L'intervista

Pubblicità sui social. Il cachet dei vip? Fino a 100mila euro per un selfie

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Intervista a Karim De Martino, responsabile sviluppo strategico di una piattaforma di influencer marketing: ‘In Italia una celebrity può chiedere dai 2.000 ai 5.000 €. La pubblicità occulta sui social? C’è un’assenza normativa che dà spazio alla concorrenza sleale’.

Non è un semplice selfie, ma un nuovo modello di business. Una celebrity che si fotografa (o si lascia immortalare) mentre beve una famosa bevanda o indossa un capo d’abbigliamento firmato e poi pubblica l’immagine sui social network può guadagnare anche 100mila euro. Sì per un solo scatto postato soprattutto su Instagram perché è il social dove è più facile avere engagement e misurarlo (Facebook è molto variabile da questo punto di vista). “Questo è il cachet per un post di una star internazionale (giocatore di NBA, attore di Hollywood, calciatore, cantante). In Italia una celebrity può chiedere mediamente dai 2.000 ai 5.000 €, ma non mancano richieste più alte, soprattutto nel mondo dello sport e musica. Comunque è un mercato aperto, difficile definire precisamente dei listini” ha dichiarato a key4biz Karim De Martino, responsabile sviluppo strategico in Europa di InstaBrand, piattaforma di Influencer Martketing che opera in tutto il mondo e premiata da Forbes come una delle 30 start-up più innovative d’America nella prestigiosa classifica “30 Under 30” 2017. Nelle sue precedenti esperienze professionali ha lavorato ai progetti “The Blonde Salad” di Chiara Ferragni, e ai blog di Melissa Satta e Alessia Marcuzzi.

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Il logo che manca in Italia

De Martino ha poi commentato la nostra inchiesta sulla pubblicità occulta sui social: “Sono dell’avviso che sia sufficiente inserire # e @, cosi come proposto da IAP. Ma se la normativa italiana prevedesse un logo non vedo problemi. In ogni caso l’assenza di normativa è un danno, non sapere esattamente cosa si deve fare apre la porta a interpretazioni, zone grigie ed inevitabilmente qualcuno ne approfitta”. Dunque la concorrenza sleale non piace affatto a chi svolge correttamente questo lavoro. E a proposito di loghi ad hoc per indicare ai consumatori social che si trovano di fronte a un contenuto sponsorizzato ecco quello adottato da LIKEtoKNOW: un segnale visivo in più per “mettere in guardia” l’utente. Il trinomio logo-hashtag-tag è la soluzione ideale, dal nostro punto di vista, per rispettare il Codice del consumo che vieta le pratiche commerciali ingannevoli, come quelle che nella loro presentazione complessiva sono idonee ad indurre in errore il consumatore, inducendolo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso, oppure quelle che non indicano l’intento commerciale della pratica o che omettono informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno per prendere una decisione consapevole di natura commerciale.

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Il vuoto normativo in Italia

De Martino tiene a precisare che la società per la quale lavora “ha sempre incluso nei suoi contratti clausole relative alla trasparenza: i brand e gli influencer dichiarano di rispettare le regole presenti nei rispettivi Paesi (per noi è impossibile conoscerle tutte), nel caso degli Stati Uniti vale quanto stabilisce la FTC. L’utilizzo di hashtag (#) e mention (@) è sempre obbligatoria, inoltre spesso viene chiesto di aggiungere tag identificativi come #ad o #sponsored (ove richiesto dalla normativa). Ricordiamo che negli USA dal 2015 la normativa della Federal Trade Commission (FTC) chiede che nel testo sia inclusi hashtag come #ad o #sponsored e nel Regno Unito da poco è stato chiesto ai brand di includere anche un testo nelle immagini, in quei contesti dove l’immagine è la prima cosa visibile. Invece in Italia vi è un vuoto normativo e l’unico ente privato a muoversi è stato l’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, che ha varato la Digital Chart proprio con l’intento di fare il punto, in relazione alle principali forme di comunicazione commerciale digitale, sui requisiti necessari per renderle riconoscibili come tali, in particolare sui social network.

Il caso Selena Gomez

Ecco, invece, come si comporta con le celebrity in Italia l’agenzia di influencer marketing per la quale lavora De Martino: “Chiediamo sempre di includere # e @, che di fatto è anche l’indicazione IAP. Attenzione: non sempre i post di influencer sono sponsorizzati, per molti influencer accostare il proprio nome a brand significa posizionarsi, quindi non è detto che ogni volta che vedete una borsa o un vestito con la marca riconoscibile, si tratti di pubblicità. Nel caso di Selena Gomez in USA, tutti sapevano che lei era sotto contratto con Coca Cola, per questo è scattata la verifica della FTC”.

Il post in questione di Selena Gomez ha raggiunto su Instagram numeri da capogiro: più di 6milioni di ‘Mi Piace’ e oltre 277mila commenti. Ma cosa notate nelle due foto? Solo in un secondo momento è stato aggiunto #ad, per indicare che è una pubblicità a tutti gli effetti. Chissà se la foto avesse raggiunto lo stesso engagement con l’hashtag #Ad inserito da subito, di sicuro sarebbe stato un gesto di rispetto nei confronti dei follower.

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