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Quale tipo di corruzione emerge dal caso genovese e quali soluzioni possibili?

Quale il significato della “corruzione funzionale” (art.318 codice penale) che sembrerebbe coinvolta nell’affaire genovese? Quali le cause profonde nell’intreccio tra spesa pubblica crescente e reddito disponibile calante in uno spazio occupato da un capitalismo relazionale-speculativo che tiene in scacco una politica fragile e personalistica,  e contro le tante imprese sane e responsabili? Quali allora le leve emergenti tra crisi della politica e dei partiti che la rappresentano e uomini protesi (quasi) ineluttabilmente all’ingordigia solipsistica del potere e/o dei soldi, della “roba”? L’Anac ci dice che il 27% dei comuni sopra i 15mila abitanti tra 2015 e 2020 è stato contaminato da almeno un fenomeno corruttivo e che il 46% di tali eventi è connesso a contratti pubblici: dunque una patologia endemica “relazionale” tra politica-spesa pubblica-affari che impone prevenzione e “soluzioni sistemiche”.

In primo luogo, possiamo dire allora che la corruzione di questa natura è prodotta dal convergere vizioso di due debolezze che si auto-sostengono nel conflitto biblico tra interesse generale e interesse particolare, dunque tra i soggetti che rappresentano la politica e quelli degli affari. Soggetti che ritengono di assorbire le loro debolezze strutturali di perdita di autonomia strategica e operativa (ossia di autorevolezza e capacità di rappresentanza per il bene comune in un caso e di capacità competitiva nell’altro) con “relazioni vischiose e lobbistiche” che violano quella loro autonomia “distribuendo favori” in contrasto con l’interesse comune e generale e con una concorrenza trasparente, aperta e plurale.

Vischiosità lobbistica dove perdono soprattutto i cittadini e le imprese efficienti che non vedono soddisfatti i loro bisogni primari fondamentali se non al prezzo del più forte nella contiguità relazionale o della consorteria. Le vicende genovesi degli arresti ai domiciliari del presidente della Regione Liguria, del direttore dell’autorità portuale e di imprenditori sono frutto di negoziazioni e rivendicazioni di “vantaggi patrimoniali” sulla base di “finanziamenti regolarmente tracciati” ma non per questo leciti. Differentemente da “Tangentopoli” che fu un terremoto per l’intero sistema dei partiti nazionali e evidenziò il passaggio dalla prima alla seconda repubblica e la nascita dei “partiti personali”, in questo caso assistiamo alla totale assenza di autonomia della politica dagli affari in un territorio dove scorrono i fiumi di denaro del PNRR (7 miliardi da spendere in poco tempo e in uno spazio denso come la Liguria mai visti prima) per le grandi infrastrutture portuali e con la leva immobiliare e che rischiano di incepparsi.

Tuttavia mentre in “Tangentopoli” si mettevano in competizione più imprenditori nel supporto “illecito” dei partiti per concorrere a “progetti utili”, nel caso genovese vediamo l’agire di “imprenditori dominanti” imporre i propri interessi particolari su quelli generali in base a dazioni in denaro alle liste elettorali del Governatore o a lui riconducibili, che dunque non basta siano tracciati e leciti se poi non trasparenti nelle finalità. Infatti, quanto legittimo un tale “scambio” è proprio ciò che va indagato a fondo. Siamo comunque alla rottura dell’autonomia della politica dagli affari e alla conseguente rinuncia alla funzione di sintesi per salvaguardare l’interesse generale.

La politica in questo modo muore due volte ed è per questo che il Presidente della Regione Liguria dovrebbe dimettersi, sia per difendersi meglio e sia per consentire di riconquistare questa autonomia e indipendenza dell’istituzione e della politica dagli affari particolari per riprendersi la funzione che le è propria: fare sintesi per progettare l’utile in modo legale ed efficiente nell’interesse generale di un risveglio regionale. Perché – in secondo luogo – la legalità non sia mai in contrasto con l’efficienza. Ossia con un impegno a promuovere in questo modo la “concorrenza” di ecosistemi imprenditoriali regolati e sani per partecipare alla realizzazione dei grandi processi infrastrutturali guidati dall’interesse comune con efficienza e trasparenza (senza deregolazione) perché vincano i progetti migliori, in quanto più sostenibili, inclusivi e resilienti di cui la Liguria necessita urgentemente.

La contiguità viziosa tra politica e affari – in terzo luogo – va dunque sciolta attraverso una opportuna regolazione (e non deregolando) così come deve avvenire tra scienza e politica a salvaguardia della competizione collaborativa e plurale tra pubblico e privato mantenendo l’indipendenza e autonomia dei vari ambiti: politica, economia, scienza. Probabilmente ripensando anche al finanziamento pubblico dei partiti che può aiutare tale separazione rendendo trasparente il ruolo degli interessi e delle lobby (caso USA e in molti paesi europei) che li rappresentano rendendo sempre noto agli elettori la direzione di cessione del loro consenso nella realizzazione dell’interesse comune, potendone poi valutare costi e benefici.

Dunque implementando quegli standard sulla lotta alla corruzione indicati da il Greco (organismo anticorruzione del del Consiglio d’Europa) che ha richiamato l’Italia proprio sui rapporti grici tra politica, lobbying e finanziamenti) per una migliore regolamentazione comportamentale dei politici (centrali o regionali), prima, durante e dopo le loro funzioni pubbliche.

Cioè disciplinando donazioni, supporti funzionali, regalie varie e che in Italia continuano ad rimanere nel vago in una area grigia che esonda troppo spesso dalla legalità, così come grigi rimangono i controlli. Per esempio sulle sliding doors dopo che l’attività politica ( o istituzionale) è terminata come nell’assunzione attivabile da parte di quelle imprese che ne hanno finanziato le campagne elettorali. Esistono esempi virtuosi in Europa dove pubblici ufficiali di alto rango (come i generali dell’esercito o magistrati per esempio) o parlamentari uscenti per uno o due anni non possono prendere incarichi  dirigenziali in enti con i quali l’autorità pubblica presso la quale  operavano aveva rapporti, oppure evitando di farlo negli stessi territori di interesse.

Rinforzando e rinnovando in questo modo – in quarto luogo – i pilastri di una democrazia aperta e pluralista, che sembrano essere collassati in Liguria dopo il disastro e riscatto del Ponte Morandi ricostruito in tempi record, nella legalità e senza inciampi. Collasso che fortunatamente la magistratura ha registrato con l’esercizio dell’azione penale (che si vorrebbe indebolire anche con la separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante) in funzione di utili e lunghe intercettazioni telefoniche. Strumento d’indagine che ora si vorrebbe fermare e senza il quale dell'”l’Affaire Genova” sapremmo poco o nulla fino a completamento dei tre gradi di giudizio. Il confine tra responsabilità penale e politica va tenuto comunque ben distinto lasciando che la prima faccia la sua strada definendo le responsabilità individuali e la seconda consenta di chiarire le questioni di opportunità e comportamentali “oltre” il kantiano “rispetto della legge” da affidare alle sole Prefetture ed ex-post, perché questo come evidente non basta senza una diffusa etica della responsabilità individuale e collettiva verso il “bene comune” con regole e  controlli.

Cioè con un Governo che agisce investendo sulla prevenzione (ex-ante) e non rimanendo allergico a controlli terzi  come avvenuto – per esempio sui fiumi di denaro del PNRR – sottraendo alla Corte dei Conti il potere di controlli concomitanti o in divenire lasciando solo quelli ex-post che oltre che inefficaci sono anche diseducativi e contrari ad un civismo e legalità diffusi. Oppure minacciando i ritardi di enti locali negli avanzamenti sul ReGis (monitoraggio e rendicontazione progetti PNRR) e contemporaneamente proteggendo dai “danni erariali” i dirigenti pubblici abolendo il reato di abuso d’ufficio che poteva essere semplicemente “corretto o adattato” in collaborazione con l’opposizione. Insomma rinunciando a restringere le troppe aree grigie di impunibilità.

Questo il quadro realistico di “soluzioni sistemiche” entro il quale altri “casi Liguria” possano non ripetersi.

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