Dopo 4 anni di negoziati, Ue e Usa hanno raggiunto in queste ore un accordo strategico che riguarda la protezione dei dati personali condivisi nell’ambito di indagini e azioni di contrasto al terrorismo, ma – sempre sul fronte dei dati personali e del loro utilizzo – è ancora lunga la strada verso una ‘pax’ tra la Commissione e le web company d’oltreoceano.
Se infatti, come riporta la Reuters, Stati Uniti e Unione europea hanno trovato l’intesa per proteggere sia i dati che polizia e autorità giudiziarie si scambiano nel corso delle indagini, sia quelli che le web company trasmettono alle autorità – la Commissione europea è ancora molto preoccupata che le web company americane come Google o Facebook, possano utilizzare in maniera illecita i dati degli utenti o possano abusare del loro potere di mercato.
La Consultazione pubblica
Il Commissario per l’economia digitale, Günter Oettinger, annuncerà il prossimo 24 settembre il lancio di una consultazione pubblica sulle piattaforme online che si concluderà la prossima primavera e vaglierà – con un approccio estremamente “serio, attento e aperto” – l’opportunità di “introdurre nuove misure e quale impatto queste potrebbero avere sull’innovazione e sull’offerta di nuovi servizi”.
‘Politichese’ a parte, quello che preoccupa i politici europei è l’influenza che le piattaforme online, quasi tutte americane, hanno e avranno sempre di più, sulla gran parte delle sfere dell’economia: troppi i dati raccolti, scarsa la trasparenza sull’utilizzo delle informazioni e inadeguata loro apertura verso i competitor.
Queste piattaforme dovrebbero essere “strumenti per nuove opportunità”, ha detto il vicepresidente per il Digital Single Market Andrus Ansip che ha invitato i 14 commissari coinvolti nella strategia per il mercato unico digitale – riuniti oggi a Strasburgo – a discutere i dettagli della consultazione.
Secondo il sito Euractiv, la consultazione riguarderà anche il libero flusso dei dati e il cloud computing. Obiettivo della Commissione, tra gli altri, quello di liberarsi del ‘protezionismo’ che imbriglia i dati raccolti all’interno dei confini nazionali, per consentire anche alle aziende non-Usa di trarre profitto dalle informazioni degli utenti. “La soluzione non è tanto la localizzazione dei dati quanto la creazione di un contesto in cui vi sia un vero libero flusso di informazioni” che giovi all’economia e alla democrazia, ha precisato Ansip.
Certo è che mettere a punto una legge europea che regoli il libero flusso dei dati non è cosa semplice, visto che molti Stati hanno già in essere normative nazionali in materia. Pertanto si dovrebbe innanzitutto uniformare la legislazione in materia di protezione dei dati, in maniera tale che nessun paese abbia regole più o meno perimissive sull’uso delle informazioni rispetto ad altre.
Solo così si potrà davvero favorire il libero flusso delle informazioni.
L’accordo con gli Usa: approvato ma ‘congelato’
Le trattative con gli Stati Uniti sono durate per più di 4 anni, ma le discussioni sono state ostacolate da un ‘piccolo dettaglio’: i cittadini europei non hanno infatti il diritto fare ricorso a un tribunale americano per denunciare un presunto abuso dei loro dati personali. I cittadini americani, invece, possono presentare una causa in un tribunale europeo anche da oltreoceano. Una disparità che potrà essere sanata dall’accordo e permetterà ai cittadini di accedere, rettificare o cancellare informazioni personali quando queste siano usate con l’obiettivo di prevenire o perseguire reati penali.
L’accordo, tuttavia, non potrà essere operativo fino a quando gli Usa non approveranno il ‘Judicial Redress Act’, introdotto a marzo e che consentirà ai cittadini europei di far valere il loro diritto alla privacy e al corretto utilizzo dei dati personali anche negli Usa.