilancio e sul tema della transizione digitale delle organizzazioni e del sistema produttivo nel suo insieme.
Non meno rilevanti, per le finalità dello studio, sono il volume degli investimenti, il piano per le infrastrutture e certamente la sostenibilità ambientale, tutti fattori centrali nell’impianto prospettico del Piano nazionale di ripresa e resilienza o PNRR e in quello europeo del Next Generation EU.
“Le previsioni Istat stimano per il 2021 una robusta ripresa dell’attività, sostenuta dalla domanda per consumi e investimenti, spinti anche dall’avvio del PNRR: crescita del Pil dovrebbe essere del 4,7%“, ha dichiarato il Presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, durante l’illustrazione del Rapporto a Montecitorio.
“Nel primo trimestre 2021 livello del fatturato industriale ha superato di circa l’1% quello della fase precedente la crisi; si segnala un generale recupero anche della domanda interna di prodotti industriali“, ha aggiunto il Presidente Istat.
Imprese, digitale e cloud
#Blangiardo Presidente #Istat
— Istat (@istat_it) July 9, 2021
"Solo il 4,1% delle #imprese digitalmente più evolute ha ridimensionato attività, contro quote più che doppie delle imprese che prima della pandemia hanno investito meno nella trasformazione digitale". #RapportoAnnualeIstat #9luglio pic.twitter.com/RrWr6adTBd
Per quel che riguarda la trasformazione digitale del mondo delle imprese, che rappresenta una componente strategica per la competitività degli Stati e per l’evoluzione dei sistemi produttivi verso una maggiore sostenibilità, l’Italia ha destinato circa il 27% dei 235 miliardi di risorse comprese nel proprio PNRR e nei fondi React-Eu proprio per progetti di digitalizzazione a livello aziendale.
“Tra il 2018 e il 2020 la quota di imprese che utilizzano servizi cloud è passata dal 23 al 59% e dall’11 al 32% per quanto riguarda i servizi evoluti, grazie anche agli incentivi fiscali contenuti nel piano Industria 4.0”, si legge nel Rapporto.
Le politiche nazionali hanno inoltre favorito l’uso delle tecnologie digitali anche nell’automazione degli scambi di documenti attraverso l’emissione di fatture elettroniche: per questo aspetto, nel 2019 le
imprese italiane risultano in vetta alla graduatoria europea (95%).
Ottimo risultato anche nell’uso di sistemi e dispositivi interconnessi a controllo remoto (internet delle cose) e in linea con la media europea nel ricorso a strumenti di intelligenza artificiale e nella robotica.
La transizione digitale ha garantito una maggiore reattività alla crisi e solo il 4,1% delle imprese digitalmente mature ha ridimensionato le attività, contro quote più che doppie di imprese nelle altre categorie.
Competenze, rimangono un problema tutto italiano
Fondamentale, in questo scenario, è il livello di formazione ICT e l’accumulo di nuove competenze tra gli occupati. Nel 2020, però, le professioni ICT incidono per il 4,3% sull’occupazione totale nell’Ue e solo per il 3,6% in Italia.
Nelle imprese con più di 10 addetti, più della metà del personale ormai usa quotidianamente computer connessi a Internet (il 56% nell’Ue27 e il 53% in Italia).
“L’incidenza relativamente modesta degli occupati in professioni ICT segnala una carenza sistemica che riguarda la domanda di servizi specialistici amplificata dalla scarsità di risorse umane qualificate dal lato dell’offerta: nel 2020 meno del 40% degli occupati in professioni ICT in Italia dispone di una formazione universitaria contro il 66% per l’insieme dell’Ue”, si legge nel testo del documento Istat.
In termini di addetti, il divario tra il nostro Paese e le altre principali economie europee appare ancora maggiore: nel 2020 il numero di specialisti è aumentato, a confronto col 2012, di circa il 77% in Francia, del 50% in Germania, del 35% in Spagna e solo del 18% in Italia.