Per stimolare la natalità servono certamente “nuovi valori culturali-identitari” – come dicono molti esponenti del Governo (e tuttavia di non facile attivazione nel breve termine) – ma soprattutto servono visioni seguite da azioni e pratiche politiche appropriate (di breve, medio e lungo termine) che agiscano su molteplici piani da fare convergere: pagando (dignitosamente) i giovani, riducendo le tante precarietà (sanitaria, educativa, salariale, professionale), aumentando i servizi alla famiglia e in particolare con accessi agli asili nido (solo il 27% attuale della popolazione di bambini sotto i 3 anni rispetto al 40% media europea e il 50% di altri paesi mediterranei come Spagna e Francia), politiche attive (integrazionismo non assimilativo) dell’immigrazione. Incentivi ai pannolini e agli omogeneizzati possono certo servire ma non possono accendere o stimolare nessuna nuova natalità almeno nel breve termine.
Il caso Germania è chiaro: 3 milioni di nuovi immigrati che offrendo loro un futuro con un lavoro stabile e scuole primarie riescono a fare figli, compensando la denatalità avanzata delle donne tedesche, come quelle europee. Il caso francese è assimilabile a quello tedesco ma con un mix di servizi alla famiglia, contro la precarietà lavorativa e un’avanzata politica attiva per l’immigrazione (e non solo con sguardo rivolto all’Algeria). Va peraltro tenuto conto che i paesi con il più alto tasso di natalità sono anche quelli con il più alto tasso di attività femminile (di produttività e di PIL) Perché – a tutta evidenza – da li passa la sicurezza della vita femminile (e familiare) attraverso la sua indipendenza e autonomia.
L’Italia ha il più basso tasso di attività femminile nell’Ocse perché cura della vita familiare e lavoro sono in conflitto con un impatto enorme sul PIL dato che un aumento del solo 10% del tasso di attività lo farebbe volare di oltre il 3%. Infatti, perché la donna italiana dovrebbe fare figli se non è autonoma sul lavoro, se le imprese non offrono part-time, se i nidi latitano o sono inaccessibili per costi insostenibili e se quando lavora spesso guadagna il 30% in meno degli uomini ? Non dimenticando che “l’indice di dipendenza“ e cioè il peso della popolazione “non attiva” sul totale ha quasi raggiunto il 60%, ben oltre la media UE e che il numero medio di figli è pari a 1,2, cioè metà rispetto a “continuità e parità”.
Avviati cioè sul pendio dell’estinzione di un paese sempre più vecchio e demograficamente bloccato e con un Governo che ciò nonostante vuole vietare la GPA (“gestazione per altri”) marchiandolo addirittura come “reato universale” seppure ammesso nella metà dei paesi europei e negli USA con il 48% degli italiani favorevoli (purché “non a pagamento”). Inoltre con il 75% degli italiani favorevoli a riconoscere i figli di coppie che concepiscano con la maternità surrogata all’estero come “figli legittimi della coppia”, in modi e forme politicamente e culturalmente trasversali e tuttavia con frammenti di magistratura che hanno bloccato i riconoscimenti di alcuni sindaci (cfr. caso di Padova).
Con gli italiani perciò che sembrano molto più avanti della politica e della magistratura. Anche per questo nel tempo breve servono allora urgenti politiche di accoglienza sistematiche di immigrazione regolare con azioni forti di integrazione culturale (non assimilativa e cioè favorendo dialogo interreligioso diffondendo luoghi di culto e formazione condivisa soprattutto per i bambini). Facilitando conoscenza reciproca e contaminazione interculturale a due vie per uno scambio fruttuoso, creativo e virtuoso tra molteplici esperienze che facciano crescere la “potenza immaginativa” dall’incontro e dalla prossimità attiva. Perché è del tutto evidente che non si può pregare lo stesso Dio su marciapiedi o nei garage per alcuni credenti nel degrado e insicurezza (che rischia di scatenare comportamenti estremi di rifiuto) e nelle chiese per altri.
Necessari dunque servizi dedicati a queste quote di popolazione svantaggiata sapendo che la natalità è più alta proprio tra gli immigrati, seppure in calo anche tra questi per molti dei motivi ora richiamati che ostacolano le dinamiche familiari. E senza immigrati questo paese come moltissimi altri in Occidente (e non solo) si fermerebbe. Giovani donne (e uomini) sottopagate/i certo non possono ne programmare alcuna maternità ne alcun piano familiare per il futuro proprio e dei figli.
Se vogliamo seriamente investire con politiche sistematiche per stimolare la natalità muovendo le tante variabili e fattori (congiunti) che la determinano nel breve, medio e lungo termine, questa è la strada fruttuosa già perseguita in Francia, Germania, Olanda, Danimarca oppure in UK. La triangolazione interdipendente tra scenario demografico, questione femminile e politiche salariali va governata insieme se si vuole contrastare la decrescita demografica e lo spopolamento dall’Europa, al Nord America, alla Cina (dove la denatalità prosegue nonostante il rilascio delle leggi sul “figlio unico”).
L’accesso alla robotizzazione diffusa nel manifatturiero (in particolare) che vorrebbe anche ridurre gli effetti dell’invecchiamento e dello spopolamento (i nati sono ancora inferiori ai morti) come fenomeno “patologico” è però insufficiente. La bomba demografica (di decrescita) continua ad incombere sulle nostre teste e non si vedono soluzioni facili ma la triangolazione congiunta richiamata sopra è la strada maestra per agire su (più) nati, su (incentivi casa e lavoro) giovani coppie e sugli adulti (condizioni di lavoro e salariali). Ma purtroppo si continuano a vedere azioni di breve termine unicamente mirate al consenso facile di brevissimo periodo e non alla natalità che anzi sembrano sfavorirla invece che contrastarla.
Paradossi di un presente “corto e incerto” che sarebbe utile maneggiare con cura (eco-sistemica) e utilmente guardando ad un “futuro lungo e complesso” con occhiali interculturali, intertemporali, intergenerazionali.