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Inquinare nell’Unione Europea costa sempre di più. Se ne sono accorte le imprese, che negli ultimi dieci anni hanno visto schizzare il prezzo delle quote di emissione di CO2. Ma procediamo con gradi. Quando parliamo di quote di CO2 ci riferiamo ai crediti che le aziende dei settori più energivori possono “spendere” per compensare l’emissione di una tonnellata di CO2 derivante dalla propria attività.
Che cosa sono le quote di CO2
In altri termini, gli impianti hanno a disposizione un dato numero di quote, ognuna delle quali permette l’emissione di una tonnellata di CO2. Qualora l’azienda produca meno emissioni del previsto, può vendere le proprie quote a un’altra azienda. Se invece inquina più di quanto le proprie quote le consentirebbero, è costretta ad acquistarne altre, a “copertura” delle emissioni di CO2 in eccesso. Il prezzo? A settembre 2023 una quota può costare 88,7 euro: oltre 17 volte in più di quello di dieci anni fa (+1.660%). Vediamo perché.
Quote di CO2, la recente impennata dei prezzi
Negli ultimi anni il costo delle quote di emissione di CO2 ha raggiunto livelli mai visti. In particolare a febbraio 2023, quando il prezzo di una quota ha toccato i 105,7 euro. In passato, come indicato dal grafico interattivo sopra, prendendo a riferimento i valori rilevati nei mesi di settembre degli ultimi 15 anni, i prezzi delle quote erano ben diversi. Dieci anni fa una quota di emissione di CO2 poteva costare alle imprese appena cinque euro. Nel 2018 il valore è salito a circa 21,2 euro, triplicando poi nel 2022 (66,7 euro). Di recente il costo è cresciuto ancora, fino a toccare livelli mai visti prima. Ma per quale motivo? Bisogna considerare che dal 2005 al 2012 gran parte delle quote è stata assegnata a titolo gratuito. E ogni anno il numero di quote ricevute era superiore alla quantità di emissioni da coprire. Oggi la situazione è inversa: si assegnano sempre meno quote gratuite, anche perché sono diventati più rigorosi gli obiettivi europei di decarbonizzazione per il 2030 e il 2050.
Il Sistema europeo di scambio di quote di CO2
Dal 2005 l’Unione Europea si è dotata dell’Emissions Trading System (Sistema europeo di scambio di quote di emissione di gas a effetto serra), anche conosciuto come ETS. Si tratta di uno strumento finalizzato al raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 nei principali settori industriali e del comparto aviazione. Delle varie transazioni delle quote tiene traccia il Registro Unico dell’Unione. Le quote possono essere scambiate a titolo oneroso o gratuito: nel primo caso tramite aste pubbliche, nel secondo assegnando quote gratis a operatori che rischiano la delocalizzazione della produzione.
Il meccanismo “cap and trade”
Il sistema di scambio delle quote di emissione dell’Unione europea è di tipo “cap and trade”, che prevede sia fissato un limite massimo (cap) alla quantità totale di gas serra che può essere emessa da tutti gli impianti coinvolti. Nel caso dell’Unione Europea, si tratta degli impianti responsabili del 45% di emissioni di gas serra totali. La messa all’asta e lo scambio delle quote possono avvenire solo entro questo limite. Affinché il sistema regga, ovviamente, è necessario che ciascun impianto monitori le proprie emissioni di CO2, assicurandosi di possedere sufficienti quote a copertura della propria attività.
Le quote di CO2 riguardano 1.200 aziende in Italia
In Europa sono soggetti al meccanismo dell’ETS oltre 11mila impianti industriali e circa 600 operatori aerei. In Italia le quote di emissione di CO2 coinvolgono più di 1.200 aziende, che emettono circa il 40% di gas serra a livello nazionale. Oltre due terzi degli impianti italiani soggetti alle quote emissione appartengono al settore manifatturiero. Più nello specifico, si tratta di centrali che generano energia elettrica e calore, acciaierie, impianti di produzione di metalli, vetro e ceramica, ma anche carta e prodotti chimici. Il sistema delle quote riguarda perlopiù le grandi imprese: possono infatti essere esclusi gli impianti che emettono meno di 25mila tonnellate di CO2 equivalenti all’anno.
Quote ETS, cosa chiedono le aziende
I recenti aumenti delle quote di emissioni di gas serra preoccupano le aziende. Per alcuni settori produttivi le quote rappresentano uno dei principali fattori di costo. In molti chiedono che le risorse raccolte tramite il sistema ETS siano reinvestite affinché le industrie si dotino di strumenti in grado di garantire maggiore sostenibilità ambientale, come ad esempio i sistemi di cattura della CO2.
Gli obiettivi del Green Deal e del Fit for 55
Il sistema delle quote di CO2 è strettamente legato al “Fit for 55”, il pacchetto di riforme voluto dalla Commissione europea per contrastare il cambiamento climatico e che fa parte del piano cosiddetto “Green Deal”. Missione del piano “verde” è ottenere la neutralità carbonica – ossia l’equilibrio tra la quantità di emissioni di anidride carbonica prodotte da attività umane e la loro rimozione da parte dell’uomo.
La neutralità carbonica dovrà essere raggiunta entro il 2050, ma il Fit for 55 prevede anche un obiettivo intermedio: la riduzione, entro il 2030, del 55% delle emissioni (da qui il nome) rispetto ai livelli del 1990. E il principale strumento per il raggiungimento degli obiettivi del Fit for 55 è proprio il sistema di scambio di quote di emissione di CO2. Con l’introduzione del Fit for 55, nel 2021, l’ETS dell’Ue è stato aggiornato ai nuovi obiettivi, comportando una riduzione delle quote gratuite e una decisa crescita dei prezzi delle quote onerose.
I dati si riferiscono al: 2023
Fonte: Trading Economics, Commissione Europea, Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica