Nulla trapela da Viale Mazzini, se non una qualche voce di corridoio: la consegna imposta dal neo Amministratore Delegato Carlo Fuortes ((diktat silenzio stampa assoluto) viene rispettata da tutti i membri del Consiglio di Amministrazione, fatta salva una relativa eccezione da parte del consigliere eletto dei dipendenti, che tende ad “esternare” le sue opinioni sulla sua pagina Facebook, ma d’altronde non è scorretto sostenere che Riccardo Laganà gode di uno status speciale rispetto agli altri consiglieri, cooptati da Governo e Parlamento. Di fatto, Laganà è l’unico membro del Cda Rai non scelto dalla “politica”. Ed è anche l’unico membro del Cda che si è astenuto in occasione dell’approvazione del bilancio previsionale 2021 “rivisto e corretto” da Fuortes affinché non emerga un deficit.
Laganà ha per esempio rilanciato, in un suo post del 6 agosto, la decisione della neo Presidente Marinella Soldi di non percepire alcun compenso aggiuntivo, nonostante una maggior quantità di deleghe ricevute dal Cda (e dall’Assemblea dei Soci, Mef e Siae), rispetto al suo predecessore Marcello Foa, così come stabilito nell’ultima riunione del Cda pre-ferie, giovedì della scorsa settimana 5 agosto. Il compenso della neo Presidente sarà di 180mila euro (lordi), comprensivo dei 66mila euro previsti per ogni consigliere. Un compenso inferiore alle decine di dirigenti apicali di Viale Mazzini che veleggiano sui 240mila euro: comunque un paradosso.
Rai: dalla struttura “per reti” alla struttura “per generi”, veramente?!
Nelle more, il (quasi) sempre ben informato Mario Ajello sulle colonne del quotidiano romano “il Messaggero” di ieri (con titolo richiamato in prima, “Rivoluzione in Rai scompaiono le reti restano le direzioni. Il piano a dicembre”) sembra annunciare uno “scoop”, che tale però non è, segnalando che Fuortes avrebbe deciso di sintonizzarsi con il “piano industriale 2019-2021” approvato il 6 marzo 2019 (elaborato con la consulenza – assai ben pagata – di Boston Consulting Group) che era stato congelato dal suo predecessore a causa sia dell’emergenza pandemica sia perché trasformare Rai realmente da struttura “per reti” (Rai1, Rai2, Rai3, etcetera) a struttura “per generi” (9 direzioni: Intrattenimento, Cinema e Serie Tv, Day Time…) è veramente intrapresa che richiede un ragionamento assai più approfondito rispetto a quello a suo tempo elaborato. Così come ragionare sulla eventuale morte di alcuni canali “marginali” (come livello di audience) e sulla eventuale costruzione della mitica “newsroom” unica (per eliminare duplicazioni, “troppi” tg, e sprechi)… Siamo sicuri che Fuortes ed il Cda avranno necessità di almeno un paio di mesi per ragionare, seriamente, sull’“aggiornamento” e possibile revisione di quel piano industriale, in parte superato dal mutato scenario mediale nazionale (e globale).
Tagli di budget superiori all’annunciato “in media” 1 per cento?!
Nel mentre, si osservano dinamiche curiose: i “tagli” decisi dal Consiglio di Amministrazione – per fare in modo che il bilancio previsionale 2021 sia in pareggio – non sono stati resi di pubblico dominio, e pare che quanto anticipato da Ajello una decina di giorni fa (“Cura Fuortes per la Rai”, il 4 agosto su “il Messaggero”) non corrispondesse alla vera verità, anche se qualcosa è emerso da una replica pubblicata domenica 8 da “il Fatto”, firmata “Direzione Comunicazione Rai”, in risposta ad un articolo di Gianluca Roselli: “nel caso di RaiPlay, il taglio è stato di 100.000 euro e non di 4 milioni come asserito nell’articolo (su un budget di circa 20 milioni di euro, nota nostra); nel caso della Direzione Comunicazione si tratta di 150.000 euro e non 300.000 (su un budget di circa 5 milioni di euro, nota nostra); per quanto riguarda la Direzione Marketing la cifra è 50.000 e non 150.000 nell’articolo (su un budget di circa 1 milione di euro, nota nostra)”. Il collega Roselli commenta: “grazie per la precisazione. A quanto mi risulta i tagli a Raiplay dovevano essere molto maggiori di quanto viene ora comunicato. Faccio notare che tutte le altre cifre riportate nell’articolo sono corrette (tra cui il taglio di 300.000 euro alla Direzione Rai per il Sociale, su un un budget di circa 1 milione di euro, nota nostra). Faccio altresì notare che si tratta di tagli superiori all’1 per cento dei budget annunciati dall’Ad Carlo Fuortes in Vigilanza”.
Rai: i tagli maggiori alla Direzione Rai per il Sociale (- 30 %) ed all’Ufficio Studi (- 25 %)?!
Va comunque osservato, in materia, che i tagli maggiori sono stati imposti a due strutture che dovrebbero svolgere un ruolo centrale nella attuale fase della Rai: togliere a Rai per il Sociale (diretta da Giovanni Parapini) 300.000 euro su un budget di 1,1 milioni di euro appare contraddittorio, rispetto alla funzione che questa direzione ha nella definizione del profilo identitario del servizio pubblico radiotelevisivo; togliere 50.000 euro al budget già ridicolo dell’Ufficio Studi (diretto da Claudia Mazzola) ovvero 200.000 euro all’anno significa voler ridurre questa Direzione a poco più di una scatola vuota… un’etichetta sulla porta. Si tratta di scelte veramente difficili da comprendere.
Sabato 7, il Segretario Generale dell’Usigrai – il sindacato dei giornalisti Rai – Vittorio Di Trapani, ha dichiarato su twitter: “Leggo che il budget di Rai per il Sociale sarebbe stato tagliato del 30 %. Se fosse vero, sarebbe molto grave. Una Direzione nata in piena pandemia per rilanciare l’impegno del Servizio Pubblico su uno dei pilastri del Contratto di Servizio: valorizzare la Coesione Sociale”. Come dargli torto?!
Da altre fonti (isicultiane), sembrerebbe che Fuortes avrebbe anche deciso di tagliare 2,2 milioni di euro dal budget del misterioso canale internazionale in inglese (che aveva nel precedente previsionale un budget di 5 milioni di euro), e qui ci piacerebbe comprendere qual è lo stato dell’arte di questa controversa iniziativa… Altresì dicasi per il taglio di 350mila euro al canale “istituzionale” (budget originario 1,5 milioni), iniziativa anch’essa non meno misteriosa…
In ogni caso, si tratta oggettivamente di tagli superiori a quel “in media 1 per cento” annunciato da Fuortes anche in occasione della prima audizione sua e della Presidente in Vigilanza Rai.
Qualcosa non quadra, insomma.
Fuortes deve anche decidere in questi giorni a chi affidare alcune funzioni-chiave, a partire dal Direttore della Comunicazione e dal Direttore del suo staff. Alcuni sostengono che chiederà un parere anche al Senior Advisor del Presidente Mario Draghi, Francesco Giavazzi, che si pone come vicepremier-ombra…
Padellaro (il Fatto) propone un format tv sulla pandemia. Fuortes (Rai) risponde in modo generico
Va segnalato che Fuortes ha reagito prontamente, ma genericamente, alla sortita di Antonio Padellaro, su “il Fatto Quotidiano” di sabato 7 agosto, ovvero all’articolo intitolato “Cara Rai, dacci un format anti-pandemia”.
Lunedì 9, viene pubblicata una lettera dell’Ad in risposta: “un grande Servizio pubblico multimediale come quello rappresentato dalla Rai ha il compito di rappresentare, nel dibattito pubblico anche acceso e attraversato da controversie e contraddizioni, un riferimento sicuro e affidabile non per la sua neutralità ma per la serietà delle argomentazioni e del linguaggio. Solo a queste condizioni il nostro lavoro può ricevere la fiducia e il riconoscimento che lo giustifica. In secondo luogo va ancor più ampliata la nostra capacità di ascoltare e di generare condivisione”. Fuortes non risponde in modo netto alla richiesta dell’editorialista de “il Fatto”, ovvero la creazione di un format televisivo quotidiano che informi in modo chiaro sulle dinamiche della pandemia e specificamente sulla vaccinazione: ci permettiamo di osservare che abbiamo invocato una simile iniziativa oltre un anno fa, su queste colonne, proprio per evitare le conseguenze di quella “infodemia” alla cui diffusione ha paradossalmente contribuito anche la Rai…
Si osserva anche come, sulla stampa, alcune testate giornalistiche stiano scavando nel passato manageriale di Fuortes, segnalando che non sarebbe tutto oro quel che luccica. Qualcuno ricorda un articolo di Vincenzo Bisceglia su “il Fatto” del 4 aprile 2017, intitolato: “Teatro dell’Opera di Roma. 47 milioni di debiti, più costi che incassi, un esercito di impiegati: ombre sulla gestione Fuortes”: ma si ha ragione di pensare che alcuni degli articoli di questi giorni siano ispirati dal partito che è stato escluso dalla spartizione lottizzatoria partitocratica, ovvero Fratelli d’Italia… In quell’articolo del 2017, si leggeva una dichiarazione di Federico Mollicone (esponente di punta di FdI in Vigilanza, allora Responsabile Cultura e Comunicazione del partito): “ci sono troppe ombre nella gestione del Teatro dell’Opera, la gestione Fuortes viene presentata dal ministro Franceschini – nonostante il suo fallimento e relativa inchiesta al Petruzzelli di Bari – come virtuosa e invece, come in passato dimostrai e denunciai nel caso dell’Auditorium, è, al solito, un “soufflé” di numeri che alla verifica dei tecnici e della Corte dei Conti si sgonfia”.
Si crea un nuovo Osservatorio sul Settore Artistico e Creativo? Senza dotarlo di risorse e dimenticando che esisterebbe un Osservatorio dello Spettacolo del Ministero della Cultura?!
Nel mentre, nessuno sembra aver fatto caso ad una curiosa iniziativa che è stata trascurata dai media “mainstream”, e segnalata soltanto dall’agenzia stampa specializzata AgCult, diretta da Ottorino De Sossi: se è vero che il 10 giugno 2021 è stato approvato un disegno di legge governativo di “delega al Governo in materia di spettacolo” nel quale è citato anche l’Osservatorio dello Spettacolo del Ministero della Cultura (ma senza che venga realmente previsto l’indispensabile suo rafforzamento strutturale e budgetario, prospettandosi invece un semplice coordinamento con i pochi Osservatori promossi dalle Regioni), continua in Parlamento l’iter di una tanto annunciata “legge quadro dei lavoratori dello spettacolo”, a partire dall’Atto Senato n. 1231, prima firmataria Urania Giulia Rosina Papatheu (Forza Italia).
Alla proposta di legge Atto Senato 1231 di Urania Giulia Rosina Papatheu ed altri, si affiancano gli A. S. 2039 del dem Francesco Verducci e altri (“Statuto sociale dei lavori nel settore creativo, dello spettacolo e delle arti performative”), A. S. 2090 della leghista Lucia Borgonzoni (“Disposizioni in favore delle attrici e degli attori professionisti e delle produzioni teatrali, nonché istituzione del liceo delle arti e dei mestieri dello spettacolo”), A. S. 2127 del socialista Riccardo Nencini ed altri (“Disposizioni sul riconoscimento della figura professionale dell’artista e sul settore creativo”), A. S. 2218 del forzista Andrea Cangini ed altri (“Disposizioni relative alle professioni di artista di opera lirica, di direttore d’orchestra e di agente o rappresentante per lo spettacolo dal vivo”).
A fine luglio, è stato partorito il nuovo testo base di riforma del settore dello spettacolo, all’esame delle Commissioni Cultura e Lavoro del Senato. Il nuovo testo mantiene la previsione di una indennità di discontinuità e prevede tra l’altro l’istituzione del “Tavolo per il Settore Artistico e Creativo”, un credito d’imposta per le produzioni teatrali, l’istituzione del liceo delle arti e dei mestieri…
Il nuovo provvedimento è stato messo a punto dai relatori Roberto Rampi (Pd) e Nunzia Catalfo (M5S), e tiene conto dell’approvazione del decreto “Sostegni Bis” che contiene norme sui lavoratori dello spettacolo.
In particolare, il nuovo testo unificato – composto di 22 articoli – prevede anche l’Osservatorio per il Settore Artistico e Creativo.
Questa proposta prevede, all’articolo 3, l’istituzione di un “Osservatorio per il Settore Artistico e Creativo”. Le modalità di istituzione e funzionamento dell’Osservatorio sono definite con uno o più decreti del Ministro della Cultura previa intesa in sede di Conferenza Unificata.
Il comma 1 prevede:
“L’Osservatorio raccoglie e pubblica nel proprio sito istituzionale:
a) un elenco delle tipologie di lavoro e delle professioni artistiche, in cui si tenga conto anche delle attività amatoriali;
b) un elenco delle diverse professioni rientranti nel settore creativo;
c) informazioni in ordine alla disciplina vigente in materia di condizioni di lavoro, mobilità, disoccupazione, diritto alla salute, nonché ricostruzione di carriera e pensione, dei lavoratori e dei professionisti del settore artistico e creativo;
d) informazioni sulle procedure per l’organizzazione degli eventi di artistici e creativi e per il relativo svolgimento, in Italia e all’estero;
e) informazioni sui datori di lavoro o i prestatori di servizi che ingaggiano i lavoratori e i professionisti del settore artistico e creativo”.
In particolare, il nuovo testo unificato – composto di 22 articoli – prevede anche l’Osservatorio per il Settore Artistico e Creativo.
In verità, questo “osservatorio” è nato un po’ come i funghi dopo la pioggia, dato che qualcuno si deve essere reso conto improvvisamente che per fare ordine nel confuso “mercato del lavoro” nel settore dello spettacolo è necessario disporre di dati e di analisi che attualmente nessuno è in grado di fornire e produrre.
Come è stato proposto durante l’iter del provvedimento (un emendamento ha suggerito la modifica del “naming”), non si tratta di un vero e proprio “Osservatorio per il Settore Artistico e Creativo”, bensì di un “Osservatorio sul Lavoro” nel Settore Artistico e Creativo.
E che dire della proposta di legge presentata nel febbraio 2019 da Alessandra Carbonaro (M5S) e Paolo Lattanzio (Pd, ex M5S), l’Atto Camera 1582, intitolato “Istituzione del Sistema nazionale a rete degli osservatori dello spettacolo”?! Iter avviato a distanza di un anno dalla presentazione, e poi insabbiatosi.
Quel che ci si domanda è: ma perché, essendo esistente ancora (anche se progressivamente depotenziato e definanziato) un Osservatorio dello Spettacolo presso il Ministero della Cultura, non si estendono ragionevolmente le sue competenze e non lo si dota delle risorse minime indispensabili per fargli assolvere la funzione cui sarebbe chiamato per legge, e si va invece a creare un altro “osservatorio” dal nome altisonante, ma di fatto circoscritto alle tematiche del lavoro nel settore, e senza adeguata dotazione strutturale e budgetaria?!
Qual è la logica di queste proposte di legge?!
E che dire di quel comma 5 dell’articolo 3 della proposta di legge?! Da non crederci: “L’Osservatorio, gestito dal Ministero della Cultura con le risorse umane e finanziarie disponibili a legislazione vigente, è alimentato dalle amministrazioni interessate, individuate dai decreti di cui al comma 4, le quali collaborano al fine di migliorare il coordinamento e lo scambio di informazioni e di buone pratiche”.
Ancora una volta, nozze coi fichi secchi. E Luigi Einaudi si rivolta nella tomba
Ancora una volta, la logica è la stessa: nozze coi fichi secchi.
Si “crea” un nuovo Osservatorio, che ha compiti complessi e delicati, si parcellizza quella dovrebbe essere una visione sistemica (come se la variabile “lavoro” fosse indipendente dal contesto socio-economico del sistema culturale), e si chiede di fare tutto questo “a legislazione vigente”, ovvero senza spendere 1 euro in più!
Una dinamica insana, come quella che abbiamo segnalato per Rai: l’Ufficio Studi di Viale Mazzini dovrebbe essere il cuore delle elaborazioni di scenario e di mercato per il futuro del servizio radiotelevisivo pubblico, ed invece è stato istituito due anni fa semplicemente come obbligo imposto dall’evanescente “Contratto di Servizio”; è stato dotato di risorse ridicole, e qualche giorno fa il Cda ha deciso di tagliare pure quegli spiccioli che gli erano stati dedicati…
Il Governo decide di ridefinire le funzioni dell’Osservatorio dello Spettacolo nella legge delega ma non gli assegna alcun compito innovativo né risorse minimamente adeguate. Ed in Parlamento ci si inventa un Osservatorio ancora, un sedicente Osservatorio per il Settore Artistico e Creativo, affidandogli compiti complessi ma senza dotarlo di risorse…
Esiste realmente in Italia una volontà autentica di conoscere i fenomeni?
Ancora una volta, la lezione einaudiana del “conoscere per deliberare” è veramente disattesa. Al di là delle intenzioni, delle apparenze e delle… scatole vuote.