l'analisi

Quale tipo di corruzione emerge dal caso genovese e quali soluzioni possibili?

di Luciano Pilotti, ESP-Università di Milano |

Le vicende genovesi degli arresti ai domiciliari del presidente della Regione Liguria, del direttore dell’autorità portuale e di imprenditori sono frutto di negoziazioni e rivendicazioni di “vantaggi patrimoniali” sulla base di "finanziamenti regolarmente tracciati” ma non per questo leciti.

Quale il significato della “corruzione funzionale” (art.318 codice penale) che sembrerebbe coinvolta nell’affaire genovese? Quali le cause profonde nell’intreccio tra spesa pubblica crescente e reddito disponibile calante in uno spazio occupato da un capitalismo relazionale-speculativo che tiene in scacco una politica fragile e personalistica,  e contro le tante imprese sane e responsabili? Quali allora le leve emergenti tra crisi della politica e dei partiti che la rappresentano e uomini protesi (quasi) ineluttabilmente all’ingordigia solipsistica del potere e/o dei soldi, della “roba”? L’Anac ci dice che il 27% dei comuni sopra i 15mila abitanti tra 2015 e 2020 è stato contaminato da almeno un fenomeno corruttivo e che il 46% di tali eventi è connesso a contratti pubblici: dunque una patologia endemica “relazionale” tra politica-spesa pubblica-affari che impone prevenzione e “soluzioni sistemiche”.

In primo luogo, possiamo dire allora che la corruzione di questa natura è prodotta dal convergere vizioso di due debolezze che si auto-sostengono nel conflitto biblico tra interesse generale e interesse particolare, dunque tra i soggetti che rappresentano la politica e quelli degli affari. Soggetti che ritengono di assorbire le loro debolezze strutturali di perdita di autonomia strategica e operativa (ossia di autorevolezza e capacità di rappresentanza per il bene comune in un caso e di capacità competitiva nell’altro) con “relazioni vischiose e lobbistiche” che violano quella loro autonomia “distribuendo favori” in contrasto con l’interesse comune e generale e con una concorrenza trasparente, aperta e plurale.

Vischiosità lobbistica dove perdono soprattutto i cittadini e le imprese efficienti che non vedono soddisfatti i loro bisogni primari fondamentali se non al prezzo del più forte nella contiguità relazionale o della consorteria. Le vicende genovesi degli arresti ai domiciliari del presidente della Regione Liguria, del direttore dell’autorità portuale e di imprenditori sono frutto di negoziazioni e rivendicazioni di “vantaggi patrimoniali” sulla base di “finanziamenti regolarmente tracciati” ma non per questo leciti. Differentemente da “Tangentopoli” che fu un terremoto per l’intero sistema dei partiti nazionali e evidenziò il passaggio dalla prima alla seconda repubblica e la nascita dei “partiti personali”, in questo caso assistiamo alla totale assenza di autonomia della politica dagli affari in un territorio dove scorrono i fiumi di denaro del PNRR (7 miliardi da spendere in poco tempo e in uno spazio denso come la Liguria mai visti prima) per le grandi infrastrutture portuali e con la leva immobiliare e che rischiano di incepparsi.

Tuttavia mentre in “Tangentopoli” si mettevano in competizione più imprenditori nel supporto “illecito” dei partiti per concorrere a “progetti utili”, nel caso genovese vediamo l’agire di “imprenditori dominanti” imporre i propri interessi particolari su quelli generali in base a dazioni in denaro alle liste elettorali del Governatore o a lui riconducibili, che dunque non basta siano tracciati e leciti se poi non trasparenti nelle finalità. Infatti, quanto legittimo un tale “scambio” è proprio ciò che va indagato a fondo. Siamo comunque alla rottura dell’autonomia della politica dagli affari e alla conseguente rinuncia alla funzione di sintesi per salvaguardare l’interesse generale.

La politica in questo modo muore due volte ed è per questo che il Presidente della Regione Liguria dovrebbe dimettersi, sia per difendersi meglio e sia per consentire di riconquistare questa autonomia e indipendenza dell’istituzione e della politica dagli affari particolari per riprendersi la funzione che le è propria: fare sintesi per progettare l’utile in modo legale ed efficiente nell’interesse generale di un risveglio regionale. Perché – in secondo luogo – la legalità non sia mai in contrasto con l’efficienza. Ossia con un impegno a promuovere in questo modo la “concorrenza” di ecosistemi imprenditoriali regolati e sani per partecipare alla realizzazione dei grandi processi infrastrutturali guidati dall’interesse comune con efficienza e trasparenza (senza deregolazione) perché vincano i progetti migliori, in quanto più sostenibili, inclusivi e resilienti di cui la Liguria necessita urgentemente.

La contiguità viziosa tra politica e affari – in terzo luogo – va dunque sciolta attraverso una opportuna regolazione (e non deregolando) così come deve avvenire tra scienza e politica a salvaguardia della competizione collaborativa e plurale tra pubblico e privato mantenendo l’indipendenza e autonomia dei vari ambiti: politica, economia, scienza. Probabilmente ripensando anche al finanziamento pubblico dei partiti che può aiutare tale separazione rendendo trasparente il ruolo degli interessi e delle lobby (caso USA e in molti paesi europei) che li rappresentano rendendo sempre noto agli elettori la direzione di cessione del loro consenso nella realizzazione dell’interesse comune, potendone poi valutare costi e benefici.

Dunque implementando quegli standard sulla lotta alla corruzione indicati da il Greco (organismo anticorruzione del del Consiglio d’Europa) che ha richiamato l’Italia proprio sui rapporti grici tra politica, lobbying e finanziamenti) per una migliore regolamentazione comportamentale dei politici (centrali o regionali), prima, durante e dopo le loro funzioni pubbliche.

Cioè disciplinando donazioni, supporti funzionali, regalie varie e che in Italia continuano ad rimanere nel vago in una area grigia che esonda troppo spesso dalla legalità, così come grigi rimangono i controlli. Per esempio sulle sliding doors dopo che l’attività politica ( o istituzionale) è terminata come nell’assunzione attivabile da parte di quelle imprese che ne hanno finanziato le campagne elettorali. Esistono esempi virtuosi in Europa dove pubblici ufficiali di alto rango (come i generali dell’esercito o magistrati per esempio) o parlamentari uscenti per uno o due anni non possono prendere incarichi  dirigenziali in enti con i quali l’autorità pubblica presso la quale  operavano aveva rapporti, oppure evitando di farlo negli stessi territori di interesse.

Rinforzando e rinnovando in questo modo – in quarto luogo – i pilastri di una democrazia aperta e pluralista, che sembrano essere collassati in Liguria dopo il disastro e riscatto del Ponte Morandi ricostruito in tempi record, nella legalità e senza inciampi. Collasso che fortunatamente la magistratura ha registrato con l’esercizio dell’azione penale (che si vorrebbe indebolire anche con la separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante) in funzione di utili e lunghe intercettazioni telefoniche. Strumento d’indagine che ora si vorrebbe fermare e senza il quale dell'”l’Affaire Genova” sapremmo poco o nulla fino a completamento dei tre gradi di giudizio. Il confine tra responsabilità penale e politica va tenuto comunque ben distinto lasciando che la prima faccia la sua strada definendo le responsabilità individuali e la seconda consenta di chiarire le questioni di opportunità e comportamentali “oltre” il kantiano “rispetto della legge” da affidare alle sole Prefetture ed ex-post, perché questo come evidente non basta senza una diffusa etica della responsabilità individuale e collettiva verso il “bene comune” con regole e  controlli.

Cioè con un Governo che agisce investendo sulla prevenzione (ex-ante) e non rimanendo allergico a controlli terzi  come avvenuto – per esempio sui fiumi di denaro del PNRR – sottraendo alla Corte dei Conti il potere di controlli concomitanti o in divenire lasciando solo quelli ex-post che oltre che inefficaci sono anche diseducativi e contrari ad un civismo e legalità diffusi. Oppure minacciando i ritardi di enti locali negli avanzamenti sul ReGis (monitoraggio e rendicontazione progetti PNRR) e contemporaneamente proteggendo dai “danni erariali” i dirigenti pubblici abolendo il reato di abuso d’ufficio che poteva essere semplicemente “corretto o adattato” in collaborazione con l’opposizione. Insomma rinunciando a restringere le troppe aree grigie di impunibilità.

Questo il quadro realistico di “soluzioni sistemiche” entro il quale altri “casi Liguria” possano non ripetersi.

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