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Processo Civile Telematico: i problemi ancora irrisolti nel deposito degli atti

1. L’obbligo del deposito telematico

Il Processo Civile Telematico è divenuto ormai operativo ed è entrata recentemente in vigore l’obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali, seppur limitatamente a determinate ipotesi.

L’attuale normativa, infatti, dispone che, nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, l’obbligo di depositare in via esclusivamente telematica gli atti e documenti delle parti precedentemente costituite, gli atti e documenti dei soggetti nominati o delegati dall’Autorità Giudiziaria, nonché gli atti e documenti dei soggetti nominati dalle parti, decorre rispettivamente:

– dal 31 dicembre 2014, qualora il procedimento abbia avuto inizio in data antecedente al 30 giugno 2014;

– dal 30 giugno 2014, qualora il procedimento abbia avuto inizio in data successiva al 30 giugno stesso.

La stessa normativa prevede egualmente, nelle stesse tempistiche supra indicate, l’obbligo di deposito telematico degli atti successivi all’atto con cui venga avviata l’esecuzione.

Permane, invece, invariato l’obbligo di deposito telematico degli atti, già dal 30 giugno 2014, relativi all’intero procedimento monitorio, escluso il giudizio di opposizione.

Così ricostruito l’ambito applicativo del deposito telematico obbligatorio, pare opportuno esprimersi sulla corrispettiva realtà del deposito telematico facoltativo: la necessità di una siffatta analisi deriva dall’esperienza scaturita dagli ultimi due anni di sperimentazione e dai recenti arresti giurisprudenziali in merito.

2. Il deposito telematico facoltativo: quadro normativo

La legislazione vigente prevede che “Con uno o più decreti aventi natura non regolamentare, da adottarsi entro il 1° settembre 2010, sentiti l’Avvocatura generale dello Stato, il Consiglio nazionale forense ed i consigli dell’ordine degli avvocati interessati, il Ministro della giustizia, previa verifica, accerta la funzionalità dei servizi di comunicazione, individuando gli uffici giudiziari nei quali trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 1.” Conseguentemente, l’art. 35 delle Regole Tecniche del Processo Telematico dispone che “L’attivazione della trasmissione dei documenti informatici (da parte dei soggetti abilitati esterni) è preceduta da un decreto dirigenziale che accerta l’installazione e l’idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici nel singolo ufficio“.

Ciò implica che il Ministero della Giustizia, Direzione Generale Servizi Informativi Automatizzati (DGSIA), deve limitarsi ad acclarare la funzionalità del sistema informatico, accertando con proprio decreto dirigenziale l’installazione e l’idoneità della relativa infrastruttura rispetto ad ogni singolo Ufficio Giudiziario. Null’altro prescrive, né autorizza la norma. Tuttavia, la DGSIA, nella prassi, riempie di ulteriore contenuto il suddetto decreto dirigenziale, posto che in esso vengono indicati anche le tipologie di procedimento per i quali è “ammesso” il deposito telematico, nonché i singoli atti depositabili.

Sembrerebbe evidente che il citato decreto dirigenziale costituisca esercizio di un potere che la legge non attribuisca, invero, alla DGSIA.

3. La recente giurisprudenza circa gli atti non compresi nel decreto DGSIA

A tal proposito, la questione assume rilevanza a seguito delle prime pronunce concernenti il valore e la legittimità del deposito telematico di atti, non soggetti al nuovo obbligo di deposito digitale, né compresi nell’elencazione contenuta negli attuali decreti dirigenziali DGSIA.

La prima decisione in merito è stata emessa dal Tribunale di Foggia, in data 10.04.2014, in occasione della quale il Giudice, chiamato a esprimersi sulla ritualità del deposito telematico di un ricorso per accertamento tecnico preventivo (atto non previsto dal decreto DGSIA del relativo Foro), scrive: “rammentato che il decreto del Ministero della Giustizia che ha autorizzato il deposito di atti telematici con valore legale da parte di soggetti esterni al Tribunale di Foggia a far data dal 15 gennaio 2014 ha espressamente individuato tra di essi i soli atti endoprocessuali – in linea con la previsione dell’art. 16 bis d.l. 179/2012 che menziona atti processuali e documenti dei difensori delle parti precedentemente costituite – tra cui, per certo, non rientra l’atto di citazione o il ricorso introduttivo del giudizio; ritenuto, perciò, che l’istanza perché pervenuta in forma diversa da quelle previste deve essere dichiara inammissibile“. Ha, di conseguenza, dichiarato inammissibile il ricorso, facendo, peraltro, riferimento in maniera impropria all’articolo 16bis del DL 179/2012, che riguarda esclusivamente l’ambito dell’obbligo di deposito telematico, nulla prescrivendo in ordine al deposito di altri atti.

Più di recente, il Tribunale di Torino, con decisione del 15.07.2014, richiamando proprio il precedente di Foggia, è giunto alla medesima conclusione, argomentando in maniera più esaustiva. Dinanzi ad un ricorso ai sensi dell’articolo 702bis c.p.c., il Giudice Torinese ha dichiarato inammissibile il predetto ricorso, ritenendo che l’articolo 16bis citato concerna esclusivamente gli atti successivi alla costituzione delle parti; nonché dichiarando che gli atti introduttivi non sono ricompresi nel decreto DGSIA relativo al Tribunale del Capoluogo Piemontese. A ciò si aggiunga che secondo il Giudice “alcuna norma dell’ordinamento processuale consente il deposito in forma telematica dell’atto introduttivo del giudizio“.

La pur limitata e primigenia giurisprudenza di merito, pertanto, ha abbracciato la tesi della possibilità, per DGSIA, di elencare gli atti depositabili al di fuori dell’obbligatorietà. Ciò trova conferma anche nella posizione assunta dal Presidente del Tribunale di Trento, con proprio decreto 14.07.2014, n. 31, il quale ha disposto che il cancelliere debba rifiutare addirittura il deposito di atti introduttivi, richiamando, ma disattendendo, la Circolare ministeriale del 27 giugno 2014.

Infatti, lo stesso Ministero della Giustizia ha espresso, con la citata circolare, il proprio parere, dicendo: “Si ritiene che l’entrata in vigore delle norme di cui all’art. 16 bis d.l. cit. (D.L. 90/2014 – n. d. R.) non innovi in alcun modo la disciplina previgente in ordine alla necessità di un provvedimento ministeriale per l’abilitazione alla ricezione degli atti introduttivi e di costituzione in giudizio. Dunque, nei tribunali già abilitati a ricevere tali atti processuali ai sensi dell’art. 35 DM 44/11, continuerà a costituire facoltà (e non obbligo) delle parti, quella di inviare anche gli atti introduttivi o di costituzione in giudizio mediante deposito telematico. Laddove, invece, tale abilitazione non sussista, essa dovrà essere richiesta. Nelle ipotesi in cui le parti procedano al deposito telematico dell’atto introduttivo o di costituzione in giudizio in assenza della predetta abilitazione, la valutazione circa la legittimità di tali depositi, involgendo profili prettamente processuali, sarà di esclusiva competenza del giudice. Di conseguenza non spetta al cancelliere la possibilità di rifiutare il deposito degli atti introduttivi (e/o di costituzione in giudizio) inviati dalle parti, anche presso quelle sedi che non abbiano ottenuto l’abilitazione ex art. 35 D.M. n.44/11“.

Dalla semplice lettura si evince che la posizione del Tribunale Trentino disconosce la portata della Circolare, che, pur ritenendo necessaria l’elencazione degli atti depositabili, esclude che il cancelliere possa rifiutare il deposito, la cui legittimità deve essere valutata dal giudice.

Invero, almeno in questo la Circolare si rivela esatta. Il Codice di Procedura Civile contempla un’unica ipotesi in cui il cancelliere può – ed anzi deve – rifiutare il deposito di un atto: in caso di mancanza delle copie di controparte, ai sensi dell’articolo 73, comma 2, Disp. Att.1

Evenienza che non può mai verificarsi nel caso di deposito telematico, posto che l’atto depositato in formato digitale è un originale unico, che costituisce al tempo stesso anche la copia per le controparti (salvo errore nell’upload del file contente l’atto).

4. Legittimità del deposito facoltativo

La tesi elaborata dalla giurisprudenza e avallata dal Ministero non può essere condivisa.

In realtà, come già rilevato, non esiste nessuna norma – legislativa o regolamentare – che conferisca alla DGSIA il potere di individuare, per ogni Ufficio Giudiziario o in via generale, il novero degli atti depositabili telematicamente, ovvero la tipologia di procedimento rispetto alla quale esercitare la facoltà di deposito digitale.

La normativa in tema di processo telematico, in particolar modo l’articolo 35 del Decreto Ministeriale 21 febbraio 2011, n 44, stabilisce in maniera chiara che il Dipartimento ministeriale debba esclusivamente accertare l’idoneità e la funzionalità dell’infrastruttura tecnica, giova ribadirlo: in sostanza, dichiarare ufficialmente tramite il proprio decreto dirigenziale che il sistema funziona, che il “canale” di trasmissione è aperto e che, pertanto, il deposito giunge senza errori o problemi a destinazione, sulla “scrivania virtuale” del giudice.

La prima considerazione da tener presente, dunque, è l’illegittimità del decreto DGSIA, laddove esso contenga l’elencazione di atti e procedimenti facoltizzati al deposito telematico. Per il principio secondo cui ciò che non è vietato è lecito, il giudice, dinanzi al deposito di un atto telematico non compreso tra quelli elencati nell’articolo 16bis del D.L. 179/2012 o nel decreto DGSIA (disapplicato in parte qua), dovrà certamente ritenere valido il deposito e considerare rilevante l’atto processuale telematico.

Tuttavia, non è il suddetto principio di liceità a rendere da solo legittimo il deposito telematico, perché invero esso trova espressa disciplina in altre norme di rango legislativo, ben prima che nelle Regole Tecniche di cui al Decreto Ministeriale del 2011.

Precisamente, è sufficiente far riferimento al Codice di Procedura Civile ed al Codice dell’Amministrazione Digitale (D. Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 – CAD), una volta compiuta una distinzione preliminare tra validità dell’atto e validità del deposito2.

La manifestazione giuridica dell’atto processuale è regolamentata dall’articolo 121 del c.p.c., a norma del quale gli atti del processo, per cui la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo. Sicuramente la forma scritta è una forma determinata, in quanto l’articolo 125 c.p.c. presuppone la sottoscrizione dell’atto, che certamente non può essere orale. Tale norma, nel caso di atto telematico, poiché detto atto è firmato digitalmente dal difensore, va letta in combinato disposto con l’articolo 21, comma 2, del CAD, richiamato dall’articolo 20, comma 1bis, dello stesso CAD, secondo cui “l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, […] fermo restando quanto disposto dall’articolo 21” medesimo. Ne discende che è il Codice dell’Amministrazione Digitale la “legge che richiede forme determinate” di cui parla l’articolo 121 c.p.c. Non già le Regole Tecniche e le Specifiche Tecniche, le quali si limitano a dettare la normativa tecnica – appunto – per realizzare la trasmissione telematica degli atti.3 In applicazione di quanto appena esposto, l’atto processuale informatico, redatto in conformità alla normativa legislativa, regolamentare e tecnica citata, risulta assolutamente valido e rilevante in maniera piena agli effetti di legge. Senza dimenticare che, in ogni caso, opera l’articolo 156 c.p.c., a mente del quale l’atto eventualmente invalido, se ha raggiunto lo scopo cui è destinato, non può essere dichiarato nullo.

Diversa considerazione merita la questione circa la validità del deposito telematico, nelle ipotesi in cui non sia “assentito” dal decreto DGSIA. Sul punto, le pronunce sinora rese argomentano l’inammissibilità dell’atto telematico: altre conseguenze potrebbero essere l’inesistenza e l’irritualità.

L’inammissibilità come istituto generale è prevista dal nostro ordinamento processuale in maniera tassativa, per lo più rispetto alle impugnazioni e, solo in due ipotesi per gli atti introduttivi. L’inammissibilità del deposito telematico non è, invece, espressamente prevista, neanche dalle Regole Tecniche4. Quale concetto, l’inammissibilità costituisce un “vizio dell’atto che impedisce al giudice di esaminare la richiesta avanzata da una parte del processo non presentando essa i requisiti stabiliti dalla legge“: è, pertanto, una contraddizione logica quella del giudice Foggiano e del giudice Torinese, i quali, per aver potuto pronunciarsi, di certo hanno potuto esaminare la richiesta, senza alcun vizio impediente. In ogni caso, senza alcun assenza di requisiti stabiliti dalla legge, in quanto si è già detto che l’atto formato nel rispetto delle regole supra menzionate non è viziato. Per lo stesso motivo, non può neanche essere considerato inesistente.

Parimenti per gli stesso motivi, va esclusa l’irritualità dell’atto, che, comunque, non dà luogo ad alcuna sanzione processuale e non preclude l’esame del documento trasmesso. Non ha neanche ragion d’essere l’irricevibilità, tipica del processo amministrativo.

Il Codice dell’Amministrazione Digitale viene in rilievo e risulta centrale anche in merito alla validità del deposito telematico, facoltativo od obbligatorio che sia, oltre che rispetto alla validità dell’atto processuale informatico. Infatti, l’art. 45 del CAD statuisce che “i documenti trasmessi da chiunque ad una Pubblica Amministrazione con qualsiasi mezzo telematico o informatico, idoneo ad accertarne la fonte di provenienza, soddisfano il requisito della forma scritta e la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale“. In ogni caso, esso fonda la legittimità di una trasmissione telematica agli Uffici Giudiziari, purché ricorra il presupposto dell’idoneità del mezzo telematico ad accertare la fonte di provenienza del documento: idoneità – si è detto – che è acclarata dal decreto non regolamentare della DGSIA, adottato ai sensi dell’art. 35 del Decreto Ministeriale 44/2011. Tuttavia, attualmente potrebbe anche argomentarsi che l’idoneità dovrebbe essere implicita: non si vede altrimenti come sia stato possibile imporre l’obbligo di deposito telematico, qualora mancasse la suddetta idoneità. La norma legislativa, cioè, avrebbe introdotto una presunzione di funzionalità del sistema, facendo venir meno anche la necessità del decreto DGSIA: considerazione che ulteriormente avvalora la possibilità di depositare telematicamente qualsiasi atto di qualsiasi procedura, anche se non contemplato dal decreto DGSIA.

Peraltro, ove si accogliesse la tesi per cui questo decreto deve indicare gli atti depositabili, piuttosto che unicamente l’idoneità dell’infrastruttura informatica, si incorrerebbe in un assurdo non sense. L’obbligo di deposito telematico coinvolge anche il procedimento monitorio: se, in ipotesi, in un determinato foro non fosse intervenuto entro giugno un decreto DGSIA che autorizzi il deposito del ricorso monitorio, esso sarebbe da considerarsi non assentito per mancata dichiarazione di idoneità, ancorché previsto tra gli atti a deposito telematico obbligatorio dall’art. 16bis del D.L. 179/2012, contraddizione evidentemente insanabile.

 

5. Conclusioni

Alla luce di quanto premesso, è opinione di chi scrive che attualmente sia possibile depositare telematicamente qualsiasi atto e documento in qualsiasi procedura, prescindendo da specifiche autorizzazioni del Ministero, sprovvisto, peraltro, di un simile potere autorizzativo. Certamente, la normativa esposta, pur chiara su questo punto, presenta ancora numerose lacunosità. Appare auspicabile, pertanto, che vi sia un intervento del legislatore volto a chiarire gli aspetti controversi e a fornire le soluzioni adeguate per quelle problematiche tuttora rimaste insolute, profittando della fase di conversione del Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 90, tuttora pendente.


1 Le parti debbono consegnare al cancelliere insieme col proprio fascicolo le copie degli atti di parte, che a norma dell’articolo 168 secondo comma del codice debbono essere inserite nel fascicolo d’ufficio. Il cancelliere deve rifiutare di ricevere il fascicolo di parte che non contenga le copie degli atti indicati nel comma precedente.

2 Sul punto, ho già avuto modo di esprimere la medesima interpretazione in un commento a sentenza, redatto insieme al collega Avv. Maurizio Reale:http://www.altalex.com/index.php?idstr=47&idnot=67989

3 Parzialmente aderente alla tesi esposta, ossia di sviluppare l’esegesi a partire dall’articolo 121 c.p.c., è la pronuncia del Tribunale di Roma del 9 giugno 2014 (Est. Dott. Nicola Saracino).

4 Che comunque quale fonte subordinata alla legge non possono prevalere sul codice di rito: cfr. Tribunale di Milano, sez. IX, sentenza 19 febbraio – 5 marzo 2014, n. 3115

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