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Rai, il Governo porta all’ONU la riforma dell’Appello Donne e Media sulla parità di genere

Gabriella Cims

Caro Direttore,

il governo porta la nostra riforma della Rai alle Nazioni Unite. Nel rapporto per la 59esima Commission on the Status of Women, in corso a New York dal 9 al 20 marzo, il nostro governo mette in evidenza il Contratto di Servizio 2010-2013, siglato con la Tv pubblica, sottolineando le “specifiche clausole” inserite per la parità di genere.

Dunque i 13 articoli che abbiamo scritto, divulgato e imposto all’agenda politica, con l’Appello Donne e Media, oggi sono un successo, tra i non molti a dire il vero, che l’Italia può mettere sul piatto del dibattito.

Allora vale la pena anche ricordarne i “retroscena”, le circostanze attraverso cui il risultato è stato raggiunto. Quella riforma, infatti, ha avuto una gestazione complessa che ha prodotto un’ampia mobilitazione nazionale anche grazie alla campagna web diramata proprio dal quotidiano key4biz che ha deciso di dare grande spazio all’iniziativa dell’Appello e che ha coinvolto migliaia di donne e uomini, ampie rappresentanze associative e professionali dei diversi settori della società. Aidda, Cif, Fidapa Bpw Italy, Soroptimist International d’Italia, Udi, ValoreD, Zonta International, solo per citarne alcune, e poi avvocate del Consiglio Nazionale Forense, giuriste, magistrate dell’Anm, docenti universitarie, scienziate dell’ENEA, l’istituto di ricerca CENSIS, dirigenti della Pubblica Amministrazione, delle banche, imprenditrici, giornaliste, pubblicitari, gli organismi di parità, nazionale e territoriali: sono solo alcuni dei soggetti che hanno supportato, con la forza delle loro identità e delle organizzazioni che rappresentano, gli obiettivi concreti posti dall’Appello, per una rappresentazione realistica e non stereotipata delle donne in tv e in tutti i mezzi di comunicazione.

 

Da internet alle riforme: è la storia di un successo in rete. Dopo tanta retorica per le celebrazioni dell’8 marzo, spenti i riflettori delle ribalte dove ognuno deve dare il meglio di sé a favor di telecamera, possiamo dircelo.

Tuttavia, anche la nostra riforma è ben lungi dall’essere realizzata.

Impegnerebbe Rai a varare “nuovi programmi” per far conoscere ad un pubblico ampio la pluralità dei diversi ruoli che le donne svolgono realmente nella società.

Voi li avete visti?

Impegnerebbe Rai ad una strategia di coordinamento con le forze dell’ordine per prevenire la violenza sulle donne.

Ne sapete qualcosa?

Non più tardi di tre “8 marzo” fa, sempre a favor di telecamere, l’ex direttora generale dell’azienda, Lorenza Lei, e l’ex ministra, Elsa Fornero, si erano strette la mano annunciando una trasmissione sul talento delle donne.

Stiamo ancora aspettando.

Eppure la parità di genere in tutti i settori è ben lungi dall’essere realizzata e la marcia è ancora impervia.

La vera questione femminile nel 2015 è il lavoro.

La percentuale di disoccupate o precarie è più alta rispetto alla percentuale di uomini. Secondo i dati dell’Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea, in Italia il 49,9 % delle donne ha un lavoro a fronte del 69,8 % degli uomini. Vuol dire che c’è un 20% circa di donne in più, rispetto agli uomini, senza un lavoro.

Come vivono?

Da chi dipendono?

Quale può essere la loro capacità di far valere le proprie idee, le proprie legittime ambizioni, senza indipendenza economica? E’ un dato molto preoccupante, soprattutto se rapportato alla media europea che ci stacca di 11,6 punti percentuali di differenza.

A chi pensa che si tratti di retorica al femminile, rispondiamo con novemila miliardi di dollari all’anno: è la ricchezza calcolata da un recente studio del Fmi e non realizzata nel mondo per effetto di tutte quelle donne e ragazze che devono accontentarsi di un piano B, di una soluzione di ripiego, rispetto al loro talento.

Oramai è provato che un ruolo importante in questo soffocamento delle potenzialità lo giocano i media. Con il moltiplicarsi delle piattaforme, un programma, una pubblicità o un qualsiasi contenuto audiovisivo può penetrare nella nostra vita in modo ancora più capillare di prima.

L’immaginario collettivo si forma attraverso la sommatoria degli input culturali di cui ci nutriamo e ciò rende evidente il ruolo di tutti i mezzi di comunicazione: non solo descrivono la società ma contribuiscono a formarla, indicando i modelli di riferimento vincenti o, almeno, raccontati come tali.

Quante ragazzine la cronaca ci ha fatto conoscere, anche di quartieri benestanti delle metropoli italiane, che non esitano a prostituirsi pur di comprare l’ultimo modello di borsa indossato da qualche starlette consegnata alla gloria dalla ribalta mediatica?

Sono colpevoli loro o anche gli stimoli che la società offre?

La relazione tra politiche di genere e media è talmente assodata che anche nel poderoso dossier mondiale stilato dalle Nazioni Unite, a 20 anni dalla Conferenza di Pechino, un capitolo apposito è intitolato “Donne e Media”.

E’ in questo capitolo che il governo italiano ha inserito, oltre che la nostra riforma Rai e l’accordo con i pubblicitari, un altro tema che è uno dei cinque cardini stabiliti dall’Appello Donne e Media: l’adozione di un Codice deontologico che riguardi tutti i media, non solo la Tv pubblica.

E’ vero, un paio di anni fa è stato convocato un tavolo interministeriale e abbiamo partecipato alle prime audizioni con gli stakeholders. Ma dopo le prime difficoltà, non se ne è saputo più nulla. Quello che subito è risultato evidente è la necessità di inserire il futuro Codice nel Testo Unico della radiotelevisione, attribuendogli quindi una fonte normativa senza la quale un accordo volontario avrebbe ben poca efficacia.

Il governo, intende riprendere i lavori, visto che li ha annunciati nel report che porta a New York?

 

Prima di Natale, insieme ad una cospicua rappresentanza della rete dell’Appello, abbiamo inviato una lettera al premier, Matteo Renzi, che detiene la delega alle pari opportunità, oltre che a molti ministri del governo, tra i quali Maria Elena Boschi, Marianna Madia, Federica Guidi, Stefania Giannini.

Nella lettera abbiamo illustrato anche altri obiettivi posti in campo dal piano di riforme avanzate con l’Appello, tra i quali uno Standard Europeo Donne e Media e un organismo in grado di svolgere funzioni propositive per la formazione di genere nei settori della comunicazione.

A chi, in occasione della festa delle donne, ha ricordato la cancellazione tout court del ministro delle pari opportunità, è stato risposto che non occorre un ministro poiché “questo è il Governo delle Pari Opportunità”.

Bene.

Non importa chi, ma qualcuno ci risponderà?

Sarebbe un bel segnale.

Gabriella Cims

Promotrice Appello Donne e Media e blogger Huffington Post

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