Analisi

Pubblicato l’annuncio per le candidature al Cda Rai. Ok al nuovo Tusma e al contratto di servizio 2024-28 (clandestino)

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Di questa mattina l’avviso, apparso sui siti web della Camera e del Senato, a presentare candidature per l’elezione dei componenti del prossimo Consiglio di Amministrazione della Rai di competenza del Parlamento: il termine è il 20 aprile 2024.

Le giornate “mediali” di ieri mercoledì 20 marzo ed oggi giovedì 21 marzo 2024 sono affollate di eventi: eventi che non hanno suscitato particolare attenzione da parte dei media “mainstream”, se è vero che soltanto “Key4biz” ed “Il Sole 24 Ore” hanno dedicato attenzione all’avvenuta approvazione, in Consiglio dei Ministri di ieri, del nuovo “Tusma”, ovvero il “Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi”.

Su queste colonne, ieri l’Istituto italiano per l’Industria Culturale IsICult ha proposto un dossier documentativo di analisi delle conseguenze delle modifiche al Tusma, integrativamente a quanto già proposto venerdì della scorsa settimana: si rimanda a “Key4biz” di venerdì scorso 15 marzo 2024, “Confusione sulla riduzione delle ‘quote’ obbligatorie di investimento da parte di Mediaset, Sky, Netflix e Amazon…”, nonché a “Key4biz” di ieri mercoledì 20 marzo 2024, ““Quote obbligatorie” di investimento osteggiate da Netflix e Mediaset (oggi il Tusma in Consiglio dei Ministri). L’autocritica sul flop di Garrone agli Oscar”.

La rassegna stampa web odierna conferma una sostanziale disattenzione dei media: soltanto Andrea Biondi sul confindustriale “Il Sole 24 Ore” dedica un accurato articolo alla novella norma, mentre il quotidiano romano “Il Tempo” dedica attenzione ad una lettera aperta ovvero ad un “appello” che è stato inviato ieri pomeriggio, poco prima della riunione del Consiglio dei Ministri (prevista alle 16.30), da un insieme di associazioni, per contestare il rischio di allentamento delle quote obbligatorie di investimento.

A parte “Il Tempo”, soltanto il quotidiano “il Manifesto” rilancia l’iniziativa, intitolando una colonna “Arte e politica. Riforma del Tusma. Il CdM non ascolta le associazioni”.

Sempre ieri, il Consiglio dei Ministri ha approvato la versione definitiva del “contratto di servizio” Rai per il quadriennio 2024-2028, ma si segnala (denuncia) che questo testo continua ad essere misterioso, come abbiamo già denunciato da molto tempo (vedi esemplificativamente “Key4biz” dell’8 marzo 2024, “Una cappa di nebbia su Tusma, contratto di servizio Rai, commissioni ministeriali cinema e audiovisivo del Mic”). Su questo tema, torneremo presto, non appena il testo sarà di pubblico dominio.

Ed è di questa mattina l’invito (avviso), apparso sui siti web della Camera e del Senato, a presentare candidature per l’elezione dei componenti del prossimo Consiglio di Amministrazione della Rai di competenza del Parlamento: il termine è il 20 aprile 2024, e la procedura non è stata in alcun modo implementata / migliorata rispetto al passato, potendosi così prevedere un processo ipocrita di “trasparenza” allorquando – ancora una volta – le decisioni verranno assunte dalla segreterie di partito. Si prospetta un’ennesima sceneggiata della partitocrazia.

L’appello della “filiera” del cinema e dell’audiovisivo al Governo: in curiosa modalità “last minute”

Come abbiamo sintetizzato ieri, nel “sali e scendi” delle quote: in estrema sintesi, l’obbligo di investimento (sul totale dei ricavi) scende dal 12,5 % al 10 % per le emittenti, e dal 20 % al 16 % per le piattaforme, incrementando però dal 50 a 70 % la “sotto-quota” per le opere italiane; e quindi le piattaforme dovranno investire non più (almeno) il 10 % bensì l’11,2 %.

Nel suo parere del 13 marzo scorso (Commissioni riunite VII e IX del Senato), il Parlamento aveva chiesto al Governo di rafforzare l’obbligo relativo agli investimenti in prodotti “made in Italy”, facendolo crescere dal 6,25 % al 7,00 % per le tv (richiesta non accolta), e dal 10,0 all’11,2 % per le piattaforme (richiesta accolta)…

La “sotto quota” per il cinema italiano indipendente scende dal 3,5 % al 3 % per le emittenti tv ed aumenta dal 2 % al 3 % per le piattaforme.

Va enfatizzato però che la parte predominante degli investimenti in cinema italiano è ad opera delle emittenti televisive, e quindi l’incremento di questa “sotto quota” per le piattaforme non determina stimoli particolari ad investire concretamente di più in film italiani…

In estrema sintesi: di fatto, il sistema delle quote è stato “allentato”, gli obblighi sono stati “alleggeriti”…

Ci si domanda come è possibile che la “filiera” si sia destata da una qual certa passività o sonnolenza ed abbia deciso – per così dire – di “unire le forze” soltanto all’ultimo minuto, inviando ieri pomeriggio (mercoledì 21 marzo) certamente un messaggio al Governo ma nella inevitabile certezza che si determinasse un buco nell’acqua.

Qualcuno, leggendo il testo del nuovo Tusma approvato dal Consiglio dei Ministri ieri pomeriggio, si domanda se, a fronte di questi risultati, i Presidenti dell’Anica (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive Digitali) Francesco Rutelli e dell’Apa (Associazione Produttori Audiovisivi) Chiara Sbarigia non ritengano di doversi dimettere, essendo evidente la incapacità di far fruttare al meglio le proprie azioni di “lobbying”…

La sconfitta è comunque senza dubbio dell’intera filiera.

Eppure ieri pomeriggio… in una “corsa contro il tempo” dal sapore surreale, una buona parte dei produttori, dei registi, degli sceneggiatori, degli autori, degli interpreti, dei direttori della fotografia, dei montatori, degli scenografi, dei costumisti, dei macchinisti, degli elettricisti e delle maestranze dell’industria cine-audiovisiva italiana hanno chiesto – attraverso le rispettive associazioni – al Governo, in relazione all’imminente approvazione della riforma del Tusma, “che vengano tutelati il cinema, l’animazione e il documentario indipendente italiano, specialmente in un trend di maggiori ricavi degli streamers e delle televisioni”.

Questi i firmatari dell’“appello”, un lungo elenco, tra soggetti storici e novelle sigle (senza che qui si apra una discussione sulla rappresentatività o meno di queste associazioni…): 100Autori, Agici, Anac, Cartoon Italia, Cna Cinema e audiovisivo, Doc/It, Unione Produttori Anica, Unita, Wgi, Aic, Air3, Asifa, Asc, Confartigianato Cinema e Audiovisivo, Fidac, Pmi Cinema Indipendente

Precisano i firmatari dell’appello: “quando parliamo di riforma del Tusma, non stiamo parlando di soldi pubblici, bensì degli obblighi di investimento, come da Direttiva Europea, da parte dei grandi gruppi media italiani e stranieri a favore della produzione nazionale”.

Nel dettaglio, si chiedeva “la quota di investimento cinema per le televisioni lineari deve rimanere al 3,5 %, con la sotto-quota del 75 % in opere cinematografiche recenti, ovvero prodotte negli ultimi 5 anni, come peraltro previsto nello schema iniziale proposto dal governo. La quota di investimento cinema per gli streamers deve essere alzata dall’attuale 2 % al 5 %, in linea con le televisioni lineari, che hanno storicamente sostenuto l’industria cinematografica italiana, in primis Rai, Mediaset e Sky. Le quote di investimento devono essere destinate alla produzione di cinema indipendente, e non allargate alla distribuzione e alla promozione che godono di altri strumenti di tutela (quali le aliquote straordinarie per il tax credit distribuzione)”.

Risultati del tardivo appello?! Un buco nell’acqua.

Tv lineari

La quota di investimento in cinema italiano per le tv lineari scende dal 3,5 % al 3 %.

Conseguentemente, anche la sotto-quota per il cinema italiano (opere cinematografiche recenti) per le tv lineari (rimasta ferma al 75 %) scende, passando dal 2,62 % (ovvero il 75 % del 3,5 % prima) al 2,25 % (ovvero il 75 % del 3 % ora).

Piattaforme

La quota di investimento nel cinema italiano imposta alle piattaforme sale dal 2 al 3 %. Percentuale che deriva dal tortuoso calcolo che qui proponiamo: quota per opere europee 16 %, di cui 70 % (ovvero l’11,2 %) per opere italiane, di cui il 27 % specificamente per cinema italiano, e quindi il 27 % dell’11,2 % corrisponde al 3,02 %. In precedenza, invece, era quota per opere audiovisive 20 %, di cui (almeno) il 50 (ovvero il 10 %), di cui “almeno il 20 %” (ovvero “almeno un quinto”), e quindi il 20 % del 50 % del 20 %… il risultato era il 2 %. Da queste numerologie, si comprende perché il Governo ha definito quella sotto sotto quota (sic) del 27 %: perché voleva passare dal 2 al 3 %, per le piattaforme…

Calcoli assolutamente tortuosi, che comunque non ci sembra accolgano peraltro granché quell’auspicio alla “semplificazione” che era stato manifestato – tra gli altri – dalla stessa Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni…

Si rimanda all’allegato report “comparativo” elaborato da IsICult per Key4biz (si segnala che si tratta di una bozza non ancora completamente validata), focalizzato sui 2 articoli afferenti a quote ed obblighi, ovvero l’Articolo 54 e l’Articolo 55.

Calcoli – ribadiamo – comunque basati su un set di dati di base… inesistente!

Il Governo non ha accolto nemmeno “l’introduzione delle sotto quote documentario e animazione per sostenere lo sviluppo del settore”. Queste sotto quote sono previste, come prima, soltanto per la Rai.

Parzialmente accolto (con quel passaggio da “almeno il 50 %” al “70 %”) l’auspicato “rafforzamento del livello degli investimenti a favore delle produzioni audiovisive italiane, come peraltro già previsto nella proposta originaria del governo”.

Amen.

Gli “appellanti” chiedono anche “il ripristino dei principi contenuti nell’art. 57, comma 3, con particolare riferimento alla previsione di limitazioni temporali ai diritti acquisiti da broadcaster e piattaforme e alla previsione che gli obblighi di investimento siano assolti esclusivamente attraverso licenze, pre-acquisti e co-produzioni ovvero forme contrattuali che consentano ai produttori italiani di mantenere la titolarità di una parte dei diritti sulle opere realizzate, consentendone la crescita e la patrimonializzazione”.

Numeri in libertà, deficit di conoscenza, assenza di valutazioni di impatto sull’efficacia delle quote e degli obblighi: questioni “di principio” piuttosto che “evidence-based policy making”

Stendiamo un velo di (penoso) silenzio sul solito gioco numerico, nel tentativo di evidenziare l’importanza del settore. Vengono riproposti dalle associazioni firmatarie dell’appello i soliti numeri in libertà, dati basati su stime fragili quanto inaffidabili: “la filiera cinematografica ed audiovisiva italiana, ricordano, è composta da oltre 9.000 imprese, e genera un’occupazione diretta di oltre 65.000 persone, oltre a 114.000 occupati nelle filiere connesse. È un settore giovane, dinamico e con elevate competenze digitali, che produce effetti economici e occupazionali importanti con un moltiplicatore stimato in 3,5 % e molto radicato nel territorio”.

Con queste azioni di lobbying, con questo deficit di dati… le richieste delle associazioni non determinano certamente un cambio di rotta dell’Esecutivo. Argomentazioni generiche, tesi non fondate su dati.

Come abbiamo evidenziato – anzi dimostrato – su queste colonne, non esiste ancora un dataset minimo che possa consentire di valutare l’effetto delle “quote obbligatorie” di investimento (altresì dicasi per la programmazione) e quindi si legifera, ancora una volta, sulla base del vuoto di informazioni.

Questa “battaglia” a favore o contro le modificazioni del Tusma è basata su dinamiche ideologiche e “di principio”, non essendo disponibili informazioni minimamente adeguate a comprendere lo stato dell’arte del settore.

Lo abbiamo già segnalato più volte, e forse è bene ri-martellare su questo paradosso: ribadiamo: ad oggi, 21 marzo 2024, esiste soltanto una paginetta, tratta dalla relazione annuale al Parlamento dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom) presentata il 19 luglio 2023, nella quale si legge che, per l’anno 2021 (indisponibili ancora i dati del 2022 e certamente quelli del 2023, anche se siamo in un’Italia “digitalizzata”), sia le emittenti sia le piattaforme hanno rispettato le quote di investimento allora obbligatorie. Anzi sarebbero andate ben oltre gli obblighi di legge!

Perché, allora – ci domandavamo e ci (ri)domandiamo – questa esigenza di gioco al rialzo o al ribasso?! Per una questione “di principio”?! Per una esigenza ideologico-politica di far prevalere le ragioni del mercato su quelle dello Stato? Perché si deve ri-affermare (da parte dei grossi “player”) la necessità di ridurre “lacci e lacciouli”?

Perché Agcom non ha fornito e non fornisce un dataset adeguato alle modificazioni normative?

Va anche segnalato che la norma vigente prevede (Articolo 55, Comma 4) che Agcom predisponesse “periodicamente una relazione sull’attuazione del comma 1, 2 e 3 da presentarsi alla Commissione Europea, entro il 31 dicembre 2022 e, in seguito, ogni due anni”.

Questa relazione non è stata predisposta (e presentata alla Commissone?!), o, se lo è stato, non risulta essere stata pubblicata.

E questo articolo è stato ulteriormente annacquato, nel novello Tusma, dato che ora recita: “L’Autorità predispone periodicamente una relazione sull’attuazione dei commi 1, 2 e 3 da presentarsi alla Commissione Europea ogni due anni”. La previsione al 31.12.2022, che poteva magari essere aggiornata al 31.12.2024, è svanita.

Insomma, il “sistema” è fuori controllo, data l’inadempienza dell’Autorità.

“No data”.

E che dire del Comma 6 dell’Articolo 56 (intitolato “Attribuzioni dell’Autorità), che è rimasto identico rispetto alla precedente versione del Tusma?! Anche qui, una gran bella dichiarazione di intenti. Rimasta inattuata. Lettera morta:

6. L’Autorità presenta alle Camere, entro il 31 marzo di ogni anno, una relazione sull’assolvimento degli obblighi di promozione delle opere audiovisive europee e italiane da parte dei fornitori di servizi di media audiovisivi, lineari e a pagamento, sui provvedimenti adottati e sulle sanzioni irrogate. La relazione fornisce, altresì, i dati e gli indicatori micro e macroeconomici del settore rilevanti ai fini della promozione delle opere europee, quali i volumi produttivi in termini di ore trasmesse, il fatturato delle imprese di produzione, i ricavi dei servizi di media audiovisivi, la quota e l’indicazione delle opere europee e di espressione originale italiana presenti nei palinsesti e nei cataloghi, il numero di occupati nel settore della produzione dei servizi di media audiovisivi, la circolazione internazionale di opere, il numero di deroghe richieste, accolte e rigettate, con le relative motivazioni, nonché le tabelle di sintesi in cui sono indicate le percentuali degli obblighi di investimento assolti dai diversi fornitori che offrono servizi al pubblico italiano, con le relative opere europee e di espressione originale italiana”.

La “relazione” prevista della legge vigente non è stata mai presentata alle Camere.

L’unica “traccia” è quella che abbiamo estrapolato dalla Relazione annuale dell’Agcom al Parlamento, la quale, nel luglio del 2023, certificava sommariamente che tutto andava bene, almeno per il 2021. Chissà se è vero: chi può dirlo?! Ma se lo “certifica” l’Autorità, chi può metterlo in dubbio?!

Di grazia: come si pretende di poter “governare” un “sistema” se prevale il deficit di dati e l’approssimazione assoluta?!

Il novello Tusma – va ricordato – contiene anche altre modificazioni su questioni non meno importanti e delicate: qui ci limitiamo a segnalare che viene eliminato il “Comitato di applicazione del Codice di autoregolamentazione Media e Minori” (che non ha mai brillato per efficacia…) e sostituito con un nuovo organismo, un Comitato Consultivo Interistituzionale (che curiosa formula…). Questo neo Comitato ha tra i propri compiti la “promozione e ricerca sui temi di alfabetizzazione mediatica e digitale” (con quali strumenti e fondi non è dato sapere) e deve “esprimere parere nella fase di adozione dei codici di autoregolamentazione e co-regolamentazione dei fornitori di servizi media diffusi tramite qualsiasi canale o piattaforma, a tutela dei minori”. Alcuni osservatori (scettici) temono il latente rischio di passare dalla padella alla brace, ovvero dal “poco” al “nulla”: il sistema vigente oggi è lasco, si corre ora il rischio che divenga definitivamente evanescente, con gran gioia liberatoria di emittenti e piattaforme… Altri “lacci e lacciuoli” di cui gli operatori vanno a liberarsi. Viva il libero mercato!

Alla prossima puntata (…).

Clicca qui per il testo del nuovo “Tusma” alias “Modifiche al Decreto Legislativo 8 novembre 2021, n. 208”, ovvero “Correttivo al Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi in considerazione dell’evoluzione delle realtà del mercato” (Atto Governo n. 109), approvato dal Consiglio dei Ministri, Roma, 20 marzo 2024.

Clicca qui per il report IsICult per Key4biz: “Tusma_comparazione_obblighi_investimento_20.3.2024”, Istituto italiano per l’Industria Culturale, 20 marzo 2024

[ Nota: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale. ]

(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.

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