Entro la fine del 2019, sarà in onda un canale italiano in inglese rivolto al mondo.
La data ultima del battesimo è la principale notizia contenuta nel documento intitolato “Progettazione per la realizzazione dei canali dedicati all’offerta estera in lingua inglese 2019-2021”, ovvero nell’“Allegato 2” del “Piano Industriale” approvato il 6 marzo 2019 dal Cda della Rai, che dovrebbe (vorrebbe) essere coerente con quanto previsto dal “Contratto di Servizio” (vedi “Key4biz” del 18 marzo 2019, “Domani il ‘Piano Industriale’ Rai in Commissione Vigilanza”, e si ricordi che la prevista audizione in Vigilanza per il 9 aprile è iniziata, ma il dibattito è stato rimandato).
Ricordiamo che il canale in lingua inglese rientra infatti tra gli obblighi del “Contratto di Servizio 2018-2022”.
Così recita l’articolo 12.3: “La Rai è tenuta a sviluppare uno specifico canale in lingua inglese di carattere informativo, di promozione dei valori e della cultura italiana, anche mediante la produzione di programmi originali e opere realizzate appositamente per un pubblico straniero, nonché volto alla diffusione dei prodotti rappresentativi delle eccellenze del sistema produttivo italiano e di opere cinematografiche, documentaristiche e televisive selezionate per valorizzare l’identità del Paese”.
L’articolo 12.4 precisa: “La Rai si impegna a tener conto dei seguenti tre possibili ambiti di intervento: (A.) realizzazione di una guida informativa per le persone straniere interessate all’Italia; (B.) valorizzazione dei rapporti tra l’Italia e i cittadini italiani residenti all’estero; (C.) insegnamento della lingua inglese”.
Onestà intellettuale e franchezza politica dovrebbero costringere tutti a riconoscere che il testo del “contratto” è discretamente confuso e polisemico.
Come in una “matrioska”, viene anche annunciato un altro specifico “contratto di servizio”, da definire e stipulare entro fine giugno 2019, tra la Rai spa e la sua consociata (controllata al 100%) Rai Com spa (di cui Marcello Foa è presidente), che riceverà 10 milioni all’anno, e sarà responsabile della distribuzione e della produzione del canale.
Il budget di 10 milioni di euro all’anno è il risultato di una nostra “stima”, dato che soltanto a pagina 264 del “Piano Industriale” Rai si legge che le risorse dedicate alla “nuova offerta di servizio pubblico” – intesa come “canale inglese e istituzionale” – saranno di 60 milioni di euro per il triennio 2019-2021: “diviso 2” (dando come ipotesi di lavoro una equiripartizione di risorse tra i due nuovi canali), si tratta di 10 milioni dieci di euro l’anno.
Una miseria, va rimarcato. Spiccioli. Secondo nostre ricerche, la tedesca Dw Tv News alias Deutsche Welle di Ard ha un budget di 375 milioni di euro l’anno, seguita dai 325 milioni di Rt Russia Today, dai 115 di Bbc World News, dagli 80 di France 24, per arrivare ai 30 milioni di Canal 24 Horas di Rtve…
Il cronoprogramma Rai prevede che la “struttura organizzativa” dovrebbe essere completata entro il dicembre 2019, ed entro questa data il nuovo canale sarà “on air” ovvero “go live”.
Affidare una missione di servizio pubblico a una società commerciale è una scelta discutibile, ed in particolare ha manifestato il proprio esplicito dissenso il consigliere di amministrazione Riccardo Laganà, eletto dai dipendenti Rai, ribadito il 9 aprile in una intervista a “La Notizia”).
Si può forse trovare… “una logica”, paradossalmente, in questa follia di spostare un po’ di denaro pubblico su una società che non potrebbe prenderne.
È bene rimarcare la nuda verità ovvero la principale contraddizione: la Rai ha ricevuto dallo Stato una commessa aggiuntiva, senza finanziamento aggiuntivo.
Delle due, l’una: Rai decide di sostenere questo “sovraccosto” attingendo alle risorse interne, ed in questo caso il canale sarebbe finanziato da Viale Mazzini nei limiti delle risorse definite dal “Piano Industriale” (e mettendo in atto quei “risparmi” stimati – nel “Piano” stesso – nell’ordine di 100 milioni di euro l’anno…), oppure il “modello di business” non può che essere delegato a un’impresa commerciale, quale è giustappunto Rai Com, che cerca evidentemente altre risorse (sempre dando per scontato che disponga del know-how adeguato).
Dove cercare risorse integrative?
Da imprese private direttamente coinvolte nelle iniziative di promozione internazionale, dice il progetto: più esattamente “far partecipare i soggetti privati alle iniziative di promozione internazionale che li vedono direttamente coinvolti o su cui hanno un interesse diretto”.
E qui naturalmente riemerge la “contraddizione” già evocata tra “pubblico” e “privato”.
Un esempio soltanto?! Il canale Rai, semmai co-finanziato da Eni piuttosto che Finmeccanica Leonardo, dovrebbe… “mettersi al servizio” degli interessi queste italiche multinazionali? Come si interpreta – in un caso come questo – il concetto di “public service media”?
Il posizionamento del nuovo canale è descritto in una slide, a pagina 24 dell’“Allegato 2” (clicca qui).
Se la Cina, Giappone e Regno Unito puntano sulla qualità dell’informazione nel mercato globale delle news… se Francia e Germania ambiscono invece una influenza geopolitica… il canale italiano si focalizzerà sulla promozione delle imprese e valorizzazione del patrimonio culturale.
Gli esempi proposti (definiti “best practice”) sono la Russia ed il Giappone, perché ritenute più promozionali.
L’obiettivo dichiarato è aiutare l’Italia a fare più “marketing di sé stessa”.
Il modello scelto da Rai (alias Bcg) è “business-to-business”: riuscirà Rai Com a convincere imprese italiane a co-finanziare tele-promozioni di qualità? Ricordiamo peraltro che Rai Com spa è comunque una piccola società, con ricavi piuttosto modesti: 52 milioni di euro nel 2017, a fronte dei 57 milioni del 2016 (per capirci, Rai Cinema ha registrato rispettivamente nei due esercizi 321 e 354 milioni di euro).
Ed è proprio questo quel che si voleva, creando questo canale?
Va ricordato anche che a questo “business” ha pensato anche Mediaset, anni fa, ma risulta che il progetto (cui più volte ha fatto cenno anche Fedele Confalonieri), è stato accantonato: forse a Cologno Monzese son giunti alla conclusione che il gioco non vale la candela. Comunque, ancora nel novembre 2016, il Presidente Mediaset, parlando a margine dell’evento “Italy is back”, organizzato a Firenze da Italian Business and Investment Initiative in collaborazione con Ey (già Ernst&Young) e American Chamber of Commerce in Italy, rilanciò una sua vecchia idea: un canale tv “all news”, in inglese, completamente dedicato all’informazione sull’Italia e sul “made in Italy” per il pubblico straniero: “si potrebbe anche pensare a una specifica alleanza tra Mediaset, Rai e altre reti per fare un canale all news solo in inglese, in modo che sia visto in tutto il mondo, per informare gli investitori ma anche i consumatori stranieri su ciò che l’Italia fa… Potrebbe essere una voce importante per far conoscere la nostra politica, i nostri prodotti e molto altro al mondo…”.
È possibile comparare altri modelli?
Il “progetto” Rai (meglio sarebbe stato definirlo “pre-progetto”, “bozza di progetto”… insomma un… “progettino”) approvato dal Cda Rai non ha preso in considerazione i progetti editoriali dei concorrenti internazionali, né i loro costi.
Incredibile, ma vero.
Mancano anche le metriche con le quali misurano gli ascolti lineari, i contatti “on demand”, i benefici esterni.
Nel vivace mondo della informazione in inglese, la distribuzione “on demand” ha ormai un ruolo preponderante rispetto alla diffusione “lineare”. Rilanci su altri canali, citazioni e condivisioni sono ormai più importanti dei “contatti medi” del palinsesto, che rimane però una “vetrina” indispensabile.
Immaginiamo che nel contratto con Rai Com, ed in accordo con il direttore che verrà scelto (si spera con selezione meritocratica e non partitocratica), sarà sviluppato anche un “piano editoriale”, che può prendere in considerazione anche altri modelli ed obiettivi, ed i relativi “costi / benefici” e “rischi / opportunità”. Insomma, a fronte di cotanta genericità delle attuali carte preparatorie, c’è ancora un concreto “margine di manovra” per focalizzare seriamente l’identikit del canale ed approntare più valide strategie, in termini editoriali e di marketing.
Il rischio, infatti, è elevato.
Nell’audiovisivo, la barriera linguistica conta ancora molto, ma non per tutti e non per sempre.
L’informazione politica ed economica di rilievo mondiale si rivolge già a un largo pubblico anglofono.
Impossibile conquistare spazi in questi settori partendo in ritardo, e da un “medio Paese” qual è l’Italia.
Persino francesi e tedeschi, che pure ci hanno messo da anni la testa e bei soldini, non sono soddisfatti dei risultati, ed infatti non pubblicano ascolti e contatti, ma solo il “bacino potenziale”, cioè quante centinaia di milioni di persone “potrebbero vedere” Deutsche Welle o France24. Se solo volessero.
Ma capisce bene l’inglese anche una parte crescente, se non altro per il ricambio generazionale, delle moltitudini interessate alle informazioni di cronaca, di costume, di cultura e di scienza, il cui impatto è a sua volta sempre più globale.
La sottotitolazione automatica live è tecnologicamente quasi matura.
L’opportunità è conquistare dall’Italia almeno una nicchia di questi pubblici in via di formazione.
Per esistere in questa competizione, non basta sperare che qualcuno faccia zapping su un canale che promuove prodotti italiani.
Qualsiasi piano editoriale è la risposta alle domande sul come essere il “numero 1” su quale segmento del pubblico.
Non è mai facile.
E che dire poi delle potenzialità delle comunità degli italiani all’estero, di seconda e finanche terza generazione?! La questione è trascurata dal “piano”. E che dire di Rai Italia e di Rai World Premium, i canali con la quale Rai si rivolge – con risultati che peraltro nessuno conosce – agli italiani residenti all’estero. Si prevede che esso sopravviverà, “in parallelo” al nuovo canale in inglese: ma… isolato o interagente con esso? Il “piano” e l’“allegato” non spiegano. Peraltro, non sono pubblici i dati sul budget di Rai Italia, ma alcuni sostengono che sia nell’ordine di almeno 20 milioni di euro l’anno.
I nostri punti di debolezza, come “sistema Paese” sono tanti e troppo noti per elencarli.
Ma il “brand Italia” presenta due punti di forza: la cultura e la religione o – per meglio dire, se ci si rivolge a una platea mondiale – il dialogo inter-religioso.
Occorre scegliere un profilo identitario preciso, perché è difficile assemblare in 1 solo “canale” 2 distanti e distinti “pubblici”.
In materia, purtroppo anche l’intervento dell’Amministratore Delegato Fabrizio Salini di fronte alla Commissione Vigilanza del 9 aprile non ha chiarito granché, al di là dell’efficace espressione “parlare dell’Italia al mondo nella lingua del mondo”. In effetti, Salini ha grosso modo ripetuto quel che si legge nell’Allegato al Piano: “il nuovo canale in inglese rafforzerà l’offerta di Rai Italia. Promuoverà l’identità del Paese e rafforzerà l’immagine dell’Italia all’estero. Racconterà le imprese ed educherà gli italiani nell’apprendimento della lingua inglese”. Il nuovo canale darà spazio alle imprese, ma anche alla cultura e alle bellezze del Belpaese: “l’Italia è il primo Paese al mondo per siti Unesco. Culla dell’arte e della cultura… Il canale inglese sarà caratterizzato da un palinsesto composto da contenuti originali e contenuti di archivi Rai”. Troppa carne al fuoco, e perdurante discreta confusione. E con quale budget il nuovo canale potrà produrre “contenuti originali”, 10 milioni di euro l’anno?
Nel mondo, da Chicago a Shanghai, da Berlino a Lagos, esistono centinaia di milioni di persone anglofone colte, che cercano una fonte di riferimento informativa, che abbia una gerarchia delle notizie che dia rilevo ai migliori servizi sui principali avvenimenti di arte, spettacolo, beni culturali del mondo.
Centinaia di milioni di anglofoni, da Delhi a San Paolo, da Istanbul a Nairobi, destinati a diventare miliardi di persone con il ricambio generazionale, sono invece più interessati alle notizie di cronaca e di scienza, certo attratti dall’impatto sensazionalistico (“è la stampa, bellezza!”), ma disposti a porsi le grandi domande etiche che dalla cronaca e dalla scienza scaturiscono.
Persino un consulente americano come Boston Consulting Group (Bcg) avrebbe potuto capire che collocare in Italia la sede di uno di questi due ambiziosi progetti editoriali presenta soltanto vantaggi: nessuno svantaggio.
E persino una società commerciale sonnacchiosa come Rai Com potrebbe spiegare che il nuovo modello di business dei canali tematici e informativi del mondo sono la “quota per abbonato” che gli operatori cavo, satellite e online riconoscono agli editori dei canali; ovviamente non dei canali promozionali, ma di quelli ritenuti attraenti da una nicchia di abbonati al bouquet dell’operatore.
Nei piani industriali dei principali broadcaster del mondo, questi “retransmission fees” più che raddoppiano nel prossimo triennio…
Ci saremmo aspettati un confronto tra i due progetti editoriali (o altri, se ce ne sono).
Un’analisi della domanda, una comparazione dei costi. Non pervenute.
La “progettazione” contenuta nell’allegato 2 non offre spunti, e tantomeno dati.
Si nutre l’impressione che l’attenzione di Bcg si sia concentrata sul “piano industriale” e che un’iniziativa eppur importante e strategica come il canale in inglese sia stata considerata un po’… con la mano sinistra: “in allegato”, giustappunto.
Non resta che sperare nel prossimo passaggio del “contratto di servizio” tra Rai e Rai Com, preparato da un pubblico dibattito che coinvolga qualcuno dotato di cultura editoriale.
Prima di rassegnarsi all’inutile canale di tele-promozioni (indubbio spreco di denaro pubblico) qualcuno intervenga intelligentemente: da “destra” o da “sinistra”… ovvero da “di qua” o “di là” del Tevere… dal mondo della cultura, dell’accademia, del giornalismo o dell’impresa editoriale…
Make Italy Great (and Useful) Again.
[Ha collaborato Luca Baldazzi.]
Clicca qui, per ascoltare (dal canale YouTube dell’agenzia stampa Vista) l’estratto dell’intervento dell’Amministratore Delegato della Rai Fabrizio Salini, dedicato al canale inglese rivolto al mondo, di fronte alla Commissione Parlamentare per l’Indirizzo Generale e la Vigilanza dei Servizi Radiotelevisivi, Roma, 9 aprile 2019