Quel che è accaduto ieri giovedì 25 maggio a Viale Mazzini può essere considerato “grave” o “normale”, in funzione dell’approccio ideologico nei confronti della gestione del servizio pubblico radio-televisivo in Italia: se si crede ancora in un “public media service” in qualche modo indipendente dal potere politico, si tratta di un rinnovato “scandalo”; se si crede invece che “è sempre stato così”, le nomine decise ieri dal neo Amministratore Delegato Roberto Sergio, ed approvate dal Consiglio di Amministrazione con una modesta maggioranza (e – si noti bene – anche con il parziale voto contrario della Presidente Marinella Soldi), non rivelano nulla di patologico…
Soltanto un prevedibile “spoil system” per la Rai meloniana?
In sostanza, il centro-destra ha imposto una sorta di “spoil system”, ma era prevedibile: non abbiamo ascoltato in effetti, dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, da quando guida il Governo una sua “idea di Rai” (missione, strategia, organizzazione), e si potrebbe finanche sostenere che si è dimostrata “distaccata” rispetto ai futuri possibili del servizio pubblico radiotelevisivo. Ha di fatto però delegato la “bassa cucina” (il governo della Rai, non il futuro della Rai) al suo fiduciario Giampaolo Rossi, nominato pochi giorni fa Direttore Generale e “co-amministratore” (di fatto) insieme all’Ad Roberto Sergio.
Con un voto a maggioranza, il Consiglio di Amministrazione Rai ha dato il via libera alle nomine per direzioni di testate proposto dall’Amministratore Delegato Roberto Sergio, ma la Presidente Marinella Soldi ha votato contro il pacchetto sulle testate, così come Francesca Bria e il rappresentante dei dipendenti Riccardo Laganà, mentre Alessandro Di Majo (“in quota” M5s) si è astenuto – come aveva fatto proprio in occasione della nomina dello stesso Sergio – e ha dato strada alle scelte volute dal centrodestra. Tre i voti favorevoli, sufficienti per il via libera: quelli dell’Ad Roberto Sergio e dei due consiglieri di maggioranza, Simona Agnes e Igor De Biasio.
Pratiche innovative?! No.
Il solito gioco (segreto, in buona parte, nella sua gestazione, fino all’esito finale inevitabilmente pubblico) della lottizzazione partitocratica.
Alcuni giornalisti si appassionano al “dietro le quinte”, anche penne acute come quella di Marco Zonetti (direttore di “VigilanzaTv”), che, in un articolo per “Dagospia” si è divertito ad elaborare una numerologia delle “poltrone” che sono state assegnate “in quota” a maggioranza e minoranza, sostenendo che, in fondo, non c’è stato uno sconvolgimento radicale, ma l’ennesima applicazione di logiche di spartizione in stile “old” Democrazia Cristiana.
Gian Marco Chiocci alla guida del Tg1: equilibrio e pluralismo?
Senza dubbio, su tutto emerge la cooptazione dall’esterno di Gian Marco Chiocci, già firma di punta de “il Giornale”, poi direttore de “Il Tempo” e da qualche anno alla guida dell’agenzia stampa AdnKronos: non può vantare esperienza televisiva, ma sicuramente è un giornalista di razza (ricordiamo alcune sue inchieste sulla “Tangentopoli” dei finanziamenti pubblici al cinema ed allo spettacolo, anni fa), autore di inchieste appassionate e polemista di qualità… Dimostrerà di avere l’equilibrio necessario per guidare il telegiornale di maggior seguito della Rai?! Ricordiamo che l’attuale Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano (culturalmente classificabile come di “destra”, fiero della sua visione conservatrice à la Prezzolini) ha impiegato anni per connotare il Tg1 come rete non propriamente progressista, cercando di rispettare il pluralismo che una simile testata deve garantire al Paese.
Da segnalare “en passant” che il Ministro ha manifestato il suo plauso per le nomine: “quelle varate oggi dal Cda della Rai sono nomine di alto profilo, bravi giornalisti con cui ho avuto il piacere di lavorare e dei quali ho constatato sul campo le capacità professionali. A Gianmarco Chiocci, Antonio Preziosi, Mario Orfeo, Francesco Pionati, Jacopo Volpi, Paolo Corsini, Angelo Mellone e tutti gli altri colleghi vanno i miei auguri di buon lavoro”.
In ogni caso, non si può gridare allo scandalo della lottizzazione soltanto quando questa bassa pratica è messa in atto dai propri avversari politici (facendo finta di non vederla quando la si mette in atto per i propri sodali…).
Efficace, in questa vicenda, la locuzione del Vangelo di Giovanni: “qui sine peccato est vestrum, primus lapidem mittat”. (Qualsiasi riferimento al Partito Democratico o al Movimento 5 Stelle non è qui… casuale!)
In sintesi, non riteniamo che questa (ennesima) sceneggiata / sceneggiatura debba sconvolgere.
Ed in fondo poco importa la ricostruzione del “dietro le quinte”, come l’astensione del membro del Consiglio di Amministrazione “in quota” Movimento 5 Stelle, dato che il partito di Giuseppe Conte non ci sembra abbia ottenuto, per i suoi, incarichi particolarmente significativi.
Il caso sintomatico dell’Ufficio Studi Rai: una scatola vuota, un parcheggio dirigenziale
Tale non può essere considerato, per esempio, lo spostamento di Claudia Mazzola dall’Ufficio Studi di Viale Mazzini alla Presidenza della controllata RaiCom. Mazzola non poteva vantare un curriculum adatto al ruolo ove è stata chiamata (allorquando Andrea Montanari è stato nominato Direttore di Radio3, incarico che gli è stato confermato ieri), ma il problema di fondo è, nel caso specifico, che l’Ufficio Studi di Viale Mazzini è da anni una delle tante aree di “parcheggio” dirigenziale.
Da molti anni, quale sia stato il Presidente o l’Amministratore Delegato della Rai, nessuno si è mai realmente interessato delle attività di ricerca strategica che avrebbero potuto / potrebbero consentire al servizio pubblico di auto-analizzare il proprio ruolo nel sistema mediale. Basti pensare che la Direzione Ufficio Studi Rai ha un budget annuale di 300mila euro, e l’“ufficio” (sic) è formato dal direttore, da un paio di vice (ovviamente dirigenti anche loro), da un assistente, da una segreteria, e da un consulente… Una presa in giro. Una scatola vuota.
E chi li prende in considerazione i curricula… a quei “livelli”?!
Non certo i “decision maker” della partitocrazia, che pensano soltanto alle “appartenenze”.
I cv sono accessori, non essenziali.
Conta semplicemente il “capitale relazionale” del dirigente che aspira a “posizioni” più prestigiose e gratificanti…
La fiducia politica (e/o personale) vince sulla competenza tecnica. Sempre (o quasi)
D’altronde, su altro fronte, la stessa Claudia Mazzola è stata nominata – quando il Movimento 5 Stelle era in auge – anche alla guida della ricca Fondazione Musica per Roma (una delle “macchine culturali” più importanti della Capitale), incarico di Presidente che ha simpaticamente mantenuto (e mantiene) in parallelo al ruolo direzionale in Rai…
Qualcuno ha forse segnalato l’anomalia?! No.
E che dire di Maria Pia Ammirati, che era stata nominata tre anni fa dall’ex Ministro “dem” Dario Franceschini alla guida di Cinecittà Istituto Luce, mantenendo incarichi dirigenziali di primo piano a Rai?!
Tutto assolutamente normale, nel normale esercizio del governo italico della cultura e dei media…
Quindi ci si dovrebbe… scandalizzare perché Claudia Mazzola viene “sostituita” partitocraticamente da Francesco Giorgino, che ha lasciato la conduzione del Tg1 dal giugno 2022? Almeno Giorgino può vantare (anche) un’esperienza pluriennale come docente universitario in ambito mediologico, ed un po’ di coerenza per il ruolo al quale è stato chiamato oggettivamente c’è. Poco (ci) importa chi lo ha voluto lì: ci auguriamo che Giorgino sappia comprendere che è stato assegnato ad una scatola vuota, ed abbia il coraggio di convincere Ad e Dg che la Rai ha necessità di un Ufficio Studi e Strategie che sia all’altezza delle strutture omologhe in altri servizi pubblici europei. Se resterà invece silente e passivo, allora si avrà semplicemente conferma che è andato a coprire quella “casella”… nelle more di più significativi incarichi. E sarebbe – anche questa – una riproduzione del “nihil sub sole novum”.
Una novella lottizzazione sganciata da una idea di Rai
Quel che deprime, che sconforta, che rattrista è che tutta questa novella lottizzazione è completamente sganciata da una “idea di Rai”, come abbiamo denunciato tante volte su queste colonne.
Verosimilmente, un qual certo novello (lieve) “orientamento” ideologico emergerà, una (lieve) correzione di rotta a destra ci sarà, ma riteniamo che non sarà radicale né sconvolgente, né – in fondo – preoccupante. Ancora una volta, prevarrà una logica “democristiana” di sostanziale inerzia e conservazione.
Nessuno di questi ultimi “cooptati” dalla partitocrazia ci risulta abbia espresso (almeno pubblicamente) una idea una su quale Rai vorrebbe.
Nessuno si è espresso sul “contratto di servizio” che, almeno sulla carta, dovrebbe essere il documento con il quale la Rai si impegna a svolgere la sua funzione, ricevendo risorse adeguate dallo Stato.
Che Rai sarà, tra 1 anno, 3 anni, 5 anni?
Pagine e pagine di articoli giornalistici, centinaia di dispacci di agenzia sui nuovi dirigenti della Rai, e quasi nessuno che ripropone il quesito: che Rai sarà quella che avremo tra 1 anno, 3 anni, 5 anni (andare oltre, ovvero pensare al lungo periodo, in Italia, è quasi un’offesa all’intelligenza)?
Non è dato sapere.
Se non un manipolo di intellettuali indipendenti, nessuno se lo è domandato: né prima né dopo le elezioni.
Nessun dibattito pubblico, nessun coinvolgimento della società civile.
Viale Mazzini naviga ancora a vista, e temiamo che questa ennesima lottizzazione non cambierà granché, rispetto ad un futuro che appare assolutamente incerto.
Il Ministro Adolfo Urso (Mimit): “ci stiamo confrontando con la nuova governance Rai… ripresa dei negoziati per il contratto di servizio, che va fatto insieme al piano industriale”
E che dire del titolare del Mimit, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (l’ex dicastero per lo Sviluppo Economico, Mise), Adolfo Urso, che, in video-messaggio inviato all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni in occasione di un convegno semi-clandestino “Restate con noi. Storie, identità e valori nella tv che cambia”, tenutosi a Roma mercoledì 24 maggio ha sostenuto: “la crescita delle piattaforme nelle abitudini di consumo degli italiani ci impone uno sguardo verso i broadcaster tradizionali, compresa la migliore emittenza locale, patrimonio del nostro Paese. Devono essere messi tutti in grado di competere sul mercato globale, a cominciare dal sostegno alla trasformazione digitale. È un patrimonio che vogliamo innovare ma non perdere”, ha spiegato il Ministro, che si è manifestato anche rispetto alla tv pubblica. “Rai ha anche il compito di rimanere un punto di riferimento per tutti gli altri operatori”, ha sostenuto, precisando che “con la nuova governance ci stiamo già confrontando. È appena avvenuto cambio di vertice aziendale, e abbiamo subito stimolato la ripresa dei negoziati per il contratto di servizio, che va fatto insieme al piano industriale dell’azienda. Il contratto di servizio che sono certo la concessionaria del servizio pubblico, introducendo obiettivi misurabili, avvierà con una nuova stagione, ponendosi come modello di efficienza e trasparenza”.
Pace e bene.
Invece che di ChatGpt, il Ministro si preoccupa del futuro delle emittenti televisive locali?!
Quindi – come temevamo – il testo della bozza (misteriosa) del “contratto di servizio” sviluppato dall’ex Ad Carlo Fuortes è già finito nel cestino?!
Temiamo che anche il nuovo testo sarà comunque sganciato dagli sconvolgimenti che stanno caratterizzando il sistema della comunicazione, dalle piattaforme sempre più invadenti alla rivoluzione dell’intelligenza artificiale.
E del finanziamento del servizio pubblico, nessuno parla. Nemmeno il Ministro. E che dire della mina vagante… “canone Rai” futuro (2024)?! Si rimanda al nostro intervento su queste colonne: vedi “Key4biz” del 19 maggio 2023, “Eliminare il canone Rai?”. La questione sembra tabù.
Michele Mezza: “tutti i nominati hanno profili del secolo scorso”
Ha scritto ieri un giornalista e mediologo raffinato come Michele Mezza, rispetto alle nomine a Viale Mazzini: “tutti i nominati hanno profili del secolo scorso e senza esperienze o curiosità nel mondo che sta ormai dilagando sui media (…) rimane raggelante il fatto che non si chieda nemmeno più un progetto o una strategia editoriale. Si trascina il servizio pubblico nei meandri del più impresentabile sottogoverno”.
Non ce la sentiamo di condividere un giudizio così aspro (perché… i precedenti “sottogoverni” erano granché migliori, nel gioco tra “appartenenza” e “competenza”?!), ma riteniamo sia proprio condivisibile la denuncia sulla totale assenza di pensiero strategico e sul deficit di conoscenza e sensibilità rispetto al nuovo scenario del sistema culturale e mediale, alla luce dei radicali cambiamenti degli storici paradigmi.
Si “ri-governa” la Rai guardando soltanto lo specchietto retrovisore. Grande è rischio di scontro frontale col futuro, tra algoritmi non governati ed intelligenza artificiale sottovalutata.
E, intanto, i sindacati hanno revocato lo sciopero che era stato convocato per oggi venerdì 26, e che poteva essere una occasione di pubblico confronto dialettico: l’incontro con l’Ad Roberto Sergio deve averli confortati. Ma, anche in questo caso, temiamo sia affrontato il futuro di breve (brevissimo) periodo e non le strategie identitarie di medio periodo…
(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.