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Chi raccoglie e vende (senza dirci nulla) i nostri dati personali

La vicenda Facebook/Cambridge Analytica che nelle ultime due settimane ha imperversato sui media di tutto il mondo, ha posto all’attenzione del mondo intero il problema dei nostri dati sui social e della raccolta indiscriminata che se ne fa a fini di sfruttamento commerciale o politico.

I dati personali sono, come è noto, il motore dell’economia digitale. Sono raccolti e rivenduti all’ingrosso o al dettaglio, in forma aggregata o in forma personalizzata e tarata sul singolo individuo.

Il mercato di riferimento è servito da un esercito di società che in tutto il mondo raccolgono, organizzano e confezionano i dati relativi alle nostre consultazioni dei siti internet, agli acquisti di ogni genere che effettuiamo, alle relazioni sui social, alle nostre proprietà, ai processi giudiziari cui siamo stati eventualmente sottoposti, al nostro stato civile, ai figli, alla fascia di reddito, alle preferenze politiche, religiose, sessuali e tanto altro.

Queste società registrano tutto ciò che facciamo, prendendo nota e organizzando le tracce che lasciamo dietro di noi, dal momento che ormai quasi tutte le attività sono online. Perché fanno questo e perché ciò che fanno vale tanto?

Perché i dati raccolti su ciascuno di noi possono rilevare anche gli aspetti più nascosti della nostra personalità, cose che non confideremmo neanche a un familiare, e tutti questi dati vengono raccolti da mani estranee (a nostra insaputa) e combinate con altre migliaia di dati che ci riguardano e che ricostruiscono la nostra personalità.

Naturalmente, la semplice raccolta di questa immensa mole di dati non è sufficiente. È come estrarre il petrolio grezzo. E il petrolio ha bisogno di ulteriore trattamento per diventare benzina e far aumentare significativamente il proprio valore di mercato.

Così è per i dati…

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