Ieri mercoledì 31 marzo, come annunciato dagli uffici di presidenza di Camera e Senato martedì 23 marzo (con una nota congiunta), è stato pubblicato sul sito web delle due camere l’avviso per le auto-candidature ad entrare nel Consiglio di Amministrazione della Rai Radiotelevisione Italiana spa, ovvero per entrare nella schiera di coloro che potranno essere i 4 membri eletti dal Parlamento. Sempre ieri, anche la stessa Rai ha pubblicato l’avviso per l’elezione interna del rappresentante dei dipendenti.
La “macchina elettorale” per il nuovo governo della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, insomma, si è messa in moto: deluse completamente le aspettative di coloro che confidavano in una procedura meno rozza di quella finora messa in atto, dato che l’avviso riproduce esattamente quello pubblicato a fine aprile del 2018, senza alcun miglioramento.
Qual è il problema?
Che, ancora una volta, si andrà a riprodurre uno sterile rito: come abbiamo già denunciato anche su queste colonne… Si tratta di una operazione di “trasparenza a metà”: formalmente, il processo selettivo è aperto e democratico, ma, nella sostanza, la selezione si gioca tutta nelle segrete stanze delle segreterie di partito, senza alcuna pubblica trasparenza.
Prevedibilmente, una massa di circa 200 o 300 qualificati professionisti, illustri accademici, simpatici Carneadi, onesti cittadini, dilettanti allo sbaraglio… si adopereranno per inviare diligentemente via pec il proprio curriculum, ma quasi sicuramente la gran parte di questi “pezzi di carta” (pur nella versione digitale) finiranno nei cestini (digitali) dei parlamentari.
Fatti salvi i deputati e senatori che interpreteranno al meglio il proprio ruolo istituzionale, e vorranno dare un senso al concetto stesso di democrazia.
Eppure sarebbe bastato poco, come abbiamo sostenuto in più occasioni, per rendere questa procedura diversa da una deprimente presa in giro, da una vera e propria “ipocrisia di Stato”.
È necessaria una correzione di rotta urgente: perché non si attivano i Presidenti della Commissione di Vigilanza ed il Presidente dell’Agcom?
Basterebbe poco infatti: prevedere, esemplificativamente (alcune di queste procedure potrebbero essere combinate tra loro):
- una programmatica dichiarazione di intenti…
- una forma standardizzata per la presentazione dei curricula…
- delle audizioni da parte della Commissione parlamentare di Vigilanza…
- uno schema interrogativo, una griglia di poche ma essenziali domande, a mo’ di questionario, affinché gli aspiranti candidati possano esprimere la loro “idea” di Rai che sarà…
Non è complicato. Ed in verità siamo ancora in tempo, almeno per alcuni correttivi ed alcune possibili correzioni di rotta.
L’opzione di richiedere l’invio di cv in forma standardizzata è ormai superata, essendo stato pubblicato ieri l’avviso e non prevedendo alcun “format” di sorta, ma le altre opzioni sono ancora possibili, a portata di mano: richiesta di una dichiarazione programmatica, una griglia di poche ma essenziali domande per comprendere gli intenti dei candidati, e, infine, una qualche forma di audizioni…
Perché non interviene la Commissione Parlamentare di Vigilanza?!
Senza ombra di dubbio, un intervento di questo tipo rientra nelle sue prerogative istituzionali: chi meglio del Presidente della Commissione, il forzista Alberto Barachini, è titolato a proporre formalmente una implementazione della procedura ai Presidenti di Camera e Senato?!
Riteniamo che anche l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, ovvero il suo Presidente Giacomo Lasorella sarebbe titolata ad intervenire, e non necessariamente a gamba tesa.
Nessuno sgarbo istituzionale, ma l’esercizio – semplice, sano, naturale – da parte di Agcom, e/o della Vigilanza, di un diritto di “garanzia” – appunto – rispetto ad una procedura che ha a che fare con la democrazia comunicativa del Paese.
L’avviso pubblicato ieri da Camera e Senato è – come dire?! – a maglie (assai) larghe.
È previsto un “pre-requisito” piuttosto generico, ovvero “elevata professionalità” e “comprovata esperienza” in un perimetro assai ampio, ovvero gli ambiti giuridici, finanziari, industriali e culturali… Così recita infatti, genericamente (evasivamente?!), il comma 4 dell’articolo 49 (intitolato “Disciplina della Rai”) del “Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi e radiofonici” (D.Lgs. 31/07/2005, n. 177, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 7 settembre 2005).
Il cittadino malevolo potrebbe insinuare che le “maglie” sono giustappunto larghe per consentire alla partitocrazia di far eleggere… chicchessia.
Tre anni fa, l’avviso fu pubblicato il 30 aprile 2018 (con scadenza del termine per le candidature al 30 maggio 2018), l’elenco dei candidati – in rigido ordine alfabetico – fu pubblicato il 5 giugno 2018, e l’elezione avvenne il 18 luglio 2018.
Se si seguisse una tempistica simile, in questo caso si potrebbe prevedere una elezione per metà giugno 2021.
Tre anni fa, furono in tutto 236 le candidature per il consiglio di amministrazione della Rai arrivate alla Camera e al Senato: 196 quelle inviate a Montecitorio e 169 quelle presentate a Palazzo Madama. E sono 129 quelle presentate contemporaneamente ai due rami del Parlamento.
Prevediamo che quest’anno il flusso sarà più consistente.
L’esigenza di una implementazione di meritocrazia e di trasparenza
Abbiamo già richiamato più volte l’esigenza di una implementazione meritocratica.
Da più parti, nel corso degli anni, è stato auspicato che la procedura venisse migliorata, con uno sforzo di innovazione, in nome del buon senso democratico: purtroppo, l’appello non sembra essere stato accolto dai Presidenti del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati e della Camera Roberto Fico, fatta salva la possibile ed auspicabile – giustappunto – “correzione di rotta” in itinere.
In effetti, c’è tempo fino a fine aprile, ed un mese può bastare per studiare e prevedere, alla data di scadenza dell’avviso (venerdì 30 aprile 2021), che scatti immediatamente una procedura selettiva meno lasca: una procedura che possa consentire un processo comparativo ed un minimo di dibattito pubblico, che garantisca finalmente un minimo di tecnocrazia/meritocrazia e pubblicità/trasparenza nei processi selettivi.
Finora, purtroppo, come abbiamo ricordato, nonostante le lamentazioni emerse dalla società civile, non è mai stato così. Si ricordi anche la presa di posizione assunta da questa testata, in occasione della precedente procedura elettorale: vedi la “lettera aperta” redatta da alcuni candidati, pubblicata da “Key4biz” del 2 luglio 2018, “Cda Rai, lettera aperta al Presidente della Camera Roberto Fico”).
Commentando l’unico incontro pubblico tra i candidati, promosso dalla Associazione Dirigenti Pensionati Rai (AdpRai), dall’Unione Cattolica Stampa Italiana (Ucsi), e dal “think tank” indipendente InfoCivica, scrivevamo: “Democrazia dell’apparenza, demagogia della meritocrazia” (vedi “Key4biz” del 17 luglio 2018, “Cda Rai, chi c’era e cosa si è detto nell’unico incontro pubblico tra i candidati”). Questo rito di pseudo-democrazia sta per rinnovarsi immutato.
Roberto Fico (correva l’anno 2018): “necessario un salto culturale nell’elezione del Cda… se no sarà un fallimento”
Il 3 maggio 2018 Roberto Fico aveva scritto sulla sua pagina Facebook: “il mio auspicio è che questi quattro componenti del nuovo consiglio di amministrazione siano votati dal Parlamento in base al merito e alle competenze, solo così si potrà ribadire il significato più profondo del servizio pubblico radiotelevisivo, bene comune che appartiene a tutti i cittadini”. Il 17 giugno 2018, sosteneva: “il tema del servizio pubblico radiotelevisivo l’ho seguito per cinque anni da presidente della Commissione di Vigilanza Rai, avendo come unica stella polare l’autonomia e l’indipendenza della Rai dalla politica, perché questo è il senso del servizio pubblico. È qualcosa a cui ho lavorato con costanza e ostinazione, in cui credo profondamente… Il modo in cui la politica si comporterà rispetto a questo percorso sarà il primo vero banco di prova della legislatura”. Fico rivolgeva “un appello vigoroso a tutto l’arco parlamentare: occorre un salto culturale, è necessario rifiutare la logica dell’appartenenza per premiare esclusivamente merito, competenze, capacità di visione del servizio pubblico”.
Il concetto di “salto culturale” deve essere stato interpretato dai più in maniera opposta rispetto a quella auspicata: un salto all’indietro, una nuova immersione nelle acque torbide della partitocrazia.
Sosteneva Fico, se questo salto non si fosse concretizzato: “in caso contrario, saremmo davanti a un vero e proprio fallimento”. E così è stato, fallimento vero e proprio, e così riaccadrà tra qualche settimana se non si metterà in atto un ravvedimento operoso.
E ricordiamo le parole dell’allora da poco neo Presidente della Camera, in occasione della “cerimonia del ventaglio”, il 19 luglio 2018. Roberto Fico, rispondendo alle domande dei giornalisti, affermò che serviva una nuova legge sulla “governance” Rai: “sono convinto che questa legge vada cambiata, è sbagliato che il governo nomini due consiglieri fra i quali il presidente e il direttore generale. Non è detto che in questa legislatura non si possa fare”. E ricordava la sua proposta di legge “che levava le nomine al Parlamento e aboliva anche la Vigilanza, della quale volevo essere l’ultimo presidente, e su questo ho fallito. Ma la proposta è ancora sul tavolo”, assicurava.
Più che sul tavolo, la proposta è rimasta nei cassetti polverosi di Camera e Senato.
Si ricordi anche che, in parallelo alle sue dichiarazioni, il Movimento 5 Stelle attivava una procedura di “votazione” sulla piattaforma Rosseau, poco prima delle votazioni alla Camera ed al Senato, rispetto ad una rosa di 5 candidati “pre-selezionati” (non si è mai ben compreso da “chi”, e il post pubblicato il giorno prima delle elezioni, il 17 luglio 2018, recitava “è stata fatta una prima scrematura e sono stati individuati dei profili pronti ad impegnarsi nella realizzazione della nostra visione di tv pubblica facendo del merito il principale criterio di selezione”): Paolo Cellini, Beatrice Coletti, Paolo Favale, Claudia Mazzola, Enrico Ventrice. Beatrice Coletti ottenne 6.577 voti, Paolo Cellini 4.253, Claudia Mazzola 4.005 voti, Enrico Ventrice 2.779 voti e ultimo Paolo Favale 2.414. Hanno partecipato alla votazione, si leggeva sul blog delle Stelle, 20.028 “iscritti certificati”. Beatrice Coletti è stata eletta poi a Palazzo Madama con 133 voti. La Lega, invece, ha scelto Igor Di Biasio, che alla Camera ha preso 312 voti. Il Pd ha votato Giampaolo Rossi, intellettuale di centro-destra, che ha preso 166 voti: “in cambio dei voti a Rossi, Fratelli d’Italia e Forza Italia hanno votato Rita Borioni” – scriveva “il Fatto Quotidiano” –, che ha preso 101 voti; Borioni era l’unico nome del cda uscente che veniva riconfermata a viale Mazzini (vedi “Key4biz” del 18 luglio 2018, “CdA Rai, si riproduce la partitocrazia con le nomine del Parlamento”).
Partitocrazia allo stato puro.
A distanza di 3 anni, il Presidente della Camera ha scritto ieri (31 marzo 2021) su Fb: “il mio auspicio è che concorrano le migliori intelligenze e competenze, capaci di fornire un contributo prezioso al Servizio pubblico radio-televisivo”.
Nihil novi rispetto ai pii auspici del 2018, sembra un annuncio-fotocopia, la retorica del pio auspicio è la stessa…
Forse concorreranno anche le “migliori” intelligenze e competenze, ma come verranno selezionate, caro Presidente?!
La procedura prevista da Roberto Fico nel marzo 2015, con la proposta di riforma della governance Rai
Da ricordare anche che è lo stesso Fico che, il 3 marzo del 2015, aveva presentato una sua (ovvero del Movimento 5 Stelle) proposta di legge di riforma della Rai: consiglio formato da 5 membri, e – per quel che qui interessa – “una “cabina di regia” dell’Agcom che valuti i curricula in maniera non discrezionale”. Precisava: “una cabina di regia dell’Agcom, che non sarà discrezionale. Avrà i curricula e li valuterà per positivi e negativi a seconda di parametri specifici e a valle ci sarà il controllo del Parlamento e non del governo”.
Questi “parametri specifici” sono rimasti lettera morta.
Oppure in itinere il Presidente della Camera ha cambiato idea. Così come la sua proposta di legge è ormai archiviata, dimenticata.
È però qui interessante ricordare cosa prevedeva:
- avviso pubblico a cura dell’Agcom;
- invio del curriculum e di un elaborato sulla visione strategica del servizio pubblico radiotelevisivo;
- verifica dei pre-requisiti: “competenza, indipendenza, onorabilità, incompatibilità”;
- rosa di candidati pubblicata sul sito dell’Agcom, divisi in 3 aree, di cui le prime 2 afferenti ai settori dell’audiovisivo e delle reti di comunicazione elettronica ovvero tecnico-scientifica, giuridico-economica, e la terza afferente all’area creativo-editoriale (autori, capi-progetto, ideatori di programmi radiotelevisivi);
- sorteggio dei 5 nominativi;
- audizione pubblica in Parlamento; in caso di eventuale parere sfavorevole da parte delle Commissioni parlamentari competenti (non la Vigilanza, di cui si prevedeva l’abolizione), si torna al sorteggio, e si ripete questa fase della procedura, che deve concludersi comunque entro 30 giorni;
- il Ministro dell’Economia nomina i consiglieri e può indicare il Presidente; il Cda nomina al suo interno l’Ad ed il Presidente.
È veramente curioso osservare come, a distanza di sei anni soltanto, nessuna traccia di questa procedura – complessa ma senza dubbio meno “aumm aumm” di quella attuale – sia rimasta nelle parole del Presidente della Camera Roberto Fico.
Stefano Rolando (candidato nel 2018): “le elezioni del Cda Rai, una vicenda farsesca che fa male alle istituzioni”
Restano ahinoi le valide parole di denuncia, intrise di amara ironia, di uno dei candidati nella elezione del 2018, Stefano Rolando (si veda il suo intervento su “Linkiesta” del 19 luglio 2018, “Onorevoli, prestigiosi, competenti. Lettera aperta di un candidato al Cda Rai non valutato”): “avrei ragionevolmente anche potuto sperare che la normativa (governo Renzi) che, riducendo i consiglieri da 9 a 7, ha modificato nel dicembre del 2015 la procedura disposta nel 2005 e ha proposto il “concorso partecipativo” come metodo per formare il perimetro di scelta da parte dei parlamentari, comportasse anche un passaggio valutativo (idoneità, comprovazione, titoli oggettivi, motivazioni, eccetera). Come avviene in tutto il mondo quando una istituzione, così alta poi, sceglie con metodo partecipativo. Anche perché il bando, magari in modo sibillino, parla di “procedura pubblica di selezione”, dove le parole hanno un senso e comportano tutte qualche regola”.
L’ex Direttore Generale del Dipartimento Informazione ed Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri per un decennio, manager pubblico di varie istituzioni, saggista apprezzato ed accademico prestigioso (clicca qui per il suo ricco cv), si sfogava: “ho legittimamente pensato quello che si pensa, con certezza della procedura, quando si aspira ad upgrading in università, in una carriera ospedaliera, in una responsabilità pubblica: sarò dunque valutato. Ci sarà magari un nucleo tecnico o misto, un organo comunque regolato da imparzialità che, partendo da quel profilo normato, affonderà lo sguardo su storie complesse sollecitate da quella legge a mettersi al servizio di una composizione vincolata al coraggio dei proponenti e al diritto di scelta dei decidenti”.
Stefano Rolando pensava forse di vivere in un Paese ideale: non è questa l’Italia reale. Non lo era nel 2018, non lo è nel 2021: “ho pensato che sarei arrivato quinto, decimo o ventesimo attorno a un titolo e magari diversamente attorno a un altro titolo. Oppure che, dopo attenta analisi, il comitato tecnico insediato avrebbe segnalato ai parlamentari una short list con in evidenza i caratteri oggettivamente significativi dei percorsi più rispondenti alle parole “prestigio e competenza”. Che il citato articolo esprime nel concetto “possono essere nominati membri…”.
E concludeva: “si scopre adesso che i cv accolti dal Parlamento sono stati stivati senza alcun trattamento. Hanno cioè avuto solo un criterio di “valutazione”: quello dell’occhieggiamento, della guardatina, della sbirciata. Cioè quello di poter essere caso mai letti nel sito di Camera e Sanato e apprezzati o disprezzati oggettivamente dai curiosi, dai giornalisti o anche dai parlamentari decisori, ma questi ultimi senza alcuna procedura di valutazione, né specifica ne sommaria”. E bollava il tutto con il “carattere farsesco della vicenda, che fa male alle istituzioni”.
Che la farsa non si ripeta.
Che Casellati e Fico abbiano il coraggio di un tardivo ravvedimento, che Barachini e Lasorella stimolino una implementazione meritocratica.
Clicca qui, per il testo dell’avviso sul sito web del Senato, “Avviso per la presentazione di candidatura a componente del consiglio di amministrazione della RAI-Radiotelevisione Italiana S.p.A. ai fini dell’elezione da parte del Senato della Repubblica”, pubblicato il 31 marzo 2021.
Clicca qui, per il testo dell’avviso sul sito web del Camera, “Avviso per la presentazione di candidatura a componente del consiglio di amministrazione della RAI-Radiotelevisione Italiana S.p.A. ai fini dell’elezione da parte del Senato della Repubblica”, pubblicato il 31 marzo 2021.
Clicca qui, per le slide di presentazione della proposta di riforma della “governance” del Movimento 5 Stelle, marzo 2018.