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Privacy Shield: dure le critiche al nuovo accordo Ue-Usa

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Da Viviane Reding a Max Schrems: molti i dubbi sul nuovo accordo che dovrebbe tutelare i dati dei cittadini europei una volta trasferiti negli Usa.

Sono molti i dubbi e le questioni ancora aperte all’indomani dell’annuncio della Commissione europea sull’introduzione di nuove regole per il trasferimento di dati tra Ue e Usa che andranno a sostituire il Safe Harbor, invalidato a ottobre dalla Corte di Giustizia Ue.

La prima a esprimere i suoi dubbi sul ‘Privacy Shield’ è stata Viviane Reding: l’ex Commissario Ue per la società dell’informazione e i media e in seguito responsabile Giustizia – che per prima aveva chiesto una revisione dell’accordo Safe Harbor all’indomani del Datagate – definisce l’accordo prematuro, insufficiente e vago.

La Reding evidenzia i “progressi fatti oltreoceano” e considera ‘positivi’ gli sviluppi sia  sul fronte del “rafforzamento della cooperazione tra i Garanti privacy europei, il Dipartimento del Commercio e la Federal Trade Commission” che su quello della “valutazione annuale congiunta”. Positiva anche l’istituzione del Difensore civico, ma, spiega la Reding, “i poteri effettivi di questo mediatore restano vaghi e rimane una domanda: sarà sufficiente a proteggere i dati personali e ad assicurare la certezza giuridica?”.

Ma è soprattutto sul punto centrale dell’accordo, ossia l’accesso ai dati da parte del governo usa e dell’Intelligence, che la Reding definisce il nuovo testo “deludente”.

L’impegno delle autorità statunitensi di limitare la sorveglianza di massa dei cittadini europei è garantita solo da una lettera scritta. E’ sufficiente per limitare, controllare e prevenire un ampio accesso ai dati dei cittadini europei? Ho seri dubbi che questo impegno resista a un nuovo esame della Corte di giustizia dell’Unione europea”.

Secondo la Reding, insomma, “Quel che occorre sono obblighi giuridicamente vincolanti e senza condizioni. Safe Harbour non sara ‘sicuro’ semplicemente dandogli un nome diverso”.

Al momento, il testo dell’accordo non è ancora stato pubblicato, mentre sul piano della messa in pratica bisognerà elaborare una proposta che dovrà poi essere rivista dai garanti europei (WP29) e approvata dai un comitato di rappresentanti degli Stati membri, mentre gli Usa faranno i preparativi necessari per mettere in atto il nuovo accordo.

Scettico anche l’eurodeputato Jan Philipp Albrecht, figura apicale del processo pluriennale di aggiornamento della Direttiva europea sulla protezione dei dati, approvata a dicembre.

Per Albrecht, l’accordo è poco più che una “minestra riscaldata del pre-esistente Safe Harbor” e una “svendita del diritto fondamentale alla protezione dei dati”.

Di più, secondo Albrecht, la proposta della Commissione è “un affronto alla Corte di Giustizia, che ha definito ‘illegale’ il safe Harbor, e ai cittadini europei i cui diritti sono compromessi dalla decisione”.

Il Privacy Shield, secondo l’eurodeputato, “…non prevede alcun miglioramento giuridicamente vincolante, limitandosi a far valere una dichiarazione da parte delle autorità statunitensi sulla loro interpretazione della situazione giuridica relativa alla sorveglianza da parte dell’intelligence del paese”.

Altrettanto inutile è la creazione della figura di un mediatore “indipendente ma impotente”.

Insomma, secondo Albrecht, così stando le cose se la Corte di Giustizia fosse chiamata nuovamente a intervenire, giudicherebbe illegittimo anche il Privacy Shield e allora “sarebbe un vero disastro per la Commissione”, mentre i garanti privacy saranno “chiamati a esercitare i nuovi poteri attribuiti loro dalla Corte, stabilendo nuove misure di sicurezza per ogni trasferimento di dati oltreoceano”.

Parole che riflettono anche il pensiero di Max Schrems, l’attivista austriaco la cui causa contro Facebook ha portato all’annullamento del Safe Harbor, secondo cui l’accordo difficilmente passerebbe l’esame di una nuova causa di fronte alla corte Ue.

“La Corte ha esplicitamente affermato che qualsiasi accesso generalizzato ai dati viola i diritti fondamentali dei cittadini Ue. Il Commissario stesso ha affermato ieri che questa forma di sorveglianza continua a essere praticata negli Stati Uniti. Oggi ci dovrebbe essere qualche accordo, in qualsiasi forma, che assicuri che i dati Ue non vengano più utilizzati. Questo sarà il punto centrale per una nuova eventuale disputa davanti alla Corte in relazione alla sorveglianza nazionale”, ha osservato Schrems.

Di tono decisamente opposto il parere degli Usa, che parlano di accordo ‘storico’ che fornirà certezza e aiuterà l’economia digitale a crescere.

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