Brasile, la procura chiede il processo per il presidente Temer
27 giu 11:06 – (Agenzia Nova) – Per la prima volta nella storia, un presidente del Brasile viene incriminato per presunti reati compiuti durante il governo. L’accusa, firmata dal procuratore generale dello Stato Rodrigo Janot, e’ quella di corruzione passiva, e se la Camera bassa dara’ il via libera, Michel Temer verra’ processato dal Supremo tribunal federal, l’unico organo in grado di giudicare su fascicoli delle piu’ alte cariche dello Stato. La notizia non giunge inattesa ma mantiene intatto il suo potenziale esplosivo. Temer potrebbe innanzitutto rischiare di essere sospeso dall’esercizio per 180 giorni e, in caso di condanna, finire in carcere per un periodo da due a dodici anni. In aggiunta, e a titolo di risarcimento per i danni arrecati al paese, la procura chiede anche il pagamento di una multa di dieci milioni di reais, l’equivalente di circa 2 milioni e seicentomila euro. Il caso parte dalla registrazione effettuata di nascosto da Joesley Batista, uno dei fratelli che gestisce la potente azienda di conservazione delle carni Jsb. L’imprenditore si e’ recato a Planalto, sede della presidenza, e ha registrato la chiacchierata fatta con il capo di Stato: Batista ricorda a Temer lo schema di tangenti messo in moto per favorire alcuni affari personali e ricorda che il vettore dei pagamenti e’ il deputato Rodrigo Rocha Loures, consigliere speciale del presidente. A sentire l’audio, comunque non di perfetta qualita’, Temer pare non opporsi alla corruzione e a confermare gli indizi arriva nei giorni successivi l’arresto di Loures, pizzicato con una valigetta contenente i soldi di cui parlava Batista. La registrazione, che i legali del presidente hanno provato a smontare sulla base di una perizia tecnica sulla sua presunta manipolazione, offre margini per altre indagini che i media brasiliani indicano essere pronte: Temer avrebbe anche avallato il pagamento di tangenti per comprare il silenzio di Eduardo Cunha, ex presidente della Camera dei deputati e “regista” del processo che ha portato all’impeachment di Dilma Rousseff, l’ex presidente di cui lo stesso Temer era il vice. E ci sarebbero anche prove che la nomina di Henrique Meirelles a ministro delle Finanze e’ dovuta principalmente all’influenza esercitata da Batista. Per poter procedere, come detto, la causa deve ricevere il via libera dal Congresso. Al momento lo staff del presidente ritiene di poter avere i numeri per impedire che si formi la maggioranza dei 342 voti su 513 necessari: l’analisi dei media e’ che ampi settori della Camera sono coinvolti in scandali e processi e un ulteriore rilancio della pagina giudiziaria sarebbe dannoso per tutti. Ma la tenuta della maggioranza e’ a rischio, soprattutto se – come pare – la Camera ricevera’ altre denunce dalla procura. La fiducia del paese nel presidente e’ tra le piu’ basse mai registrate, solo il 7 per cento approva in qualche modo la sua gestione, e il forcing delle opposizioni si fa ogni giorno piu’ incessante. Per i deputati, scrive il commentatore di “O Globo” Ricardo Noblat, non si trattera’ di un voto sulla colpevolezza o meno del presidente, ma di un processo “sostanzialmente politico. Cosa sara’ meglio per il loro futuro? Che temer rimanga o che se ne vada?”.
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Usa, prima vittoria giudiziaria dell’amministrazione Trump sull’immigrazione
27 giu 11:06 – (Agenzia Nova) – La Casa Bianca ha incassato ieri una importante vittoria giudiziaria sul fronte delle politiche migratorie. La Corte Suprema ha accolto all’unanimita’ l’appello dell’amministrazione presidenziale contro il blocco imposto da diverse corti federali al cosiddetto “Muslim Ban”: la sospensione temporanea degli ingressi da sei paesi a maggioranza musulmana per ragioni di sicurezza nazionale. Le corti federali – in particolare quelle di Michigan e Hawaii – avevano sospeso la misura esecutiva, motivata dal presidente Donald Trump con ragioni di sicurezza nazionale, accusando il presidente di voler discriminare i cittadini stranieri sulla base della loro fede religiosa. La Casa Bianca aveva replicato sottolineando di aver selezionato i paesi destinatari del “bando” sulla base di valutazioni formulate dalla precedente amministrazione Obama, e aveva denunciato un “processo alle intenzioni” da parte di giudici ostili, che avevano motivato le loro sentenze puntando alla retorica del presidente durante la campagna presidenziale dello scorso anno. In attesa di valutare il ricorso della Casa Bianca, il prossimo autunno, la Corte Suprema ha “sbloccato” il bando di 90 giorni agli ingressi, con alcune eccezioni: potranno entrare nel paese i cittadini dei sei paesi – Libia, Iran, Somalia, Sudan, Siria e Yemen – con legami familiari o professionali accertati negli Usa. In generale, pero’, la Corte Suprema ha gia’ ribadito cio’ che le corti di grado inferiore avevano ignorato: la costituzione da’ al presidente pieno potere in materia di politiche migratorie e sicurezza nazionale, ed e’ per questa ragione che la precedente amministrazione Obama aveva varato bandi simili – ad esempio a carico dei cittadini iracheni – senza che a suo carico fossero sollevate accuse analoghe o che fosse intervenuta la magistratura. “L’interesse del governo (nell’applicare il bando temporaneo, ndr), e l’autorita’ esecutiva di procedere in tal senso, sono indubbie qualora non ci sia alcun legame tra il soggetto straniero e gli Stati Uniti”, recita il giudizio con cui la Corte Suprema ha autorizzato la parziale attuazione del cosiddetto “Muslim Ban”. Il presidente Trump ha definito il pronunciamento della Corte Suprema “una netta vittoria per la nostra sicurezza nazionale”: “Come presidente, non posso consentire che entrino nel nostro paese persone che vogliono farci del male. Sono pronto ad accogliere cinque ami gli Stati Uniti e i loro cittadini, chiunque si dia da fare e sia produttivo”, ha aggiunto Trump, sottolineando l’unanimita’ della decisione della Corte Suprema in favore della presidenza: hanno accolto il ricorso della Casa Bianca tutti e nove i giudici, inclusi i quattro di orientamento democratico o progressista. Secondo il “Wall Street Journal” – l’unico dei principali quotidiani Usa che sin dal principio ha sostenuto la legittimita’ del provvedimento varato da Trump, e che al pronunciamento della Corte Suprema ha dedicato un editoriale della direzione – quella di ieri e’ “una vittoria per la Casa Bianca, ma soprattutto per la separazione costituzionale dei poteri”; il bando voluto da Trump, sostiene l’editoriale, “potra’ non essere saggio ne’ necessario, ma questo non autorizza i giudici a divenire sostituiti comandanti in capo”.
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Usa, la presidenza Trump accelera verso l’indipendenza energetica
27 giu 11:06 – (Agenzia Nova) – Gli Stati Uniti si apprestano a divenire esportatori netti di petrolio, gas e altre risorse naturali. Lo ha dichiarato il presidente Usa Donald Trump, che ha lanciato l’iniziativa della “settimana dell’energia”: una serie di eventi tesi a promuovere la creazione di posti di lavoro nel settore energetico nazionale e ad accrescere l’influenza globale degli Usa attraverso le politiche commerciali. L’iniziativa e’ la naturale prosecuzione di due “settimane” analoghe dedicate dalla Casa Bianca alle infrastrutture e al lavoro, due cavalli di battaglia del programma economico che e’ valso a Trump l’elezione a presidente. Le prime due iniziative della serie, sottolinea la “Washington Post”, sono state quasi interamente oscurate dall’incessante polemica sulla presunta “collusione” tra Trump e la Russia; la Casa Bianca, pero’ negli ultimi giorni ha goduto di un quadro piu’ favorevole, anche grazie all’inconsistenza sostanziale delle accuse di collusione mosse direttamente a Trump e ai suoi collaboratori. il segretario dell’Energia Usa, Rick Perry, ha dichiarato lunedi’ che l’amministrazione “spianera’ la strada verso il dominio energetico Usa” attraverso l’esportazione di petrolio, carbone e gas naturale, la promozione del nucleare e anche le rinnovabili. “Per anni Washington ha ostacolato il nostro dominio energetico. Le cose sono cambiate”, ha dichiarato Perry lunedi’, durante una conferenza stampa alla Casa Bianca. “Ora puntiamo a sostenere, e non a ostacolare, i produttori di energia e i creatori di nuovi posti di lavoro”. L’energia e’ stata anche al centro dell’incontro di ieri tra Trump e il premier indiano Narendra Modi, in visita a Washington: le discussioni tra i due leader hanno riguardato infatti anche l’esportazione di gas naturale Usa. Le risorse energetiche saranno protagoniste anche mercoledi’, in occasione dell’incontro del presidente con governatori e leader delle tribu’ native americane. Giovedi’, invece, il presidente terra’ un discorso pubblico presso la sede del dipartimento dell’Energia. Lo scorso aprile Trump ha firmato un’ordinanza che espande le trivellazioni petrolifere nell’Artide e nell’Oceano Atlantico, revocando una serie di restrizioni imposte dal suo predecessore, Barack Obama. Il presidente Usa si e’ anche impegnato a rilanciare l’industria nazionale del carbone, principale bersaglio delle politiche del suo predecessore tese a ridurre le emissioni di anidride carbonica.
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Regno Unito, i cittadini comunitari residenti nel paese dovranno registrarsi per ottenere uno status giuridico definito
27 giu 11:06 – (Agenzia Nova) – Tutti i tre milioni di cittadini comunitari residenti nel Regno Unito che intendono restare nel paese dopo la Brexit dovranno fare domanda per ottenere “uno status giuridico definito”: questo il cuore della proposta negoziale presentata dalla premier, Theresa May. In un documento di quindici pagine, riferisce il quotidiano britannico “The Guardian”, viene illustrata una procedura online simile a quella riservata ai cittadini non comunitari residenti da cinque anni per chiedere la residenza a tempo indefinito. Non si sa ancora, tuttavia, se si trattera’ solamente di una registrazione nei database dei ministero dell’Interno o se verra’ rilasciata una carta di identita’. Scettica la reazione del capo negoziatore della Commissione europea, Michel Barnier, per il quale da parte del Regno Unito servono piu’ “ambizione, chiarezza e garanzie”. Il piano prevede che anche coloro che hanno gia’ chiesto la residenza permanente dopo il referendum dell’anno scorso sull’appartenenza all’Unione Europea, circa 150 mila persone, dovranno ripresentare la domanda, sebbene con un iter semplificato. Altro punto importante dell’offerta, benche’ May non ne abbia parlato nella comunicazione alla Camera dei Comuni, riguarda il ricongiungimento dei coniugi: dopo la Brexit i cittadini comunitari perderanno il diritto di portare con se’ il coniuge se il reddito sara’ inferiore alla soglia di 18.600 sterline. I cittadini europei, inoltre, potrebbero perdere il diritto di voto nelle elezioni amministrative e la tutela della Corte europea di giustizia. Manterranno, invece, i diritti di residenza, intrapresa, accesso ai fondi pubblici e la possibilita’ di chiedere la cittadinanza. La proposta comprende anche garanzie sul trattamento previdenziale e sulle prestazioni sociali, ma la continuita’ di diversi diritti, dall’assistenza sanitaria alle qualifiche professionali, non e’ assicurata unilateralmente ma sara’ oggetto di negoziati. Per evitare di congestionare il sistema con una valanga di richieste a ridosso dell’uscita dall’Ue, saranno concessi due anni di tempo a coloro che sono in grado di dimostrare di risiedere nel paese in modo continuativo da cinque anni. Le domande potranno essere presentate volontariamente prima della data-limite, che dovra’ essere concordata; successivamente la presentazione sara’ obbligatoria; passati i due anni, non si avra’ piu’ il permesso di restare. Chi arrivera’ prima della data-limite potra’ accumulare il periodo richiesto di residenza ininterrotta per cinque anni; chi arrivera’ dopo, dovra’ sottostare al nuovo regime sull’immigrazione. La premier May ha assicurato che le famiglie non saranno divise e che, dopo l’uscita dall’Ue, chi otterra’ il riconoscimento di status potra’ farsi raggiungere dai familiari all’estero.
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Regno Unito, May ottiene l’appoggio esterno del Dup con un miliardo di sterline extra per l’Irlanda del Nord
27 giu 11:06 – (Agenzia Nova) – La premier del Regno Unito, Theresa May, riferisce il “Financial Times”, ha concluso un accordo col Partito unionista democratico (Dup) dell’Irlanda del Nord ottenendo un sostegno esterno per il suo governo conservatore di minoranza. La leader di Downing Street si e’ impegnata a stanziare per la nazione costitutiva fondi extra per un miliardo di sterline e ha promesso all’esecutivo di Belfast un maggior coinvolgimento sulla spesa di ulteriori 500 milioni, piu’ controllo sulle imposte societarie per competere con la Repubblica d’Irlanda e forse anche sull’Iva e le tasse aeroportuali per promuovere il turismo. In cambio gli unionisti nordirlandesi voteranno le mozioni di fiducia, il Discorso della Regina sul programma legislativo, il bilancio, le norme sulla Brexit e sulla sicurezza nazionale. Per il resto, i voti saranno concordati “caso per caso”. Il Dup ha dichiarato di sostenere l’uscita dal mercato unico e dall’unione doganale, elementi chiave di quella che viene definita Brexit “dura”. Il patto e’ per l’intera durata della legislatura, quinquennale. Delle risorse promesse, 850 mila sterline saranno erogate in due anni e le restanti 150 mila in cinque. Complessivamente valgono 530 sterline in media per ogni residente nell’Irlanda del Nord. Riguardo alla copertura, il primo segretario di Stato, Damian Green, di fatto il vice di Theresa May, ha detto di contare su “un’economia forte”. La leader unionista, Arlene Foster, ha espresso soddisfazione, sostenendo che sono state riconosciute le circostanze speciali che giustificano maggiori finanziamenti. Il primo ministro del Galles, Carwyn Jones, invece, ha definito l’intesa “inaccettabile” perche’ “indebolisce il Regno Unito” e “uccide l’idea di un’equa ripartizione dei fondi a nazioni e regioni”. Per Gerry Adams, presidente dello Sinn Fein, il partito repubblicano nordirlandese, il patto viola l’Accordo del Venerdi’ Santo. Un editoriale non firmato, attribuibile alla direzione, critico al pari di quelli di diversi altri quotidiani, parla di “uno squallido accordo”: per May e’ l’opzione “meno peggiore” per restare al potere, ma con un elevato costo politico, perche’ sara’ ostaggio del Dup; non puo’ pensare di avere in mano un assegno in bianco sulla Brexit.
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Francia, a maggio la disoccupazione e’ tornata a salire
27 giu 11:06 – (Agenzia Nova) – La disoccupazione in Francia sembra uno yo-yo: cosi’ il quotidiano economico francese “La Tribune” presenta gli ultimi dati diffusi ieri lunedi’ 26 giugno dal ministero del Lavoro. Mentre infatti nel mese di aprile il numero dei disoccupati era sceso dell’1 per cento, a maggio al contrario la disoccupazione e’ tornata a salire dello 0,6 per cento: nella Francia metropolitana si sono registrate infatti 22.300 che non hanno lavorato neppure un’ora (categoria A), per un totale di 3.494.100 disoccupati completi; 3.750.900 includendo i Territori d’Oltremare (Dom). E’ una doccia fredda quella che cade sul neo presidente Emmanuel Macron: tuttavia, essendo lui stato eletto il 7 maggio scorso, il suo esecutivo non ha ancora potuto dispiegare alcun effetto concreto sull’economia francese. Comprensibile quindi la ritrosia della neo ministra del Lavoro, Muriel Penicaud, nel commentare i dati a caldo: le statistiche mensili, aveva spiegato gia’ al momento del suo insediamento, sono troppo aleatorie; tanto che aveva persino proposto una “riflessione” in merito al calendario di diffusione dei dati sull’occupazione. Sta di fatto che nell’entourage della ministra, come registra la “Tribune”, l’accento viene posto sui dati trimestrali, che al contrario di quelli di maggio sono decisamente piu’ positivi: negli ultimi tre mesi i disoccupati sono si’ cresciuti dello 0,9 per cento, ma sono comunque diminuiti dello 0,8 per cento rispetto allo stesso periodo del 2016; un fenomeno tipico di questo periodo di “ripresa debole” che la Francia sta conoscendo e che rende molto volatile il mercato del lavoro. Cosi’ stando le cose, conclude il quotidiano economico, non resta che attendere i dati trimestrali che saranno pubblicati nei prossimi giorni dall’Istituto di studi economici e statistici (Insee), i quali hanno anche il merito di stagionalizzare le evoluzioni della popolazione francese: e secondo le previsioni dell’Insee, il tasso di disoccupazione nel corso del 2017 dovrebbe proseguire la lenta discesa avviata nel 2015 ed attestarsi alla fine di quest’anno al 9,4 per cento della popolazione attiva, contro il 10 per cento registrato alla fine del 2016. Intanto, sempre in base ai dati Insee, l’economia francese nel primo trimestre dell’anno ha creato quasi 90 mila nuovi posti di lavoro.
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Germania, primo rapporto della Commissione parlamentare d’inchiesta sui Servizi tedeschi
27 giu 11:06 – (Agenzia Nova) – Il Parlamento tedesco e’ l’unico al mondo ad aver affrontato sotto forma di una Commissione d’inchiesta la questione relativa alle istituzioni nazionali e internazionali di spionaggio professionale e alle attivita’ dell’alleanza d’intelligence nota come “Five Eyes (“Cinque occhi”), composta da Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Canada e Nuova Zelanda. A piu’ di quattro anni dalle prime pubblicazioni dei documenti riservati della National Security Agency (Nsa) da parte del suo ex contractor Edward Snowden, il Bundestag e’ giunto alla prima relazione finale sulle attivita’ dei servizi segreti tedeschi e stranieri, con particolare riferimento allo spionaggio telefonico ai danni del cancelliere Angela Merkel da parte degli Usa. Il parlamento tedesco ha esteso le indagini anche al cosiddetto programma Tempora, messo in atto dall’Nsa e dal Gchq britannico per sorvegliare a tappeto le reti a fibra ottica, nonostante cio’ sia proibito dalla legge britannica (Regulation of Investigatory Powers Act). Al centro dell’indagine, inoltre, c’erano le pratiche di sorveglianza estesa effettuate dal Bnd tedesco in collaborazione e per conto dell’Intelligence Usa. Nella relazione del parlamento tedesco, pero’ – scrive la “Frankfurter Allgemeine Zeotung – l’intera vicenda appare ridimensionata e sminuita, in particolare dal Commissario federale per la protezione dei casi, che ha dato una valutazione giuridica scritta delle pratiche del Bnd. Solo in pochi, nel parlamento tedesco, chiedono di indagare le conseguenze politiche della perdita di privacy e di riservatezza nel campo digitale. Del resto, sottolinea il quotidiano, la questione appare gia’ superata dall’attivismo della Grande coalizione per espandere i poteri di sorveglianza e controllo sulla rete in risposta alle minacce del terrorismo e dell'”odio”. Il direttore del Bnd, consapevole dell’ambiente politico e normativo favorevole, ha chiesto maggiori poteri e finanziamenti prima ancora della conclusione delle indagini parlamentari a carico dell’agenzia.
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Migrazioni, stampa tedesca: la Turchia non rispetta l’accordo sui rifugiati con la Ue
27 giu 11:06 – (Agenzia Nova) – I paesi della Ue si fanno carico di cinque volte piu’ migranti diretti verso la Grecia rispetto alla Turchia, anziche’ in un rapporto di uno a uno, come stabilito nell’accordo con Ankara. Questo secondo il quotidiano “Bild”, che cita gli ultimi dati della Commissione europea. Dal 20 marzo 2016 un totale di 1.210 migranti che tentavano di attraversare l’Egeo diretti verso la Grecia sono sono stati respinti in Turchia. Nello stesso periodo, i paesi della Ue hanno distribuito 6.254 siriani provenienti dalla Turchia in 15 paesi dell’Unione, di cui 2.270 in Germania. All’arrivo in Turchia i rifugiati possono chiedere asilo in Grecia, ma le procedure dovrebbero avvenire rapidamente, per poter procedere eventualmente al respingimento verso il paese d’origine. Tuttavia, l’analisi delle pratiche procede a rilento: non piu’ di 47 a settimana.
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Spagna divisa sulla soluzione italiana alla crisi bancaria
27 giu 11:06 – (Agenzia Nova) – Il salvataggio di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca continua ad impegnare i quotidiani spagnoli. Il tema e’ particolarmente sentito visto che solo 15 giorni fa il Banco Popular, in crisi, veniva venduto al Santander ma senza l’uscita di un euro dalle casse pubbliche. Tutti aspettavano le reazioni del governo spagnolo, e a parlare e’ stato il ministro dell’Economia Luis De Guindos. Sono due casi “assolutamente differenti”, spiega De Guindos: in Spagna non c’e’ stato bisogno di aiuto pubblico perche’ il resto del sistema e’ sano e perche’ l’economia cresce sopra il 3 per cento”. “L’Italia sta facendo quello che ha fatto la Spagna nel 2012, iniettare denaro pubblico e ristrutturare il sistema finanziario”. Se riuscira’ a risanare il comparto l’Italia avra’ fatto bene ma ora cresce poco e salvare le due banche senza l’intervento pubblico e’ “impossibile”. Senza contare “che 17 miliardi di euro divisi in due banche non sono che la meta’ della grandezza del Popular”, ha aggiunto il ministro. Una linea ribadita dal quotidiano conservatore “El Mundo”: Bruxelles non vede nel caso italiano un rischio per il sistema e preferisce affidare a Roma la gestione della crisi. “L’Italia sta adesso affrontando la ristrutturazione bancaria che la Spagna ha iniziato nel 2012 e che comporto’ una importante iniezione di denaro dei contribuenti” e il risanamento del sistema finanziario europeo e’ un passo “necessario” per realizzare l’Unione bancaria europea. Di tutt’altro avviso il quotidiano “El Pais” che dedica al tema un editoriale dal titolo “L’Italia ha una bolla bancaria?”. La “differenza reale e’ che il Popular e’ una banca solvente, afflitto da gravi problemi di liquidita’ che ne’ l’Europa ne’ la Spagna sono stati capaci di risolvere. Al contrario, Vicenza e Veneto non sono solventi e non creano utili sufficienti a recuperare la crisi”. Ma non possono esistere “due modelli di risoluzione bancaria in Europa, uno rigido e sottoposto alla regola che no ci sara’ denaro pubblico per i salvataggi e altro a discrezione, in cui lo Stato interviene senza limiti sotto il pretesto dell’urgenza”. Il salvataggio italiano, conclude “El Pais”, apre un precedente di confusione in Europa.
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Italia, i meriti del salvataggio bancario italiano
27 giu 11:06 – (Agenzia Nova) – Il salvataggio bancario all’italiana ha il semplice merito di esistere: e’ questo il giudizio che il quotidiano “Les Echos” esprime sul salvataggio dei due istituti di credito veneti Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca che saranno rilevati da Intesa Sanpaolo a spese dello Stato italiano. L’editoriale non firmato del principale giornale economico francese, e dunque attribuibile alla sua direzione, in apertura cita il proverbio italiano che recita: “Dopo che la nave e’ affondata, tutti sanno come si poteva salvarla”. Ed e’ appunto una polemica su una nave che non e’ affondata, secondo “Les Echos”, quella che sta infiammando la classe politica in Germania, che teme di veder stracciata in Europa la promessa di non utilizzare il contributo degli Stati per salvare le banche malate: una materia molto sensibile per i contribuenti tedeschi, i piu’ ricchi del Continente, che hanno sempre paura di finire per dover pagare il conto degli altri europei; in pratica pero’, scrive “Les Echos”, non si vede come essi possano arricchirsi dal fallimento del sistema bancario italiano e dalla conseguente corsa agli sportelli che esso comporterebbe. E’ vero che le banche concorrenti di tutto il Vecchio Continente possono lamentarsi, ammette l’editoriale, del fatto che Intesa Sanpaolo abbia limitato al minimo la sua assunzione di rischi, a differenza di quanto ha fatto in Spagna Santander salvando Banco Popular nel rispetto delle nuove regole europee; tuttavia a parere di “Les Echos” il cancro dei crediti deteriorati e’ assai piu’ difficile da curare in Italia di quanto non lo sia in Spagna: e’ evidente infatti che anni di recessione e di crescita anemica in Italia non hanno avuto gli stessi effetti dell’improvviso scoppio della bolla immobiliare che e’ all’origine della crisi economica della Spagna.
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