Pubblichiamo di seguito il contributo di Bruno Somalvico, Storico dei media, funzionario Rai e Segretario Generale Infocivica – Gruppo di Amalfi, alla rivista DEMOCRAZIA FUTURA, promossa dal gruppo di “Infocivica 4.0” e diretta da Giampiero Gramaglia, a cui seguirà quotidianamente la pubblicazione di tutti gli altri articoli.
Un dibattito aperto 20 anni fa ad Amalfi
Il dibattito in seno all’Associazione 20 anni dopo l’incontro fondatore di Infocivica ad Amalfi nel settembre 2000 (1) dove Bino Olivi presentò “Una proposta per la televisione pubblica” (2) ha visto emergere posizioni articolate fra i soci di Infocivica sulla scia del confronto bipartisan iniziale nei primi anni del nuovo millennio dopo il monito e l’invito di Jader Jacobelli (3) a fare lobby per difendere le ragioni del servizio pubblico (4) in un contesto associativo che voleva essere una sorta di appendice della stagione dei congressi e del dibattito della prima repubblica dei partiti. Accomunavano tutti i soci la ricerca di un nuovo metodo per riformare dinamicamente la Rai verso una media company di servizio pubblico di fronte alla liquidità dei partiti e alla crisi di credibilità delle istituzioni, il sollecito alla classe politica a governare il processo di transizione verso la società digitale attraverso precisi indirizzi e responsabilità pubbliche delle istituzioni verso la collettività (5), la successiva condivisione negli anni Dieci – dopo la caduta anche della Seconda Repubblica – delle conclusioni del Gruppo Europeo di Torino (6) e della necessità di uscire dalla crisi di credibilità se non rottamando la Rai perlomeno dando vita nel decennio successivo ad un nuovo Servizio pubblico europeo della comunicazione (7), in grado di formare un’Europa di cittadini consapevoli (8).
L’accordo di fondo che non è mai mancato in seno ad Infocivica è rimasto su alcuni punti decisivi, ovvero sulla necessità per il futuro della Rai di assegnarle obiettivi giudicati improcrastinabili:
1. Una nuova missione, una visione del suo ruolo anche istituzionale e di garanzia nella società dell’informazione,
2. Il suo concorso alla formazione di un servizio pubblico di trasporto crossmediale ovvero di una grande rete neutra rispetto ai fornitori di contenuti e servizi su di essa veicolati ma non neutrale rispetto alle esigenze di connettività, sicurezza, tutela della privacy e condizioni di accesso senza discriminazione da parte di tutti i cittadini
3. Un nuovo assetto editoriale ed organizzativo per costituire sotto il segno della discontinuità un nuovo servizio pubblico crossmediale della comunicazione attraverso una media company di servizio pubblico in grado di competere con OTT e grandi conglomerati della comunicazione
4. Un’istituzione davvero indipendente dai governi e da tutti gli altri poteri forti in grado di tornare a formare l’opinione pubblica e garantire la coesione sociale e combattere la frammentazione riorganizzando orizzontalmente l’offerta svincolandola dai palinsesti rigidi.
5. Un’azienda di manager qualificati in grado di gestire con equilibrio risorse pubbliche sempre più ingenti in grado di assicurarsi una propria autonomia finanziaria individuando nuovi assetti proprietari aprendosi ai cittadini abbonati al canone e di operare su una scala europeo con un ruolo attivo nello scenario globale attraverso la rappresentanza di tutti i propri territori.
Un modello irripetibile di Riforma
Su questi cinque punti la Legge di Riforma del 1975 45 anni dopo rappresenta un modello da seguire solo sotto il profilo del metodo di confronto fra partiti sindacati, associazioni, governo parlamento e Regioni nella stagione dei congressi.
Infocivica nel nuovo sistema crossmediale della comunicazione ritiene necessario porre le basi – seguendo lo spirito riformatore degli anni Settanta- per dar vita ad un nuovo servizio pubblico della comunicazione capace di presiedere sia l’offerta radiotelevisiva lineare tradizionale sia le reti sociali e i nuovi servizi disponibili attraverso le applicazioni sui nuovi dispositivi fissi e mobili attraverso la rete, ovvero di raggiungere tutti i segmenti del pubblico, cercando al contempo di combatterne la frammentazione, ovvero cercando come negli anni Settanta di favorire l’allargamento della rappresentanza e della coesione sociale della nostra comunità nazionale in tutte le sue articolazioni.
Assegnare le tre testate nazionali ai tre principali poli emersi nelle ultime due legislature sarebbe non solo anacronistico ma del tutto inadeguato contribuendo in questa fase ad un’ulteriore frammentazione della società italiana ovvero nella direzione opposta.
Dal pluralismo delle testate al pluralismo in una testata unica per presidiare la Rete
Siamo convinti che in questa fase costituente di avvio della società dell’informazione e della conoscenza in rete (di cui non conosciamo ancora tutte le conseguenze), il pluralismo e la selezione dei migliori giornalisti possano e debbano avvenire nell’ambito di una testata unica, capace di presiedere orizzontalmente e crossmedialmente tutti questi segmenti dell’informazione da quella generalista destinata a tutti a quella tagliata su misura per i singoli utenti. E’ possibile, anzi necessario passare dal pluralismo delle testate (e degli editori di riferimento che devono tornare ad essere tutti i cittadini senza esclusioni di sorta) al pluralismo all’interno di una testata unica per il servizio pubblico della comunicazione, purché si evitino il vecchio latifondo precedente a quella stagione irripetibile di riforma del monopolio e l’occupazione selvaggia successiva negli anni della seconda repubblica. Presiedere le reti sociali trasformandole da bar dello sport e luoghi di sfogo di utenti atomizzati o peggio profilati e serviti da informazioni più o meno fasulle destinati principalmente a soddisfare le esigenze degli inserzionisti, in luoghi di formazione consapevole di un nuovo spazio pubblico aperto, tollerante e senza discriminazioni cui sembra la grande sfida che ci attende nei prossimi anni con reti sempre più veloci, algoritmi e potenze di calcolo sempre più performanti, l’irresistibile ascesa dell’intelligenza artificiale nelle nostre vite. Quella stagione irripetibile potrebbe forse per certi versi ispirarci.
Sulla necessità di procedere ad una rifondazione del servizio pubblico intorno a questi cinque obiettivi il consenso in seno alla nostra associazione su questa linea di direzione è stato praticamente assoluto sin dall’inizio, mentre negli ultimi due decenni il mondo politico ha dimostrato scarsa attenzione e responsabilità concentrando la sua attenzione sul tema della governance e delle regole del gioco, ovvero sulla problematica che – a nostro parere ma anche di quello degli accademici riuniti nel Gruppo Europeo di Torino – dovrebbe essere affrontato solo a valle del percorso di questa riforma, ossia una volta definiti per l’appunto, mission e vision, assetto editoriale e organizzativo, finanziamento e dimensioni di impresa. Temi su cui riapriamo oggi il dibattito dalle colonne di Democrazia futura con i contributi di Piero De Chiara, Giacomo Mazzone, Marco Mele, Andrea Melodia dopo l’improvvisa scomparsa nell’agosto 2020 del nostro vice Presidente Gianni Bellisario che tanto si era prodigato in veste di membro del Direttivo dell’Associazione dei Dirigenti Rai per la trasformazione dell’azienda nella media company di un nuovo servizio pubblico della comunicazione (9).
Cosa rimane valido della Riforma del 1975. Ripensare il rapporto con la politica, non cancellarlo
Cosa rimane a nostro parere ancora valido della Legge del 1975 è proprio lo spirito di Riforma e la volontà di apertura della Rai al Parlamento ai partiti, alle Regioni e alla società civile, ovvero la sottrazione del controllo dell’azienda di servizio pubblico da parte del Governo: Infocivica ha sempre invitato a distinguere quella che dovrebbe essere la funzione di indirizzo strategico del Parlamento nell’ambito di una più ampia responsabilità pubblica esercitata da tutte le istituzioni a tutti i livelli, da quello che è stato il vizio assurdo di tutta la politica, ovvero la tentazione mai sopita di interferire sulla gestione interna, editoriale e finanziaria dell’azienda concessionaria del servizio pubblico (10), influenzando soprattutto nomine e percorsi di carriera di propri dirigenti amici. Un processo di cui è responsabile non solo chi siede in Parlamento, ma soprattutto chi ha responsabilità di governo.
Per parte nostra abbiamo sempre giudicato la lottizzazione un fenomeno tutto italiano espressione del consociativismo dell’ultima fase della prima Repubblica, ma certamente originale ponendo fine al latifondo precedente e in grado di selezionare almeno sino alla fine della prima repubblica dirigenti di primissimo piano nell’ambito di gestioni relativamente stabili e durature, denunciandone invece gli aspetti degenerativi dopo il crollo della repubblica dei partiti che erano gli editori di riferimento di canali e testate (11). Arrivando a chiarire inequivocabilmente di fronte alla liquidità delle formazioni politiche della Seconda Repubblica e di quella che oggi stenta a nascere la necessità di superare la lottizzazione superando come sopra ricordato il pluralismo delle testate dando vita ad una testata unica che sia al suo interno la più aperta e pluralista.
In un’epoca in cui esecutivi deboli continuano a governare a colpi di decreti, in cui un parlamento debole (di nominati del tutto privi – se vogliono essere confermati – del rispetto del vincolo del loro mandato di fronte agli elettori), rischia di esprimere sempre di meno il proprio ruolo di legislatore e di rappresentanza della volontà popolare, in un momento addirittura, in cui in assenza di una Riforma della Costituzione e nonostante i vari tentativi avviati in questi decenni, rischiamo di subire effetti altrettanto negativi rispetto a quello che un ex ministro della prima repubblica Rino Formica ha definito a proposito del recente referendum confermativo sulla riduzione del numero dei parlamentari, il tentativo “di aggirare la rigidità della Costituzione e di renderla semplice, flessibile, modificabile di fatto con leggi ordinarie. E dove si colpisce? Si colpisce nell’architettura della Carta costituzionale. Stiamo parlando di una struttura diffusa della democrazia attraverso la quale si esprime la volontà popolare: partiti politici, sindacati, corpi intermedi che operano come articolazioni della vita democratica e della partecipazione alla costruzione della Repubblica del popolo, come prevede l’art 1”, il rischio di un ritorno al passato va a nostro parere evitato. Lo stesso corto circuito potrebbe avvenire per legge ordinaria se i vertici della Rai venissero di nuovo nominati dal governo (12). Con una Rai che potrebbe subire pericolose involuzioni alla polacca o all’ungherese in caso di affermazione delle forze populiste anti europee.
Restituire una funzione di indirizzo strategico al Parlamento nel nuovo contesto crossmediale globale delle comunicazioni.
Occorre invece guardare al futuro dei media sotto il segno della discontinuità pensando al rafforzamento del loro ruolo di garanzia e di equilibrio nella democrazia futura. La politica torni ad occuparsi strategicamente dell’indirizzo strategico della Rai lasciando la vigilanza ad un organismo terzo incaricato di impedirne qualsiasi interferenza nella gestione interna. Anziché ripercorrere le vecchie strade assistenzialistiche dei finanziamenti a pioggia per uscire dalla crisi che ha colpito il mercato dei media e in particolare la raccolta pubblicitaria la politica deve avere il coraggio di andare controcorrente: dare un segno di discontinuità. Innanzitutto con la stagione liquida di galleggiamento della seconda repubblica e di lenta uscita dei vecchi mercati protetti ma anche con le vecchie pratiche consociative e per l’appunto assistenziali della prima repubblica agendo lungo tre direzioni:
a) restituire una funzione di indirizzo strategico al Parlamento nella costruzione della società dell’informazione e della conoscenza costruendo una via italiana originale all’interno dell’Europa.
b) ridefinire gli obiettivi di un nuovo welfare delle opportunità offerte da questa nuova società (13).
c) conferire ad una politica riformista il compito di rappresentanza dei nuovi ceti creatori di ricchezza e di valore pubblico, (alleando meriti e bisogni) consentendo loro di interagire meglio con le istituzioni (14).
Per il settore dell’audiovisivo e dell’informazione si tratta di evitare il ritorno alle vecchie logiche di socializzazione delle perdite, al rischio di nuovi spezzatini (magari questa volta della Rai su spinta di alcune Regioni), di ripetere errori come le privatizzazione di beni primari come le tlc, di magari tentare nuove forme “all’italiana” di convivenza dei vecchi editori impuri con i nuovi padroni del vapore verso i quali non basta chiedere web tax e il rispetto delle regole della concorrenza (iniziative per altro importanti su cui la Vice Presidente della Commissione europea sta realizzando una svolta nelle politiche dell’Unione) ma obblighi precisi anch’essi di servizio pubblico, ovvero al servizio della collettività in questa fase costituente della nuova società.
Compito della politica individuare una nuova precisa e unitaria responsabilità pubblica sull’intero sistema delle comunicazioni trasformando il vecchio servizio pubblico radiotelevisivo in un servizio pubblico crossmediale incaricato di
- orchestrare i contenuti di eccellenza provenienti dai territori (e non solo i nostri tradizionali punti di forza quali moda, design, cibo, grandi città d’arte, Scala ecc.),
- promuoverli in un mercato globale a precise condizioni, evitando che i nostri distretti digitali più avanzati siano meri produttori esecutivi, fornitori dei Gafam, meri ideatori di app per le grandi piattaforme da Apple a Windows e Android, ma possano partecipare alla formazione di “campioni europei” come lo sono ad esempio gli Airbus nell’aviazione.
Vanno forniti il massimo supporto da un punto di vista strutturale e le dovute agevolazioni finanziarie nella loro fase ideativa e di avvio a progetti ambiziosi che i nostri distretti creativi possano realizzare in seno all’Europa partecipando più attivamente ai programmi ad esempio di Europa Creativa, a cominciare dai bandi che devono essere resi più adatti alle caratteristiche peculiari dell’estro italiano e mediterraneo.
Ripensare il pluralismo e la responsabilità pubblica nel governo della Rete. Tre proposte
Di qui tre proposte che vorrei riprendere (15) e sottoporre alla vostra attenzione.
- Al Parlamento Trasformare la commissione di indirizzo e vigilanza Rai in una Commissione di indirizzo strategico per l’intero sistema delle comunicazioni, incaricandola di prefigurare non solo la riforma della Rai, ma conferendo precisi obblighi e opportunità per tutti gli attori locali, nazionali europei e mondiali nell’ambito di una nuova legge di sistema flessibile. Anche in Italia, come in Germania, si potrebbe ipotizzare una sorta di GrundGesetz, ovvero di Legge fondamentale sulle comunicazioni, approvata anche dalla Corte Costituzionale che, in base anche a modifiche della Costituzione, andrebbe aggiornata regolarmente dando prova di flessibilità, lungimiranza e prospettiva, anziché limitarsi a fotografare la situazione esistente, o peggio ancora, favorire o penalizzare determinati attori.
- Riformare l’Art 21 Cost., ripensando il concetto di pluralismo distinguendola dalla pluralità delle fonti informative e comunicative proprie dell’era della centralità delle piattaforme aggregatrici di contenuti e delle comunicazioni virali attraverso il social networking, a tutela dell’informazione come bene prezioso per i cittadini, introducendo il principio dell’accesso alla Rete e ai servizi della società dell’informazione, della formazione e della conoscenza come un diritto primario dell’uomo e della donna.
A tal fine la lotta contro le nuove fratture sociali vista in termini di garanzie di accesso al contempo alle reti (politica di sviluppo della banda ultra larga) che dei contenuti e servizi (telemedicina e assistenza di categorie da tutelare, smart working, teledidattica intese come nuove parti integranti della sanità, della produzione di ricchezza da ridistribuire, dell’insegnamento ma anche di nuove forme di coesione sociale che devono realizzare tutte le agenzie di socializzazione per non lasciare indietro nessuno nel rispetto delle minoranze) diventa l’obiettivo di un nuovo welfare intelligente capace di sfruttare tutte le opportunità della rete combattendone i pericoli e delle conseguenti alleanze da tessere fra ceti e nuove professioni.
- Rilanciando una vecchia proposta di Piero Angela, devolvere l’1% del fatturato raccolto complessivamente in Italia dal SIC alla sperimentazione di nuovi format di prodotti servizi, applicazioni “Made in Italy”, al fine di renderli sempre più utili innovativi divertenti ed educativi, adattandoli alle esigenze delle diverse comunità che compongono l’Italia e alle sue esigenze di promozione del proprio patrimonio, dello spettacolo dal vivo e più in generale delle industrie creative in Europa e nel mercato globale. Un’agenzia incaricata di coordinare ed evitare dispersioni ritardi e i risultati piuttosto sterili delle numerosissime iniziative sparpagliate fra le Centocittà della Penisola, una sorta di MIT per la ricerca e sviluppo italiana nell’information society in grado di coordinare progetti da presentare in senso all’Unione Europea ma innanzitutto di sperimentare programmi e testate servizi veicolati attraverso vecchi e nuovi media.
La nuova Rai da “riserva indiana” della vecchia politica a Public Company di cittadini consapevoli
In quest’ottica la politica anziché occuparsi della Rai come di una riserva indiana da parte di una Commissione bicamerale alla ricerca di un’occupazione per se stessa che – pur non arrivando al parossismo del vecchio MinCulPop finisce con interferire nelle gestioni interne e negli stessi indirizzi editoriali delle redazioni – questa nuova Commissione di indirizzo sulle comunicazioni avrebbe un programma di indirizzo di grande respiro disegnando una precisa responsabilità pubblica nella costruzione di una democrazia futura, con scadenze importanti anche e soprattutto nel medio lungo termine e, lasciando alle Authorities le funzioni di controllo e verifica del rispetto delle regole, restituendo al Parlamento e alle forze politiche – come avvenuto alla fine del primo centro-sinistra con la “stagione dei congressi” che darà vita alla riforma Rai del 1975 – una qualificata responsabilità di indirizzo su un bene pubblico come quello dell’informazione, ma anche della formazione (con l’acquisizione di competenze decisive per il futuro del lavoro) e, perché no?, dell’intrattenimento, e più in generale dell’organizzazione del tempo libero e dello svago dei cittadini per favorire la crescita civile e un sensus communis di diritti e doveri dei cittadini.
Cittadini che, nella loro qualità di abbonati al canone, potrebbero diventare gli unici “editori di riferimento”, diventando gli azionisti di una public company titolare del nuovo servizio pubblico crossmediale della comunicazione.
Per la lettura dei precedenti articoli clicca qui
Note al testo
(1) http://www.infocivica.it/infocivica.eu/dossier_Amalfi_00_programma.htm(
2) http://www.infocivica.it/infocivica.eu/dossier_amalfi_02_olivi_proposta.htm
(3) http://www.infocivica.it/infocivica.eu/dossier_amalfi_03_favore-degli-utenti.htm
(4) Le ragioni di un servizio pubblico radiotelevisivo e multimediale per la società italiana dell’informazione. Appello dell’Associazione Infocivica- Gruppo di Amalfi. http://www.infocivica.it/infocivica.eu/appelli_00.htm
(5) Per una responsabilità pubblica nelle comunicazioni dell’era digitale. Dichiarazione rifondativa di Infocivica, Roma Torino, settembre-ottobre 2014 https://www.key4biz.it/wp-content/uploads/2015/04/Infocivica-Obiettivo-2016-Programma-Documenti-e-abstract-interventi.pdf
(6) Si veda il Dossier “Europa Sconnessa” contenente i Rapporti finali a cura del Gruppo Europeo di Torino del Libro Verde su I media di servizio pubblico nella società dell’informazione e della conoscenza, Mondoperaio, XVIII (5) maggio 2016. I primi due Rapporti erano usciti nella nel 2011 e nel 2012: Philip Schlesinger, Michele Sorice, “Le metamorfosi della società e della radiodiffusione di servizio pubblico”, Nuova Civiltà delle Macchine, (3), luglio-settembre 2011, pp. 187-204; Emili Prado, “La tv che converge nella Rete”, Nuova Civiltà delle Macchine, (1) gennaio-marzo 2012, pp. 9-36
(7) http://www.infocivica.it/infocivica.eu/testo_appello_infocivica-teledetodos.htm
(8) Bruno Somalvico, “Formare un’opinione pubblica”, Mondoperaio, XVIII (5) maggio 2016, pp. 83-89.
(9) Dedicheremo l’approfondimento del prossimo numero alla spinosa questione riapertasi nell’ultimo anno della Rete unica. Il ruolo del servizio pubblico di trasporto è cruciale. Neutro rispetto a tutti gli operatori e fornitori di servizi veicolati ma non neutrale rispetto a determinati standard di sicurezza e affidabilità e alle esigenze di coesione sociale che vanno garantite a tutti i livelli ai cittadini europei. Evitando ammucchiate del tipo “tutti insieme appassionatamente” o operazioni di finte separazioni dell’ultimo miglio da parte dell’ex incumbent in cambio di una socializzazione delle perdite accumulate in tre decenni di errori da parte dei gruppi finanziari via via avvicendatisi alla guida di Telecom Italia. Il modello adottato con Terna può essere una strada da esplorare.
(10) Su questo un sistema duale per la Rai è altamente auspicabile. Crediamo che l’autonomia dipenda effettivamente dall’esistenza di una duplice forma di governance. Da un lato un’intercapedine fra la gestione dell’azienda e le interferenze di qualsivoglia potere (politico economico religioso o di altra natura) dall’altro un Parlamento che nell’indirizzo contribuisca continuamente ad aggiornare la mission e gli obiettivi del mandato assegnato alla concessionaria del servizio pubblico.
(11) Si vedano due nostri saggi dei primi anni Dieci. Bruno Somalvico, “La radio, la tv e la loro storia”, Nuova civiltà delle macchine, XXVIII (3), luglio-settembre 2010, pp. 138-162 e, soprattutto, Bruno Somalvico, “Dal servizio pubblico lineare ai media partecipativi”, Nuova civiltà delle macchine, XXX (2-3), aprile-settembre 2012, pp. 53-82.
(12) Sul metodo di selezione dei candidati aggiungo che senza audizioni trasparenti e trasmesse via Internet il metodo attuato in base alla riforma del Governo Renzi si è rivelato una farsa per tutti quei professionisti che avevano inviato al Parlamento la propria autocandidatura. Credo che una pluralità di fonti possano concorrere alla nomina dell’intercapedine, ovvero della Fondazione o del Consiglio di Sorveglianza qualora si opti per un sistema duale. Sono consapevole che i presidenti assegnati con funzione di garanzia all’opposizione si sono spesso rivelati altrettanto poco efficaci e partigiani rispetto ai direttori generali o amministratori delegati espressi dal Governo. Ma questo non significa che insieme al Presidente della repubblica, alla Conferenza dei Rettori, il Parlamento non possa e non debba esprimere personalità di grande qualità come seppero fare i partiti con grandi giornalisti come Emilio Rossi, Livio Zanetti o Sergio Zavoli, direttori di Rete come Emmanuele Milano, Massimo Fichera e Angelo Guglielmi, nonché grandi manager ai vertici come Biagio Agnes e Paolo Grassi. Nessuno nascondeva le proprie origini e i rapporti con la politica. Ma con una politica tesa a selezionare l’eccellenza.
(13) Anche su questo punto decisivo è il concorso che la politica – affiancata ma non sostituita dai saperi tecnici — può offrire favorendo un secondo Piano Marshall di ricostruzione non solo della sanità ma della scuola e della ricerca scientifica. Un nuovo indirizzo del servizio pubblico per costruire un Welfare State intelligente e inclusivo su cui Democrazia Futura dedicherà uno dei prossimi approfondimenti
(14) Al trittico di John Reith informare-educare-divertire aggiungerei come quarta grande missione del servizio pubblico della comunicazione la capacità di coinvolgere e interagire direttamente e non solo virtualmente con gli utenti. L’idea di Gianni Bellisario di un grande centro d’ascolto dei cittadini dovrebbe essere ripresa e potrebbe essere una prima risposta alla “Dittatura dei Gafa e di chi costruisce la propria offerta in base al controllo dei dati di ogni cittadino ricorrendo ad algoritmi basati su logiche meramente commerciali anziché fondate su principi di natura logica e semantica.
(15) Riprendo parzialmente quanto già sviluppato diversi anni fa: Cf. “Una proposta di Infocivica”, Nuova civiltà delle macchine, XXX (2-3), aprile-settembre 2012, pp. 263-264, e sviluppato in occasione della presentazione alla Biblioteca del Senato della Dichiarazione Rifondativa in previsione del Rinnovo della Convenzione fra la Rai e lo Stato italiano. Cf. nota 5.